Trecentocinquantamila indigeni appartenenti alle più diverse popolazioni, la cui origine si perde nella notte dei tempi del continente americano. Anche questo è Brasile e la questione indios è una delle più impellenti e fra le più delicate da affrontare. Da sempre.
Lula, prima parte. Al momento della sua prima campagna elettorale, nel 2002, Luis Inacio Lula da Silva inserì la politica indigenista fra i punti cardinali del suo programma. E così è stato, almeno in apparenza. Perché al di là della facciata, Lula ha inaugurato un cerchiobottismo smisurato per tenersi buoni destra ruralista, nazionalisti e militari che guardano alle terre indigene come a fonti inesauribili di ricchezza. Altro che diritti ancestrali.
Durante il suo primo mandato, gennaio 2003 - gennaio 2007, Lula decretò il riconoscimento di alcune delle terre indigene più note alla comunità internazionale, una fra tutte Raposa - Serra do sol (Terra della Volpe - Montagna del Sole) nello stato amazzonico di Roraima. Ma non andò oltre le poche demarcazioni: nel 2005, il 50 percento dei territori appartenenti agli indigeni per diritto ancestrale era ancora in attesta di essere ratificato, il 20 aspettava l'identificazione, il budget della Funai (la fondazione ministeriale che si occupa degli indigeni) era stato abbassato e l'impunità nei casi di violenza razziale regnava sovrana.
I tranelli. Queste condizioni, infatti, sono state ben specificate anche dalla Corte Suprema che il 19 marzo scorso ha ribadito la demarcazione della terra di Raposa - Serra do Sol. In 19 punti, i giudici hanno dettato delle condizioni sine qua non che limitano la proprietà collettiva della terra delle cinque tribù, minacciandone il futuro. Non solo. È stato anche ribadito che lo Stato centrale ha il diritto di essere coinvolto nei processi di demarcazione delle terre ancestrali, rendendo più difficile un processo già lungo e complesso. Questo il risultato della pressione esercitata sul presidente più indigenista della storia brasiliana, dalle lobby dell'agro-business che pensano all'Amazzonia come fonte di enormi guadagni e vedono gli indigeni, che la venerano, come ostacoli da rimuovere. Con ogni mezzo. Quindi via al razzismo: "il brasiliano vero è bianco", sbandierano i grandi possidenti. Via alle falsità: "troppa terra per pochi indigeni", ripetono i ruralistas, quando la densità di popolazione nei loro latifondi è più bassa che nelle terre ancestrali. Via al terrorismo psicologico: "le riserve indiane sono una minaccia per la sicurezza nazionale perché dividono territori vastissimi e per di più di frontiera", vanno dicendo i vertici dell'esercito, sparando ipotesi su complotti internazionali basati su false Ong straniere. A tutto questo si aggiunge una campagna di denigrazione della cultura indigena, con il fine di togliere alla loro causa il grande appoggio popolare e la solidarietà del mondo. Uno fra tutti un video su Youtube, di losca provenienza, in cui una setta missionaria Youth in mission spaccia alcune tribù per infanticide, in modo da spingere l'approvazione del progetto di legge Muwaji. "Se approvato - ha spiegato il direttore di Survival international Stephen Corry a MusiBrasil - il decreto costringerebbe i cittadini brasiliani a segnalare alle autorità qualsiasi cosa da essi giudicata come una pratica tradizionale pericolosa e incoraggerebbe una caccia alle streghe che riporterebbe il Brasile indietro di diversi secoli". Eccolo il Brasile, nonostante i sei anni di Lula. Agli indigeni brasiliani non resta, allora, che resistere. A oltranza.
Stella Spinelli
* Parte di questo articolo è contenuto nell'intervento fatto da Stella Spinelli nel programma “Fantasmi/Figli di un dio minore”, in onda a partire da lunedì 20 aprile, su RaiRadioTre, dalle 23.30. La puntata sugli indigeni brasiliani sarà il 24 aprile.
- Land boost for Brazilian Indians (news.bbc.co.uk)
- Resetting US-Latin America Relations (mydd.com)
2 commenti:
Diciamo che molto spesso, seppure con pesi e misure diverse, tutto il mondo è paese.
Grazie.
Articolo molto interessante e direi triste ma mi rendo conto che il termine non descrive quello che provo.
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