domenica 1 marzo 2009

JU JU

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Benin City è la città da cui proviene la stragrande maggioranza delle ragazze trafficate in Italia. Città di più di un milione di abitanti a circa 350 chilometri a est di Lagos, dove la povertà diffusa ed evidente stride in maniera sconcertante con alcuni simboli di ricchezza e potere ben esibiti: Suv americani ultimo modello, campi da golf col prato all’inglese, ville sontuose protette come fortezze. E lì accanto, il degrado di una città decadente, sporca, le strade disseminate di buche grandi come voragini, le case troppo spesso simili a baracche fatiscenti…
La vita qui costa poco e non vale quasi niente. Bastano pochi spiccioli per mangiare il solito piatto di riso e pesce secco, ma per pochi spiccioli una famiglia può «vendere» il proprio bimbo come domestico nelle case di chi sta un po’ meglio. Di lavoro non ce n’è ed è difficile capire come la gente riesca a cavarsela. C’è sempre un gran via vai di persone in strada, nei mercati, ovunque. Una miriade di attività «informali», ma di lavoro vero e proprio poco o nulla.
È qui il centro di quell’intricato intreccio di business e traffici, di azioni legali e riti tradizionali, di finanza e stregoneria, che è all’origine della tratta: un giro di favori e minacce, ricatti e doni, troppo vasto e complesso perché anche chi sa possa o voglia fare davvero qualcosa.
All’inizio venivano quasi tutte da Benin City. Ora le madame, le donne che gestiscono i traffici, e i loro corrieri rastrellano sempre di più i villaggi limitrofi, facendo balenare il sogno di un lavoro ben retribuito all’estero a famiglie estremamente povere e senza strumenti culturali per valutare il rischio a cui espongono le loro figlie. Quanto a loro, ragazze giovanissime e spesso analfabete, non aspettano altro: l’Europa, la bella vita, i soldi per loro e per le loro famiglie. Un sogno. Per il quale sarebbero disposte a tutto: a sottoporsi a un rito voudou - il ju ju - ad affrontare viaggi spaventosi, talvolta via terra, ad accettare di pagare un debito spropositato (50/80 mila dollari).

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Che cos’è lo ju ju? E’ la catena dell’occulto.

Diffuso in molte parti dell’Africa occidentale, il voudou è uno dei modi, attraverso i quali la popolazione vive e interpreta la realtà visibile e invisibile in cui vive. Tra magia e stregoneria, riti di guarigione e riferimenti all’occulto, il voudou permea e condiziona la vita della gente. Tutti vi credono fermamente, anche molti cristiani, sollevando il problema di un’evangelizzazione superficiale, ma anche di un’istruzione non adeguata, che possa contrastare pregiudizi e superstizioni.

Le ragazze che vengono trafficate in Italia passano tutte attraverso un rito voudou, che chiamano ju ju. I loro racconti parlano di luoghi «sacri» dove viene chiesto loro di consegnare alcuni indumenti intimi e parti del loro corpo (unghie, capelli, peli pubici e delle ascelle) che vengono mischiati con fluidi corporei (normalmente alcune gocce di sangue mestruale). Il babalau - lo stregone - esegue un rito, spesso facendo bere loro delle pozioni magiche, che danno potere e incutono paura. Devono giurare di non rivelare mai i nomi di coloro che le «aiuteranno» ad andare in Europa. Pena la cattiva sorte che si abbatterà su di loro e le loro famiglie. Il rito ju ju ha un grande potere sulle vittime, e rappresenta un forte vincolo, una catena psicologica, di cui i trafficanti si servono per controllare le ragazze, e che diventa una barriera difficilissima da superare per coloro che cercano di liberarle.

L’utilizzo del ju ju serve in alcuni casi per confermare un contratto, che può avere anche una forma legale, e che si concretizza in ritorsioni economiche sulla famiglia (in genere l’esproprio della casa).

Nei pressi di Benin City esistono numerosi sanctuary (case del ju ju); uno dei più importanti è chiamato Adeswa House. Viene aperta due volte l’anno ed è il tempio di tutti gli dei. Le madame più potenti portano lì le loro ragazze per sottoporle ai riti e al giuramento.

Perché proprio Benin City?», «Bisognerebbe fare l’esperienza di alzarsi la mattina e non avere cibo, arrivare a sera e non avere cibo; e non avere un lavoro, né benzina, né sapone per lavarsi… Bisognerebbe fare l’esperienza di chi lotta per sopravvivere per capire a fondo cosa spinge queste ragazze a partire a ogni costo. Ma la responsabilità della loro fuga va ricercata a un livello più alto: quello delle istituzioni e dei governi - locali, federali, internazionali -, corrotti e inetti; quello delle politiche internazionali ingiuste e discriminatorie, che non fanno altro che ampliare la frattura tra ricchi e poveri. E allora non andrebbero biasimate in prima istanza queste ragazze, ma innanzitutto coloro che sono responsabili della sperequazione e dell’ingiustizia distributiva che condanna tanta gente a vivere una vita indegna».

Il 50% della prostituzione in Italia è costituita da schiave nigeriane.

Consiglio la lettura del libro “Le ragazze di Benin city (ed. Melampo) di Laura Maragnani ed Isoke Aikpitanyi.

5 commenti:

Unknown ha detto...

Un articolo esauriente e chiarifcatore. Ma chiarisce la nostra netta e frustrante impotenza.

catone ha detto...

Hai ragione

upupa ha detto...

.....purtroppo queste realtà dovrebbero farci vergognare di essere uomini...

Sabatino Di Giuliano ha detto...

Alimentiamo questo traffico con la richiesta di "prostituzione" e con la mancanza completa di un piano di sviluppo di questi paesi, che devono essere mantenuti "sottosviluppati" per gli interessi del mondo "occidentale" intero...
Vergogna!

Gianna ha detto...

Caro Catone, mi hai chiarito alcune idee,grazie!Post interessante e approfondito.

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