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Il documentario HASANKEYF WAITING LIFE, una produzione Hagam per la regia di Mauro Colombo, presentato il 22 dicembre 2008 a Varese, per la prima volta, cala nella quotidianità della vita del villaggio un conflitto più grande, dove la storia si scontra con la modernità, gli interessi nazionali con quelli locali, l'esigenza di crescita personale con la preservazione delle proprie radici.
Nel triangolo compreso tra le città di Diyarbakir, Batman e Mardin, il villaggio di Hasankeyf rappresenta uno dei tesori storico-artistici della Turchia sud-orientale. Uno dei più antichi insediamenti della Mesopotomia come recitano le guide turistiche che attribuiscono 12.000 anni di storia a questo villaggio che per la sua gran parte è abbarbicato sulle sponde rocciose della riva destra del Tigri, che qui scorre largo e veloce. “E’ il luogo dove si incontrano le culture provenienti dall’Asia Centrale, dall’Iran, dalla Mesopotamia con quelle provenienti da Occidente” ricorda il professor Arik dell’Università di Canakkale, che ad Hasankeyf scava dal 1985.
Le migliaia di grotte, ancora abitate fino a pochi decenni fa, che scavano lo sperone di roccia che troneggia sul paese testimoniano di quanto antiche siano le tracce di insediamenti umani. I resti della rocca che sovrastano il paese ci ricordano come questa parte della Mesopotamia sia stata a lungo contesa tra Bizantini e i Sassanidi, prima che a partire dal 638 d.C. fossero popolazioni islamiche, iraniche, curde, arabe e turche a contendersi la regione. Una sovrapposizione di civiltà e culture che hanno lasciato ampie tracce del loro passaggio.
A cominciare dalle arcate che stanno maliconicamente piantate al centro del letto del Tigri, ricordo di uno ponte costruito nel 1100 e poi in parte andato distrutto nel 16° secolo. Oppure l’elegante silhouette del minareto della moschea El-Rizk che svetta tra le case del paese. Sulla riva opposta del Tigri poi si erge, nella sua orgogliosa solitudine, la turbe (tomba) che Mehmet il Lungo, capostipite della tribù turcomanna del Montone Bianco, ha voluto erigere intorno al 1400 al figlio maggiore Zeynel, morto in giovane età. Sulla cupola sono ancora visibili alcune delle tessere di ceramica azzurra che un tempo la ricoprivano completamente, testimonianza dei legami con la cultura persiana dell’architetto che l’ha realizzata.
Su questo gioiello della cultura mesopotamica, inserito in un contesto di grande ricchezza naturalistica quale quello della valle del Tigri, incombe però da più di cinquant’anni lo spettro dell’annientamento. Risalgono infatti al 1954 i primi passi per la elaborazione del progetto della diga di Ilisu che, una volta completata, sommergerebbe l’intero paese.. Progetti che nel corso degli anni ’70 e ’80 si sono fatti più dettagliati. Nel 1988 lo stato turco ha però dovuto riconoscere l’impossibilità di garantire i finanziamenti necessari. Della diga di Ilisu si è ritornati a parlare nel 1999 con la creazione di un consorzio internazionale, guidato dalla svizzera Sulzer AG, disposto a finanziare e realizzare i lavori. All’epoca però le proteste e le mobilitazioni internazionali avevano fatto desistere dal proposito le ditte coinvolte ed il progetto ancora una volta era finito nel dimenticatoio.
Per poco però, perchè dopo alcuni anni di silenzio, che avevano fatto nascere speranze per un rilancio in chiave turistica di Hasankeyf, le voci di una ripresa dell’attività intorno al progetto della diga hanno ricominciato da mesi a farsi più insistenti.
La ripresa dell’interesse per la diga di Ilisu coincide con il ritorno nell’agenda politica del paese della questione dello sfruttamento delle acque.
Oggi ad Hasankeyf abitano cinquemila persone, per la maggior parte di origine curda: una comunità che vive come sospesa da quando, nel 1954, nacque il progetto della diga Ilisu, che una volta completata sommergerà Hasankeyf sotto trenta metri d'acqua. Ma ad Hasankeyf tutto continua come se nulla dovesse accadere. I bambini giocano nell'acqua, i più grandi coltivano la terra e portano al pascolo gli animali, le ragazze al fiume mungono le capre, i piccoli ristoranti attendono i turisti che durante l´anno raggiungono Hasankeyf. Non c'è lavoro ad Hasankeyf. Le prospettive di vita sono limitate alla povera realtà del villaggio. Nessuno vuole investire in un turismo che potrebbe diventare florido, se solo il paese tra qualche anno ci fosse ancora. Mentre altrove si decidono le sorti di questo luogo, un'intera comunità vive in un limbo senza reali notizie del loro destino e con un estenuante indecisione su cosa fare.
Nel triangolo compreso tra le città di Diyarbakir, Batman e Mardin, il villaggio di Hasankeyf rappresenta uno dei tesori storico-artistici della Turchia sud-orientale. Uno dei più antichi insediamenti della Mesopotomia come recitano le guide turistiche che attribuiscono 12.000 anni di storia a questo villaggio che per la sua gran parte è abbarbicato sulle sponde rocciose della riva destra del Tigri, che qui scorre largo e veloce. “E’ il luogo dove si incontrano le culture provenienti dall’Asia Centrale, dall’Iran, dalla Mesopotamia con quelle provenienti da Occidente” ricorda il professor Arik dell’Università di Canakkale, che ad Hasankeyf scava dal 1985.
Le migliaia di grotte, ancora abitate fino a pochi decenni fa, che scavano lo sperone di roccia che troneggia sul paese testimoniano di quanto antiche siano le tracce di insediamenti umani. I resti della rocca che sovrastano il paese ci ricordano come questa parte della Mesopotamia sia stata a lungo contesa tra Bizantini e i Sassanidi, prima che a partire dal 638 d.C. fossero popolazioni islamiche, iraniche, curde, arabe e turche a contendersi la regione. Una sovrapposizione di civiltà e culture che hanno lasciato ampie tracce del loro passaggio.
A cominciare dalle arcate che stanno maliconicamente piantate al centro del letto del Tigri, ricordo di uno ponte costruito nel 1100 e poi in parte andato distrutto nel 16° secolo. Oppure l’elegante silhouette del minareto della moschea El-Rizk che svetta tra le case del paese. Sulla riva opposta del Tigri poi si erge, nella sua orgogliosa solitudine, la turbe (tomba) che Mehmet il Lungo, capostipite della tribù turcomanna del Montone Bianco, ha voluto erigere intorno al 1400 al figlio maggiore Zeynel, morto in giovane età. Sulla cupola sono ancora visibili alcune delle tessere di ceramica azzurra che un tempo la ricoprivano completamente, testimonianza dei legami con la cultura persiana dell’architetto che l’ha realizzata.
Su questo gioiello della cultura mesopotamica, inserito in un contesto di grande ricchezza naturalistica quale quello della valle del Tigri, incombe però da più di cinquant’anni lo spettro dell’annientamento. Risalgono infatti al 1954 i primi passi per la elaborazione del progetto della diga di Ilisu che, una volta completata, sommergerebbe l’intero paese.. Progetti che nel corso degli anni ’70 e ’80 si sono fatti più dettagliati. Nel 1988 lo stato turco ha però dovuto riconoscere l’impossibilità di garantire i finanziamenti necessari. Della diga di Ilisu si è ritornati a parlare nel 1999 con la creazione di un consorzio internazionale, guidato dalla svizzera Sulzer AG, disposto a finanziare e realizzare i lavori. All’epoca però le proteste e le mobilitazioni internazionali avevano fatto desistere dal proposito le ditte coinvolte ed il progetto ancora una volta era finito nel dimenticatoio.
Per poco però, perchè dopo alcuni anni di silenzio, che avevano fatto nascere speranze per un rilancio in chiave turistica di Hasankeyf, le voci di una ripresa dell’attività intorno al progetto della diga hanno ricominciato da mesi a farsi più insistenti.
La ripresa dell’interesse per la diga di Ilisu coincide con il ritorno nell’agenda politica del paese della questione dello sfruttamento delle acque.
Oggi ad Hasankeyf abitano cinquemila persone, per la maggior parte di origine curda: una comunità che vive come sospesa da quando, nel 1954, nacque il progetto della diga Ilisu, che una volta completata sommergerà Hasankeyf sotto trenta metri d'acqua. Ma ad Hasankeyf tutto continua come se nulla dovesse accadere. I bambini giocano nell'acqua, i più grandi coltivano la terra e portano al pascolo gli animali, le ragazze al fiume mungono le capre, i piccoli ristoranti attendono i turisti che durante l´anno raggiungono Hasankeyf. Non c'è lavoro ad Hasankeyf. Le prospettive di vita sono limitate alla povera realtà del villaggio. Nessuno vuole investire in un turismo che potrebbe diventare florido, se solo il paese tra qualche anno ci fosse ancora. Mentre altrove si decidono le sorti di questo luogo, un'intera comunità vive in un limbo senza reali notizie del loro destino e con un estenuante indecisione su cosa fare.
2 commenti:
Stanno facendo immensi danni. Stanno facendo sparire l'acqua dall'Asia minore.
Ho visto qualcosa nel mar Caspio...
Ciao amico mio
E' che principalmente ci facciamo solo del male. Non abbiamo neppure ancora capito che non è di qualcuno la terra o l'acqua ma è di tutti.
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