lunedì 9 gennaio 2012

"CONFLITTI AMBIENTALI. BIODIVERSITÀ E DEMOCRAZIA DELLA TERRA"

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L'attuale panorama mondiale è caratterizzato da una sempre maggiore diffusione dei conflitti ambientali. Tanto che negli ultimi decenni sono divenuti fenomeni di grande interesse per le loro implicazioni politiche, economiche e sociali. Vuoi perché rappresentano una realtà non solo locale, ma anche e ancor prima globale - dunque toccano i rapporti fra i paesi "poveri" e quelli "ricchi" -, vuoi perché stimolano spesso nelle comunità coinvolte e in generale nella società civile forme nuove e dirette di partecipazione (spesso l'opposizione sociale è in grado di elaborare e sperimentare strumenti di democrazia che partano dal basso). Oltre a contribuire, però, all'aumento del fenomeno delle migrazioni ambientali. E anche perché i conflitti ambientali alla fine non sono altro che «la manifestazione degli effetti che il modello di sviluppo centrato esclusivamente nella crescita economica espressa con l'indicatore Pil produce in termini  ambientali e sociali».
"Conflitti ambientali. Biodiversità e democrazia della terra" - il lavoro redatto dal Cdca (Centro di documentazione dei conflitti ambientali) - partendo da questo assunto riporta, descrive e analizza le situazioni mondiali più calde, le risorse più minacciate e le conseguenze che il loro sfruttamento hanno sulla popolazione locale, passando anche in rassegna alcuni casi emblematici di conflitti ambientali in America Latina, Asia e Africa. Casi che dimostrano il legame che esiste fra «sfruttamento selvaggio delle risorse, perdita di biodiversità, degrado ambientale, violazione dei diritti delle comunità residenti e insorgenza di movimenti organizzati portatori di tradizioni e pratiche proprie della gestione dei beni e del territorio».
Il testo non manca di mostrare e trattare le proposte per la prevenzione e la risoluzione non violenta dei conflitti ambientali, così come non manca di esaminare il fenomeno dei profughi ambientali a livello globale.
Nella pratica, un conflitto ambientale si manifesta quando progetti di opere pubbliche o private, oppure politiche locali, nazionali o sopranazionali con rilevanti impatti ambientali incontrano e si scontrano con l'opposizione sociale civile. Proprio perché tali opere o politiche possono produrre perdita delle biodiversità e anche degrado dei servizi ambientali gratuiti sulla quale si basa la sussistenza e la sopravvivenza di determinate realtà come quelle degli abitanti delle zone rurali del sud del mondo.
Politiche estrattive o produttive non sostenibili promosse da imprese, governi e istituzioni finanziarie internazionali, in paesi meno ricchi dove le regole ambientali scarseggiano, presentati come progetti di "sviluppo" finiscono con intaccare le condizioni di riproduzione della vita delle comunità indigene. E sono spesso le principali cause della spinta a migrare. Si assiste dunque anche a processi di rapida urbanizzazione che interessano con particolare veemenza le megalopoli del Sud del mondo (ogni settimana un milione di persone lascia le aree rurali). Processi che hanno senza dubbio implicazione di carattere ambientale, ma anche economico e sopratutto sociale. Ne è un esempio la proliferazione di slum e favelas ossia delle aree degradate periferiche dei grandi centri urbani, prive di servizi, di strutture di base, caratterizzate da un'altissima densità di popolazione. Ne è un altro esempio le migrazioni verso l'Europa, l'Usa e la mancanza di una normativa adeguata per affrontare la questione.
Insomma i conflitti ambientali causano nel sud del mondo l'esclusione di sempre più persone dal godimento del diritto all'alimentazione, all'acqua, alla sussistenza e all'autodeterminazione configurando una minaccia per la vita di migliaia di comunità locali. Sono molti i casi in cui è possibile osservare che dove vengono portate avanti attività estrattive su larga scala, istallati grandi progetti per la trasformazione o la produzione di beni senza attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale si creano sacche di povertà e spesso di violenza. Esempi eclatanti lo sono l'estrazione di idrocarburi nelle zone amazzoniche o delle miniere della dorsale andina.
Un sistema economico globale che insieme alle sue strategie di espansione, la corsa verso le risorse naturali sempre più scarse ha messo in crisi le moderne democrazie rappresentative incapaci di dare risposte concrete alle devastazioni dei territori e della scarsità di meccanismi di partecipazione reale nelle decisioni politiche.
Ecco che molti movimenti di opposizione territoriale nel Sud del mondo stanno lavorando alla costruzione di alternative di gestione del territorio e dell'articolazione di strumenti che sono fondati sulla giustizia sociale e ambientale, la partecipazione, l'orizzontalità e l'inclusione.
Molto importante è stato il contributo delle popolazioni indigene la cui cosmovisione è incompatibile con il progressivo incontrollato sfruttamento di risorse e territorio. Per le popolazioni indigene la relazione con l'ambiente è basata non sulla esclusiva necessità di utilizzare risorse al fine di trarne giovamento o profitto, ma soprattutto sulla dimensione spirituale del rapporto di equilibrio fra l'uomo e l'ambiente. Così le lotte indigene sono riuscite a consacrare in nuove costituzioni come quella dell'Ecuador e la Bolivia il riconoscimento di diritti e tutele proprie in capo alla natura.
In occidente e in particolare in Italia le cose però sembrano un po' diverse. In Italia vengono contestate anche opere, impianti e infrastrutture ambientalmente sostenibili come impianti eolici e centrali a biogas o finalizzati a migliorare lo stato di salute dell'acqua e terreni come gli interventi di bonifica. Nel nostro paese sembra che il fenomeno dell'opposizione non faccia differenza fra un impianto di compostaggio o uno di biomasse, tra la Tav o il ponte sullo stretto di Messina. Tanto che la contestazione sembra travalicare le ragioni dello sviluppo sostenibile e della giusta ricerca di una valutazione partecipata dell'impatto delle grandi opere, fino ad arrivare allo scontro tout court.
Forse a causa di una scarsa informazione sulle caratteristiche degli impianti e scarsa conoscenza anche delle normative ambientali. Nel panorama giuridico - a differenza di quelli di paesi del Sud - esistono una serie di disposizioni che consentono al pubblico di partecipare alle decisioni politiche.
Basti pensare alla valutazione strategica ambientale sui programmi o alla valutazione di impatto ambientale sui progetti che prevedono la possibilità da parte del cittadino di esporre le proprie opinioni sulla questione. Oppure il diritto all'informazione ambientale che prevede la possibilità di poter accedere a dati ambientali da parte del singolo senza la necessità di essere portatore di un interesse legittimo.
A cura del CDCA Edizione ambiente 2011

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