Lo studio dei residui microscopici di sostanza organica conservati nei frammenti di vaso provenienti dallo scavo del villaggio neolitico di Takarkori in Libia – datati a partire dal 5200 a.C. – ha fornito la prima evidenza diretta dell’uso e trasformazione del latte vaccino (‘daiyring’) presso le comunità di allevatori che abitarono questo riparo nelle montagne del Tadrart Acacus, nel sud della regione del Fezzan.
Il consumo e la lavorazione del latte vaccino (trasformato in burro, yogurt, formaggio) sono attestati inizialmente in Anatolia – uno delle zone dove i bovini selvatici vennero domesticati – nel 7° millennio a.C., e a partire dal 6° millennio in Europa orientale. In Africa, sebbene l’arte rupestre sahariana fornisca un eccezionale affresco delle attività pastorali del Neolitico – che include scene di mungitura – i problemi legati alle datazioni delle stesse ne hanno sempre impedito un uso sperimentalmente valido.
La ricerca condotta da Stefano Biagetti e Savino di Lernia della Missione Archeologica nel Sahara della Sapienza (http://www.acacus.it), in collaborazione con Julie Dunne e Richard Evershed dell’Università di Bristol (UK), è durata alcuni anni, concentrandosi su una selezione di frammenti ceramici scavati in Libia sud-occidentale nell’insediamento di Takarkori (datati tra circa 5200 e 4000 a.C.).
Il contributo che questa ricerca fornisce va ben oltre l’occasionale scoperta di un reperto pur eccezionale, ma offre un vivido spaccato della vita quotidiana dei primi pastori africani e su alcune specifiche traiettorie evolutive nel resto del continente. L’evidenza diretta e inequivocabile dello sfruttamento del latte e della sua trasformazione attraverso cottura in molti (c. 30%) contenitori ceramici sin dal 5200 a.C. indica un inizio assai precoce dell’allevamento bovino nel Sahara centrale – più antico di quanto comunemente ipotizzato – e spiega come il latte, grazie alla trasformazione in burro, yogurt o formaggio, potesse essere consumato, nonostante l’intolleranza al lattosio. Questi aspetti si legano alla più ampia tematica delle mutazioni genetiche (in particolare, l’allele 213910*T), che oggi ritroviamo in gruppi dell’Africa centrale ed occidentali, come i Fulbe.
La scoperta, pubblicata sull’ultimo numero di Nature (21 giugno 2012), testimonia l’elevato sviluppo sociale ed economico raggiunto dai pastori del Neolitico medio nel Sahara centrale. Le evidenze archeologiche raccolte dalla Missione della Sapienza negli ultimi anni sulla diffusione della pastorizia nel Sahara sono molte, e includono resti di accampamenti, monumenti funerari e naturalmente la formidabile arte rupestre. Proprio le pitture parietali del Tadrart Acacus – patrimonio mondiale UNESCO dal 1985 – ci raccontano nei dettagli la vita dei pastori africani, i loro spostamenti, le cerimonie, la mungitura del bestiame, le mandrie – come finemente rappresentato dalla foto di Roberto Ceccacci sulla copertina di Nature.
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