martedì 14 aprile 2009

MODERNI SANDOKAN

I pirati del XXI secolo, dal mar cinese allo stretto di Malacca. Il Golfo di Aden, la Somalia e il Puntland.

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IL MARE è anarchico per definizione. Malgrado i tentativi di regolamentazione in punto di diritto internazionale, nelle acque vige la legge del più forte, o del più scaltro. Non c'è bisogno di essere una grande potenza per fare i comodi propri in un determinato specchio di mare. Anzi, i paesi leader della geopolitica globale, con le loro flotte supermoderne, vengono facilmente umiliati da bande di criminali locali.
Sono i pirati del XXI secolo, spesso marinai improvvisati a caccia di prede facili nelle acque di casa, che conoscono come le loro tasche. Un fenomeno in via di intensificazione negli ultimi anni, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale e nel "collo di bottiglia" strategico dello Stretto di Malacca, rotta fondamentale per il rifornimento di petrolio mediorientale ai giganti estremo-orientali.
Un'altra area critica, più vicina a noi - alle nostre memorie coloniali e ai nostri interessi attuali - è quella del Golfo di Aden. Un'ampia porzione dell'Oceano Indiano, di oltre 600 mila miglia quadrate, su cui da tempo si è concentrata l'attenzione delle Marine occidentali, e non solo, interessate a proteggerlo dai pirati. La disinfestazione è peraltro impossibile. Manca un sufficiente grado di cooperazione fra le marinerie internazionali. E anche se ci mettessimo tutti a remare nella stessa direzione, occorrerebbero almeno cinquecento navi da guerra per controllare uno spazio marittimo tanto esteso.
Dopo la tragica conclusione del blitz delle teste di cuoio francesi per liberare cinque ostaggi dei pirati a 60 miglia da Aden, e mentre nelle stesse acque resta in bilico il destino del mercantile americano Maersk Alabama, l'attenzione dei media si concentra sui nuovi Sandokan. I quali non somigliano affatto all'eroe salgariano. I jin ("diavoli") che dalle coste somale si lanciano con i loro barchini veloci a caccia delle prede e del relativo riscatto, spingendosi financo all'arrembaggio di petroliere che navigano a 300 miglia dalla costa, sono figli dell'interminabile guerra che sta sconvolgendo la Somalia da un paio di decenni e dell'instabilità permanente nel Corno d'Africa.

Come hanno scritto due acuti analisti del fenomeno, Nicolò Carnimeo e Matteo Guglielmo, quei pirati "con il mare hanno poco a che fare, l'arte della navigazione l'hanno imparata per necessità". Si tratta infatti di "un variegato manipolo di pastori o mercenari al soldo dei locali signori della guerra. Abitano case di paglia e fango, bevono latte di cammella, ma i loro capi sanno adoperare Internet e i sistemi satellitari di rilevamento, sono in grado di compiere transazioni bancarie e hanno contatti internazionali da Nairobi a Dubai che consentono loro di riciclare il denaro degli abbordaggi".
Le loro basi sono concentrate nella regione somala del Puntland - proclamatosi "repubblica" indipendente nel 1998 - in particolare attorno al porto di Bosaso. Terre devastate, "buchi neri" geopolitici contesi da bande armate, per le quali saccheggio e pirateria sono le principali risorse economiche. Secondo alcuni studiosi, si sarebbe creata una sorta di intesa con gruppi jihadisti operanti nel Corno d'Africa, che puntano a colpire gli interessi occidentali. Ma nell'intreccio dei conflitti locali e regionali è molto arduo assegnare etichette definitive a questo o quel signore della guerra e alle sue milizie terrrestri e marittime.
Più in generale, le scorrerie dei briganti nell'Oceano Indiano o nel Pacifico - ma se ne trovano ormai quasi ovunque - segnalano quanto arduo sia difendere la sicurezza dei mari, estesi per il 70% circa della superficie planetaria. Incardinati sulle nostre terreferme, tendiamo a dimenticare che la gran parte dei traffici commerciali d'ogni genere passano per vie d'acqua. Grazie ai costi relativamente bassi (finora, ma la pirateria è destinata ad alzarli, non fosse che per la componente assicurativa), alla facilità del trasporto e - non ultimo - all'impossibilità di verificare davvero che cosa portano le navi, spesso battenti bandiere di comodo e con equipaggi non identificabili. Per questo è facile immaginare che la pirateria, comunque travestita, abbia davanti a sé un futuro luminoso..

Lucio Caracciolo (articolo pubblicato su la Repubblica il 12/04/09)



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un evento incredibile!

➔ Sill Scaroni ha detto...

La Pirateria è la "nuova" vecchia vita al mare.
Grazie per la informazione. ;))

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