Introduzione. Immagini e dominio coloniale
Le donne dell’Africa orientale furono infatti il soggetto più fotografato[5] dai colonizzatori italiani, tanto da generare un mercato estremamente fiorente di cartoline e fotografie. Una delle immagini più ricorrenti fu quella della donna somala[6] che, grazie anche alla diffusione di un’importante letteratura esotica, divenne il simbolo di un’Africa “paradiso dei sensi”. Un territorio in cui il maschio italiano riscopriva una primordiale virilità, conquistando quelle terre naturalmente selvagge le cui donne erano considerate parti integranti del paesaggio. Come chiariscono Campassi e Sega la donna africana diventa perciò il simbolo della conquista e l’azione colonizzatrice e civilizzatrice viene rappresentata anche come il giusto dominio dell’uomo bianco europeo sulla donna nera, secondo una precisa gerarchia di razza e di genere:
La donna nera diventa il simbolo dell’Africa…e il rapporto uomo bianco-donna nera è simbolico del rapporto nazione imperialista-colonia: l’uomo è colui che dà la sua virilità fecondatrice e vivificante, la donna è colei che riceve da ciò un arricchimento nella realizzazione di sé come completamento dell’espandersi dell’io maschile[7].L’immaginario popolare italiano sull’Africa si colloca pertanto in linea con quella che Anne McClintock ha definito porno-tropics traditions[8], ossia quella tradizione culturale che, fin dalle prime espansioni geografiche del XVI secolo, erotizzava lo spazio coloniale attraverso la femminilizzazione delle nuove terre, rappresentate appunto come donne fertili, disponibili e passive alla conquista. È utile quindi ricordare quanto l’accostamento colonia/donna sia un’immagine di lunghissimo periodo che ha attraversato e condizionato, anche se in forme molto differenti, la costruzione dei rapporti di dominio in tutte le esperienze coloniali. Una fonte molto interessante a riguardo è la seguente: (fig. 1).
Le fonti visive (fotografie, cartoline e vignette) rappresentano una testimonianza fondamentale per comprendere come si è formato quest’immaginario e, successivamente, quali novità sono intervenute con la proclamazione dell’impero (1936) e la successiva promulgazione delle leggi razziali (1937)[11].
1. Il mito della Venere nera nelle fotografie di Luigi Naretti
fig. 4 L. Naretti?, Sifilicomio di Asmara?, (albumina, cm 28×20,5), 1887-1900.
Le fotografie di tipo pornografico venivano generalmente realizzate nei postriboli e sifilicomi, appositamente creati per la clientela italiana, ma anche negli studi fotografici. Lo stesso Naretti produsse una quantità considerevole di questo tipo di scatti. La fotografia Sifilicomio di Massaua (fig. 4) che ritrae ben undici donne nude, di cui quattro accovacciate in pose invitanti, sembra proprio esser stata realizzata per “pubblicizzare” quel luogo di prostituzione. D’altro tipo sono invece i tre nudi femminili realizzati in studio (figg. 5, 6, 7) che rappresentano appunto il classico stereotipo della Venere nera: ragazze completamente nude, abbellite con collane, bracciali, e altri accessori, e ritratte in pose sensuali.
fig. 5 Venere Nera
fig. 6 L. Naretti?, Nudo femminile, (albumina, cm 16×21,5), 1887-1900
Spogliate e private di ogni individualità le donne sono rappresentate esclusivamente come oggetti sessuali e l’attenzione è sempre incentrata sul corpo: a volte stereotipato per classificarne l’etnia, a volte abbruttito dal lavoro domestico (o deformato, come si vedrà successivamente, per mostrarne l’inferiorità razziale) e infine, nella maggior parte dei casi, rappresentato come corpo sessualmente disponibile alla conquista.
fig. 8 Nudo femminile, anni '30.
Il mito della Venere nera costituisce dunque una delle metafore più potenti della conquista africana che, penetrando profondamente nella cultura popolare italiana, influenzerà fortemente le aspettative dei soldati all’alba dell’impresa fascista in Etiopia. Significativo è il fatto che molte fotografie di questo genere furono trovate tra gli oggetti personali di alcuni volontari fascisti caduti durante la guerra civile spagnolae, sopratutto, che il regime distribuiva direttamente ai soldati in partenza per l’Etiopia varie fotografie di donne nere nude[26]. Quindi, ancor più delle promesse di prosperità economica e possibilità lavorative, uno degli argomenti decisivi che vennero utilizzati per spingere molti uomini a combattere per quella virgin land of virgins[27], fu certamente l’idea di poter a pieno titolo pretendere delle donne come compenso per la sicura vittoria.
2. Le donne africane durante il fascismo: tra fantasie erotiche e difesa della razza
Le cartoline, spesso fornite direttamente dall’Ufficio Storico della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale[33] furono uno degli strumenti più utilizzati dal regime per diffondere il mito della Venere nera tra le truppe, specialmente nella fase di preparazione e nei primi mesi della campagna di Etiopia. Si tratta in genere di raffigurazioni di fotografie (fig. 9), oppure di disegni e vignette.
Altra fonte interessante è la serie disegnata da Enrico De Seta prodotta anch’essa a cavallo tra il ’35 e il ‘36. Queste cartoline ricalcano tutti gli stereotipi più razzisti e sessisti. È chiaro sopratutto in Ufficio postale e Al mercato (figg. 12, 13), la mercificazione della donna africana che queste immagini vogliono trasmettere, raffigurata esclusivamente come oggetto sessuale.
Mentre in La moretta innamorata ed Esercito abissino (figg. 14, 15) si ripropone ancora una volta l’idea della naturale disponibilità delle donne africane. Ciò che però è più interessante evidenziare per queste vignette, e che ci consente di segnare l’inizio di una svolta
[...] sempre fetide del burro rancido che cola a goccioline sul collo; sfatte a vent’anni; per secolare servaggio amoroso fatte fredde ed inerti tra le braccia dell’uomo; e per una bella dal viso nobile e composto, cento ce ne sono dagli occhi cipriosi, dai tratti duri e maschili, dalla pelle butterata. [...] Le parole faccetta nera sono peggio che idiote. Sono indice di una mentalità che vorremmo trapassata[38].
Nelle razze negre, l’inferiorità mentale della donna confina spesso con una vera e propria deficienza; anzi, almeno in Africa, certi contegni femminili vengono a perdere molto dell’umano, per portarsi assai prossimi a quelli degli animali[39].Per combattere quindi in modo deciso la promiscuità tra italiani e africani e imporre così una «naturalizzazione dei rapporti di dominio»[40], il razzismo già ampiamente diffuso diviene, grazie a una capillare azione di propaganda voluta dal governo e sostenuta dal supporto “scientifico” di antropologi e medici, un razzismo biologico che, sommato a un’escalation legislativa, porterà al razzismo di Stato[41].
È evidente, osservate queste immagini, quanto l’approccio sia diverso rispetto alle cartoline pornografiche di cui si è parlato in precedenza anche se, è importante ricordarlo, entrambe le serie di fotografie condividono uno sguardo coloniale che presuppone una superiorità dell’uomo occidentale sulla donna africana.
3. Conclusioni
In questo articolo ho cercato di ripercorrere alcune modalità attraverso le quali l’Africa e gli africani sono stati rappresentati agli occhi della popolazione italiana. Inizialmente, ho provato a evidenziare dell’utilizzo delle donne nella costruzione dell’immaginario coloniale e l’importanza centrale che questa rappresentazione ha avuto in tutte le politiche di colonizzazione tanto da costituire una dinamica di lungo periodo che attraversa molte storie nazionali europee a partire dall’epoca moderna.
Ho cercato successivamente di mostrare quanto gli stereotipi costruiti sui corpi delle donne, prima sessualmente caricati e poi imbruttiti, deformati e disumanizzati, siano stati funzionali al dominio coloniale italiano in Africa orientale. Una prospettiva che mette in luce i caratteri fondamentalmente razzisti dell’impresa coloniale fascista. È infatti centrale, a mio avviso, inquadrare anche la vicenda coloniale italiana nella storia del razzismo europeo. Troppo spesso, infatti, la valutazione sul razzismo fascista – specialmente fuori dalla ricerca storica, nell’opinione pubblica italiana – si concentra esclusivamente sulle leggi razziali del 1938 applica nel territorio italiano e sulle politiche antisemite del regime. Questa tendenza, che dimentica appunto il razzismo coloniale, non coglie l’essenza del razzismo di Stato a cui il fascismo arrivò e considera le leggi razziali come una deriva del regime costretto a seguire le politiche dell’alleato tedesco. Il famoso «sovrano disprezzo per talune dottrine d’oltralpe» con cui Mussolini apostrofò il razzismo nazista nel 1934 durante un pubblico discorso a Bari, voleva esclusivamente ribadire il primato dei latini nella gerarchia delle civiltà europee e rispetto alla purezza ariana germanica – oltre che a mantenere un certo distacco politico dal nazismo in un periodo in cui Mussolini era ancora interessato a non compromettere l’amicizia con l’Inghilterra e la Francia. Leggere il razzismo fascista come una deriva del regime per ingraziarsi Hitler non coglie quindi, a mio avviso, l’essenza del colonialismo fascista e contribuisce ad alimentare il mito degli “italiani brava gente”.
Malgrado ciò, è importante sottolineare che la svolta razzista del 1936 e tutti i tentativi compiuti per separare italiani e africani (si provò addirittura, con scarso successo, a sostituire le moltissime prostitute nere reclutate precedentemente per i soldati con donne bianche[46]) incontrarono innumerevoli ostacoli nell’affermarsi. Tuttavia, la penetrazione del pregiudizio razzista fu considerevole nella popolazione italiana[47], provocando un inasprimento decisivo nel comportamento delle truppe in A.O.I. (dimostrato dal drastico aumento degli stupri e delle violenze su donne e uomini indigeni)[48] e rafforzando molti stereotipi che tutt’oggi emergono in determinate occasioni[49].
Note
[1] Sul rapporto tra alterità e identità si segnala: Michael Taussig, Mimesis and alterity: a particular history of the senses, New York, Routledge, London 1993.[2] Si pensi alla Kodak, prima fotocamera commerciale diffusa dal 1888, che non richiedendo una particolare preparazione professionale, permetteva a chiunque di diffondere immagini delle nuove terre conquistate.
[3] Tra le tante si ricordano: R. Hyann, Empire and sexuality, Manchester University Press, Manchester 1990, M. Sinha,Colonial masculinity: the manly Englishman and the effeminate Bengali in the late nineteenth century, Manchester University Press, Manchester 1995; McClintock,Imperial leather: race, gender and sexuality in the colonial contest, Routledge, New York 1995
[4] Se ne citano alcune: G. Campassi, M. T. Sega, Uomo bianco e donna nera. L’immagine della donna nella fotografia coloniale, in «Rivista di storia e critica fotografica», IV, 5, giugno-ottobre, 1983; B. Sòrgoni,Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Liguori, Napoli 1998; A. Alessandro, Faccetta nera. Le donne, la razza e la politica coloniale fascista nell’Africa Orientale Italiana, in «Calendario del popolo», 57, 660, gennaio 2002, pp. 8-15; G. Stefani, Colonia per maschi: italiani in Africa orientale: una storia di genere, Ombre corte, Verona 2007; N. Poidimani, Difendere la ‘razza’. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini, Sensibili alle Foglie, 2009.
[5] S. Palma, L’Italia coloniale, Editori Riuniti, Roma 1999, p. 44.
[6] A Mogadiscio esisteva addirittura la ditta Edizioni Artistiche Fotocine specializzata in nudi femminili. Fonte: L. Goglia,Colonialismo e fotografia. Il caso italiano, (1885-1940), Sicania, Messina 1989.
[7] G. Campassi, M. T. Sega, Uomo bianco e donna nera…, op. cit., p. 55
[8] A. McClintock, Imperial leather…, op. cit., p. 22.
[9] Rispetto al tema dell’avventura coloniale come rigenerazione della virilità di segnalano i romanzi: L. Bricchetti, Nell’Harar, Galli, Milano 1896; G. D’Annunzio,Più che l’amore (1906), F. T. Marinetti, Mafarka il futurista(1909).
[10] Era il termine utilizzato per descrivere coloro che rimanevano “intrappolati” nel continente perdendo la propria identità. Ci cita come esempio un romanzo scritto dall’ex colonnello Ernesto Quadrone, Madundu. Cacciatori d’ombre all’Equatore (1935), dove il protagonista subisce appunto l’insabbiamento, perde la sua identità e si “indigenisce”.
[11] In questo caso ci si riferisce alle prime misure legislative contro il meticciato limitate all’A.O.I. che inaugurano l’escalation legislativa che porterà alle leggi razziali del 1938. Si tratta, nello specifico, del R.D.L. 19 aprile 1937, n. 880, che stabilisce sanzioni per i rapporti di indole coniugale tra cittadini e sudditi coloniali, mettendo definitivamente fuori legge il madamato. Vedi: G. Stefani, op. cit., p. 67.
[12] Per affrontare questo personaggio e analizzarne parte della produzione fotografica si è utilizzata la ricerca di Silvana Palma, Fotografia di una colonia: l’Eritrea di Luigi Naretti (1885/1910), in «Quaderni storici», 37 (1), 2002, pp. 83-147.
[13] Personaggio importantissimo del primo colonialismo italiano, per maggiori informazioni si veda: Alberto Sbacchi-Gino Vernetto (cur.), Giacomo Naretti alla corte del negus Johannes IV d’Etiopia (Diari 1856-1881), Associazione di storia e arte canavesana, Ivrea 2004.
[14] Viste le scarsissime informazioni sul personaggio il suo arrivo in Africa è stato dedotto dalla data recata su due fotografie da lui scattare. Fonte: S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 85.
[15] Le fotografie a noi pervenute sono 256, di cui 33 rappresentano donne africane. Fonte: S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 87. La maggior parte erano di proprietà della Società africana d’Italia di Napoli. Si segnala in proposito: S. Palma (cur.), Raccolte fotografiche e cartografiche, in «Archivio storico della Società africana d’Italia», Istituto universitario orientale, Dipartimento di studi e ricerche su Africa e paesi arabi, Napoli 1996.
[16] S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 98.
[17] S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 97.
[18] S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 99.
[19] S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., 100. Si ricorda sopratutto l’importanza della cartolina, inventata in Austria nel 1869, che divenne ben presto il mezzo più semplice per una diffusione di massa dell’immagine delle colonie a un pubblico in gran parte ancora analfabeta. Vedi: L. Goglia,Le cartoline illustrate italiane della guerra 1935-1936: il negro nemico selvaggio e il trionfo della civilta di Roma, inLa menzogna della razza: documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Grafis, Bologna 1994, p. 37, n. 2.
[20] Si ricordano i dipinti più famosi dai temi esotici e orientali:La grande Odalisca 1814, Odalisca con una schiava 1842,La sorgente 1856, Il bagno turco 1862, etc.
[21] S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., p. 106.
[22] E. Bini, Fonti fotografiche e storia delle donne: la rappresentazione delle donne nere nelle fotografie coloniali italiane, Convegno SISSCO Cantieri di Storia II, Lecce (Settembre) 2003, p. 7.
[23] Si riporta in proposito un commento del medico italiano Ambrogetti: “Quanto sono restie le prostitute abissine a farsi fotografare nude!”. Fonte: P. Ambrogetti, La vita sessuale nell’Eritrea, F.lli Capaccini, Roma 1900, p. 18.
[24] C. Volpato, La violenza contro le donne nelle colonie italiane, in «DEP rivista telematica di studi sulla memoria femminile», n. 10, maggio 2009.
[25] Si segnala, per esempio, quanto questi pregiudizi abbiano influenzato anche l’applicazione della legge. A un uomo italiano accusato di stupro su una ragazzina di nove anni gli vennero garantite tutte le attenuanti proprio in considerazione «della facilità di costumi […] e della diversità del concetto morale locali»: S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit., pp. 104-105
[26] G. Campassi, M.T. Sega, Uomo bianco. Donna nera, op. cit., pp. 61-62
[27] G. Barrera, Dangerous Liaisons: Colonial Concubinage in Eritrea (1890-1941), «Program of African Studies Working Papers» n.1, North-Western University, Evanston 1996, p. 22.
[28] Mario dei Gaslini, Piccolo amore beduino (1926); G. Zucca,Il paese di madreperla. Sette mesi in Somalia (1926); Mario Appelius, Il cimitero degli elefanti (1928); Gino Mitrano Sani, La reclusa di Sarabub (1931) e Femina somala (1933); Tedesco Zammarano, Azanagò non pianse (1934). Sono alcuni dei molti romanzi usciti durante il fascismo nei quali temi come la riscoperta della sessualità più primitiva e del contatto con la natura costituiscono le ragioni per le quali i protagonisti dei racconti si trasferiscono nelle colonie. Vedi: G. Stefani, Colonia per maschi, op. cit., p. 95.
[29] Come ad esempio i cioccolatini faccetta nera. Vedi: K. Pinkus, Bodily Regimes: Italian Advertising under Fascism, University of Minnesota Press, pp. 52-57.
[30] E. Bini, Fonti fotografiche e storia delle donne, op. cit., p. 2. Per un apporfondimento sul razzismo italiano tra XIX e XX secolo si veda: A. Burgio (cur.), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999.
[31] La preparazione alla vita coloniale avvenne anche attraverso importanti apparati organizzativi e di propaganda come: la fondazione dell’Istituto Luce nel 1924, l’istituzione nel 1926 della “giornata coloniale”, la trasformazione dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio in Ministero per la Stampa e la propaganda nel 1935, la diffusione della “coscienza coloniale” nelle aule scolastiche, etc. N. Poidimani, Difendere la ‘razza’…, op. cit., pp. 77-80.
[32] N. Poidimani, Faccetta nera: i crimini sessuali del colonialismo fascista nel Corno d’Africa, in L. Borgomaneri (cur.), Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati, Guerini e Associati, Milano 2006, p. 3.
[33] L. Goglia, Le cartoline illustrate italiane della guerra etiopica 1935-1936, in La menzogna della razza, op. cit., p. 28.
[34] La menzogna della razza, op. cit., pp. 175-176.
[35] La canzone fu lanciata nel 1935 da Carlo Buti. Autore delle musiche era Mario Ruccione mentre le parole, originariamente in dialetto romano, erano di Renati Micheli.
[36] Come l’inizio della seconda strofa: «La legge nostra è schiavitù d’amore». Fonte: A. V. Savona-M. L. Straniero,Canti dell’Italia fascista (1919-1945), Garzanti, Milano 1979, p. 215.
[37] N. Poidimani, Difendere la ‘razza’, op. cit., p. 126.
[38] Paolo Monelli, Moglie e buoi dei paesi tuoi, in «Gazzetta del popolo», 13 giugno 1936.
[39] L. Cipriani, Un assurdo etnico: l’impero etiopico, R. Bemporand & Figlio Editori, Firenze 1935, p. 181.
[40] N. Poidimani, Difendere la ‘razza’, op. cit., p. 76.
[41] Le leggi razziali promulgate con il 15 novembre 1938 sono infatti il risultato definitivo di una serie di leggi già sperimentate in Africa: l’eliminazione delle misure di acquisizione della cittadinanza italiana per i meticci nel R.D.L. 1 giugno 1936, n. 1019, la già citata legge sui rapporti coniugali tra africani e italiani (R.D.L.19 aprile 1937, n. 880), il sistema di segregazione previsto dalle Direttive d’azione per l’organizzazione e l’avvaloramento in A.O.I., ecc.
[42] L. Cipriani, Riti e superstizioni, in «La difesa della razza», anno IV, n. 10, pp. 18-21.
[43] E. Fischer, I bastardi di Rehboth, in «La difesa della razza», anno III, n. 10, pp. 12-17.
[44] N. Poidimani, Oltre le monoculture del genere, Mimesis, Milano 2006, p. 65.
[45] C. Colosso, I pigmei africani, in «La difesa della razza», anno IV, n. 14, pp. 6-9.
[46] G. Stefani, Colonia per maschi, op. cit., pp. 132-135.
[47] Si riporta per esempio la protesta fatta da un comune cittadino, Ugo Celano, su «La difesa della razza», anno III, n. 5, p. 45, in merito a una sentenza della corte d’appello di Torino che aveva assolto una donna italiana già condannata in primo grado per rapporti coniugali con un tripolino. Celano, scandalizzato dalla notizia, ritiene inaccettabile che un simile attacco al prestigio della razza italiana sia permesso da un tribunale dello Stato.
[48] G. Stefani, Colonia per maschi, op. cit., p. 136.
[49] N. Poidimani, Difendere la ‘razza’, pp. 80-81, pp. 167-168; Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?: un mito duro a morire, N. Pozza, Vicenza 2005
Bibliografia
Letteratura principale:1. A. Alessandro, Faccetta nera. Le donne, la razza e la politica coloniale fascista nell’Africa Orientale Italiana, in «Calendario del popolo», n. 57, 660, gennaio 2002, pp. 8-15.
2. G. Barrera, Dangerous Liaisons: Colonial Concubinage in Eritrea (1890-1941), in «Program of African Studies Working Papers» n.1, North-Western University, Evanston 1996.
3. E. Bini, Fonti fotografiche e storia delle donne: La rappresentazione delle donne nere nelle fotografie coloniali italiane, Convegno SISSCO Cantieri di Storia II, Lecce (settembre) 2003.
4. A. Del Boca-N. Labanca, L’impero africano del fascismo nelle fotografie dell’Istituto Luce, Editori riuniti, Istituto Luce, Roma 2002.
5. A. Burgio (cur.), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999.
6. G. Campassi-M. T. Sega, Uomo bianco e donna nera. L’immagine della donna nella fotografia coloniale, in «Rivista di storia e critica fotografica», n. IV (5), giugno-ottobre, 1983, pp. 54-62.
7. L. Goglia, Storia fotografica dell’impero fascista 1935-1941, Laterza, Roma-Bari 1986.
8. L. Goglia, Colonialismo e fotografia. Il caso italiano, (1885-1940), Sicania, Messina 1989.
9. A. McClintock, Imperial leather: race, gender and sexuality in the colonial contest, Routledge, New York 1995.
10. La menzogna della razza: documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Bologna Grafis, 1994.
11. S. Palma, Fotografia di una colonia: l’Eritrea di Luigi Naretti (1885/1910), in «Quaderni storici», n. 37 (1), 2002, pp. 83-147.
12. N. Poidimani, Difendere la ‘razza’. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini, Sensibili alle Foglie, 2009.
13. N. Poidimani, Faccetta nera: i crimini sessuali del colonialismo fascista nel Corno d’Africa, in L. Borgomaneri (cur.), Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati, Guerini e Associati, Milano 2006.
14. N. Poidimani, Oltre le monoculture del genere, Mimesis, Milano 2006.
15. G. Stefani, Colonia per maschi: italiani in Africa orientale: una storia di genere, Ombre corte, Verona 2007.
16. C. Volpato, La violenza contro le donne nelle colonie italiane, in «DEP rivista telematica di studi sulla memoria femminile», n. 10, maggio 2009.
Fonti letterarie:
1. B. Imbasciati, Razze e malaria, in «La difesa della razza», anno III, n. 2, pp. 4-7.
2. L. Cipriani, Un assurdo etnico: l’impero etiopico, R. Bemporand & Figlio Editori, Firenze 1935.
3. L. Cipriani, I Boscimani, in «La difesa della razza», anno IV, n. 21, pp. 12-15.
4. L. Cipriani, Riti e superstizioni, in «La difesa della razza», anno IV, n. 10, pp. 18-21.
5. Faccetta nera in A. V. Savona, M. L. Straniero, Canti dell’Italia fascista (1919-1945), Garzanti, Milano 1979, p. 215.
6. Lettera di Ugo Celano da Torino, in «La difesa della razza», anno III, n. 3, p. 45.
7. G. Pensabene, Il meticciato, in «La difesa della razza», anno IV, n. 8, pp. 6-9.
Fonti visive, tratte da:
1. http://www.wmich.edu/dialogues/sitepages/vespucci.html
2. S. Palma (cur.), Raccolte fotografiche e cartografiche, in «Archivio storico della Società africana d’Italia», Istituto universitario orientale, Dipartimento di studi e ricerche su Africa e paesi arabi, Napoli 1996;
3. S. Palma, Fotografia di una colonia, op. cit.
4. Come siamo diventati colonialisti, in «GEO», n. 3, marzo 2006, p. 125 (immagini prese dal Laboratorio di Ricerca e Documentazione Storica Audiovisiva dell’Università di Roma Tre).
5. Goglia L., Storia fotografica dell’impero fascista 1935-1941, Laterza, Roma-Bari 1986, foto. 485.
6. Cipriani L., Riti e superstizioni, in «La difesa della razza», anno IV, n. 10, p. 19.
7. Fischer E., I bastardi di Rehboth, in «La difesa della razza», anno III, n. 10, p. 12.
8. Colosso C., I pigmei africani, in «La difesa della razza», anno IV, n. 14, p. 6.
Fonte
3 commenti:
Grazie per il re-post
Il Caso S.
Complimenti! Ho visto recentemente una vecchissima intervista in cui Montanelli, volontario in Abissinia, raccontava di aver comprato una moglie (chiamata Milena) di 12 anni (lui ne aveva 27) che ogni 15 giorni lo raggiungeva nei diversi accampamenti militari. Non sono riuscito a trovare il flmato, ma solo questa citazione: http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090528172202AAxCt5y
Marco
grazie davvero!
lucky
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