venerdì 3 aprile 2009

SEI ANNI SONO TANTI

"Sei anni sono tanti, resistere è difficile". Siamo in uno dei tanti accampamenti del Movimento dos Sem Terra (Mst) sparsi in Brasile. Ci accolgono Alcido e Vera, due delle seicento persone che vivono in quella che è una baraccopoli, qualche chilometro più a ovest della città di Caceres, nello stato del Mato Groso (il più grande produttore mondiale di soia).

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Le case sono di legno, paglia e plastica. Non c'è nessuna installazione elettrica né acqua corrente. Da più di dieci anni l'Mst organizza occupazioni di fattorie, strade o semplicemente appezzamenti di terreno abbandonati, per mettere pressione sul governo: l'obiettivo è che conceda la terra a chi vuole lavorarla. Da qualche mese la campagna mediatica contro il movimento si è intensificata, cosi come il conflitto per la terra. Le relazioni tra l'Mst e il governo Lula non sono buone: la riforma agraria approvata dal governo è giudicata insufficiente dal Mst. Per la grande stampa, e molta gente, quelli dell'Mst non sono niente di più che "vagabondi e scansafatiche".

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La storia che ci racconta Alcido, la sua, è tutt'altra. Nato nello stato di San Paolo, figlio di contadini, a 10 anni si trasferì nel Mato Grosso, dove il padre era riuscito ad acquistare un piccolo appezzamento di terra. Coltivavano caffè: gli affari andavano bene, avevano di che mangiare, poco più.
Lavoravano "da sole a sole", ma non si lamentavano. Poi le cose iniziarono a girare male, "il clima è cambiato, con la deforestazione progressiva le piogge diminuirono e il caffè non cresceva più" - mi spiega. Ora, nelle stesse terre, si pianta soia (un tipo di coltivazione che richiede pochissima mano d'opera, in quanto privilegia coltivazioni estensive e meccanizzate). I cambiamenti del clima hanno tolto la terra ad Alcido, ma gli hanno lasciato in eredità una macchia rosa sulla guancia: "Un tumore che sto cercando di curare. Oggi non si può lavorare come un tempo, bisogna indossare magliette con le maniche lunghe". Senza più la terra, che dovettero vendere, cercò lavoro in città: per un anno e mezzo fu impiegato in un mattatoio, ma uccidere bestie non è proprio la stessa cosa che lavorare la terra: "All'inizio fu per mia madre che entrai nell'Mst: abituata a vivere in campagna non sopportava stare in città, e il movimento era l'unica possibilità che ci rimaneva per poter avere un pezzo di terra". Era il 2003. Con sua moglie, i suoi due figli (poi ne è nato un terzo) e la madre, iniziarono le occupazioni: più di dieci in sei anni. La madre, all'epoca, aveva ottantadue anni. Nel 2007, durante uno sgombero, si ruppe il femore, sopravvisse per miracolo: "Arrivarono alle sette di mattina, e ci dettero tre ore per abbandonare l'accampamento. Immaginatevi cosa dev'essere fare un "trasloco" in tre ore. Mia madre si spaventò molto, mentre usciva dell'accampamento cadde e si ruppe il femore. L'ambulanza arrivò solo cinque ore dopo".

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"Siamo contadini, non possiamo vivere senza la terra" risponde timido. "La vita in città è un'altra cosa, non fa per noi", aggiunge. In fondo non chiedono molto: solo 25 ettari in una terra che ne dispone milioni, molti dei quali concentrati nelle mani di poche persone (il governatore dello Stato, Blairo Maggi, possiede 200.000 ettari coltivati a soia). Attualmente vivono grazie alla "borsa famiglia" del governo Lula, una cesta basica di prodotti che bastano appena per alimentarsi, e a qualche lavoretto in campagna al servizio di altri: venti reais (sette euro) per dieci ore di lavoro, in nero. I figli vanno a scuola con un autobus, quando il tempo lo permette. "Non so quanto ancora riusciremo a resistere, l'unica cosa che ci fa andare avanti è il sogno della terra, di quei 25 ettari che ci permetterebbero di portare avanti una vita decente".

Carlo Cascione

Articolo correlato: MST, 25 anni di lotta

2 commenti:

Unknown ha detto...

Il Brasile: un paese da sempre colonizzato e insanguinato.

Sabatino Di Giuliano ha detto...

Il Brasile senza identita, ci sono stato, e sono rimasto male, per loro... tristezza nel cuore
Un caro saluto
Saba

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