Dello Yemen si tratta talvolta e in positivo per le bellezze straordinarie delle sua preziosa architettura, per il fascino degli scenari naturali, per le peculiarità della cultura.
Se ne è anche parlato in occasione dei numerosi rapimenti di turisti avvenuti negli ultimi anni, segno ed esito dei frequenti e costosi dissidi tribali che vi albergano: e qui si è aperto uno spiraglio sulla frammentarietà sostanziale del paese.
Poco si sa invece di un vero e proprio conflitto che oppone l’esercito governativo ai ribelli del nord.
Ma chi sono questi ribelli? Gli zaidi, o huthis, sono i miliziani sciiti seguaci di Hussein al-Houti, predicatore ucciso nel 2005 e sostituito dal padre Badr al Din al-Houthi, al quale è succeduto come leader l'altro figlio Abdel Malek al-Houti. Gli zaidi rappresentano una setta dell'islam sciita che vive prevalentemente nel nord dello Yemen, paese a maggioranza sunnita. Gli zaidi si battono contro il governo centrale di Sa'ana, del quale non riconoscono l'autorità nella persona del presidente-padrone Saleh, asceso al potere con un colpo di stato nel settembre del 1962, spodestando proprio un leader della setta. Il conflitto ha raggiunto la massima intensità tra il 2004 e il 2005: più di 700 persone persero la vita negli scontri tra ribelli ed esercito. Nell'aprile del 2005 il governo cantava vittoria, ma una forma di resistenza è sempre rimasta viva.
Per il governo di Saleh, però, i ribelli tengono duro grazie al sostegno di potenze straniere. L'indiziato numero uno è l'Iran di Ahmadinejad. ''Non possiamo affermare con certezza che le autorità iraniane finanzino i ribelli sciiti'', ha dichiarato il presidente in un'intervista concessa ad al-Jazeera ieri, ''ma siamo sicuri che hanno contatti con loro perché gli iraniani ci hanno chiesto di fare da mediatori e un'analoga richiesta è giunta da Najaf, in Iraq, dal gruppo dell'ayatollah sciita Moqtada al-Sadr (notoriamente vicino agli ayatollah di Teheran ndr)''. Una vecchia teoria di Saleh che, però, rispetto alle prove che esistano questi contatti risponde un po' elusivo: ''La polizia ha sgominato due cellule di ribelli e dalle indagini è emerso che una di queste ha ricevuto 1200 dollari dall'Iran''. Un po' poco, circa 830 euro, per confermare un coinvolgimento del governo iraniano. Non è solo il presidente dello Yemen, però, che accusa l'Iran. Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, il 1 settembre scorso, intervistato dal quotidiano del Kuwait al-Jarida, ha chiesto a Teheran di ''smetterla di interferire nelle questioni interne dei paesi arabi come lo Yemen, il Libano, i Territori palestinesi e l'Iraq''. Un attacco diretto, rivolto all'Iran che arabo non è, ma che è il simbolo dello sciismo.
La lotta in Yemen, infatti, si carica di significati che vanno ben oltre la questione locale.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq, nel 2003, si è innescato un fenomeno nuovo all'interno del mondo arabo e islamico. Un grande Paese come l'Iraq, a maggioranza sciita, ma per decenni gestito dalla minoranza sunnita, ha dato inizio a una sorta di risveglio dello sciismo in tutto l'universo musulmano. Ne è nata una contrapposizione pesante, una fitna (termine con cui si designa il caos e il disordine interno alla umma, la comunità islamica) tra il potere sunnita di paesi come l'Arabia Saudita e quello sciita, amplificato dalla vittoria di Mahmoud Ahmadinejad nelle elezioni in Iran (il simbolo dello sciismo) nel 2004. Poi c'è Hezbollah in Libano, partito sciita filo iraniano, e gli sciiti in Iraq. Un blocco di potere mai visto, che ha messo in ansia in particolare paesi come il Bahrein, dove da sempre una minoranza sunnita domina una maggioranza sciita. Ansia che non risparmia neanche l'Arabia Saudita, però, simbolo dell'Islam sunnita. Un report dell'ong Human Rights Watch, diffuso il 4 settembre scorso, sottolinea come in Arabia Saudita vengano calpestati ogni giorno i diritti della minoranza sciita. Alcuni giorni fa, a Riad, capitale saudita, si è assistito a un fenomeno strano. Gli imam della città, che operano sotto la ferrea guida del potere politico, hanno impedito in prima persona ad alcuni cittadini dello Yemen residenti a Riad di raccogliere fondi per le popolazioni civili della regione di Saada, la zona dello Yemen dove si combatte da mesi. Secondo gli imam, e quindi secondo la famiglia reale saudita, anche la beneficenza rischia di essere una forma di finanziamento della sommossa sciita in Yemen.
Politica a parte, di quei soldi la popolazione civile ne avrebbe proprio bisogno. Secondo il World Food Programme delle Nazioni Unite, sono almeno 15mila gli sfollati interni dalla zona di Baqim, nel governatorato di Saada, dove le persone fuggono dagli scontri tra soldati e ribelli.
Secondo Aboudou Karimou Adjibade, rappresentante in Yemen dell'Unicef, il fondo Onu per i bambini, sono almeno 75mila i minorenni che hanno riportato gravi conseguenze psicologiche a causa delle violenze alle quali assistono e che subiscono da anni. Sarebbe necessario, secondo il funzionario delle Nazioni Unite, stanziare subito un fondo di almeno 6 milioni di dollari per intervenire con strutture che garantiscano protezione per i minori. Altrimenti i danni potrebbero essere irreversibili. ''In una situazione di conflitto le famiglie povere sono costrette ad abbandonare le loro case, perdendo quel poco che hanno'', racconta Nasim ur-Rehman, dell'Unicef. ''Siamo impegnati a distribuire acqua potabile e assistenza sanitaria di base nei campi profughi, per evitare la diffusione di epidemie, ma almeno il 60 percento dei bambini nei campi è denutrito. Bisogna aprire subito un corridoio umanitario''.
Sunniti e sciiti, però, non riescono a mettersi d'accordo neanche su questo.
Christian Elia
1 commento:
non ne parla nessun media
buona giornata
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