sabato 2 maggio 2009
BANCHE ARMATE
Dopo anni passati sotto coperta, gli istituti di credito si buttano a capofitto nel mercato di sostegno all’industria armiera. Il gruppo Paribas, di cui fa parte la Bnl, ha il 36% del mercato, seguito da Deutsche Bank, Société Générale e Gruppo Intesa San Paolo. Ai margini, ormai, la “Popolare” di Milano.
Il fantasma si materializza. Grazie all’agenzia di stampa Adista ricompare all’improvviso la tabella delle banche armate, grande assente nel Rapporto del presidente del consiglio dei ministri sull’esportazione e il transito di materiale d’armamento, uscito a fine marzo. Un’assenza grave, perché quella tabella fotografa l’appoggio degli istituti di credito all’industria militare italiana. Ed è fondamentale per tutte le associazioni della società civile e per i singoli correntisti, perché consente loro di poter verificare se agli annunci di una parte del mondo bancario di abbandonare questo business corrispondono, poi, dei fatti concreti.
Le cifre che si leggono nella tabella, e che noi abbiamo ordinato in ordine decrescente, sono davvero sorprendenti. Una montagna di soldi, infatti, è circolata sui conti correnti delle banche che operano in Italia. Anche se dominano le sigle straniere. Nel 2008 il numero delle autorizzazioni è raddoppiato (1.612) rispetto al 2007 (882). Il valore complessivo delle stesse, invece, è quasi triplicato (4 miliardi e 285 milioni di euro, contro il miliardo e 329milioni dell’anno precedente). Le autorizzazioni relative ad operazioni di esportazione definitiva sono state 1120 (677 nel 2007) per un ammontare di 3 miliardi 701milioni di euro (contro il miliardo e 224 milioni del 2007).
Dopo anni di timori e titubanze, insomma, le banche hanno spalancato le porte a chiunque proponesse affari e liquidità. In astinenza da profitti, il business armiero è un unguento miracoloso per le ferite finanziarie.
Il confronto con il 2007 è imbarazzante. La Banca nazionale del Lavoro, del gruppo Paribas, 2 anni fa ha supportato le aziende armiere per 62 milioni e spiccioli di euro. Quest’anno per un miliardo e 253 milioni. Un’abbuffata pantagruelica, che la pone indiscutibilmente al primo posto della classifica. Ma è una gran fetta del mondo della finanza ad essersi messo a tavola con il tovagliolo al collo. La stessa Deutsche Bank, che nel 2007 aveva incassato 174 milioni di euro, quest’anno si piazza al secondo posto con 519 milioni di euro. Nell’elenco compare ancora il Gruppo Intesa San Paolo (detiene ancora il 7,16 del mercato), nonostante le mille promesse di abbandonare il campo; anche il gruppo Unicredit, seppur con cifre (119 milioni) nettamente inferiori rispetto al 2007 (404 milioni di euro) compare nella top ten. Un bel balzo in avanti lo fa, invece, Ubi Banca, con i suoi satelliti finanziari piazzati geograficamente nel cuore del comparto armiero italiano (soprattutto nella zona del bresciano): 209 milioni di euro e quasi un 6% del mercato complessivo (dato assai eloquente, visto che nel 2007 aveva lo 0,27%).
Sembra ai margini del business, invece, la “Popolare” di Milano, banca che ha stretti rapporti con Banca Etica: nel 2008 non ha avuto alcuna autorizzazione concessa, anche se c’è da segnalare che ha ancora in carnet 437 mila euro, circa, di importi segnalati, cifra che si riferisce alle autorizzazioni degli anni precedenti il 2008. (Giba)
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2 commenti:
Notiziona. Ci farò un post.
E noi poi vogliamo dare soldi pubblici a questi cialtroni.
E questa è informazione. Grazie.
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