martedì 27 aprile 2010

IN BRASILE VA DI SCENA AVATAR

Indios contro il governo per difendere la foresta

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Ricordate Avatar? Attorno al cantiere per la realizzazione della mastodontica centrale elettrica di Belo Monte, in Amazzonia, potrebbe ripetersi la storia di un popolo indigeno in lotta per la difesa del suo ambiente e del suo mondo. Stavolta piu che in “3 d”: nella realtà. Un giudice federale brasiliano infatti spianato la via alla realizzazione del progetto, dopo che per due volte un tribunale regionale aveva cercato di bloccarlo. Ma gli indios dello Xingu’ non ci stanno e hanno annunciato che occuperanno la zona dove sorgerebbe la mega centrale idroelettrica che li sloggerebbe dalla loro riserva e causerebbe ingenti danni all’ambiente.

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Il progetto della diga di Belo Monte

Ad annunciare in televisione che la misura è colma e che loro, come già negli anni ottanta, sono sul piede di guerra è stato il cacicco (capo) Luiz Xipaya. “Stiamo tirando fuori le barche e ci attendiamo che domani tutto il territorio sia occupato da 150 dei miei uomini. Costruiremo un villaggio permanente che entro la fine del mese sarà abitato da almeno 500 persone che diventeranno presto mille. E non usciremo da lì finché il progetto non sarà posto all’ordine del giorno del governo e cancellato” ha annunciato Xipaia.

Gli Xipaya e gli Arara sono le due tribu’ che rischiano la ‘deportazione’ dall’area che abitano attualmente, che sarebbe in parte inondata dal bacino di 516 chilometri quadrati formato dalla diga. Quando sara’ ultimata, Belo Monte sara’ la terza idroelettrica al mondo, dopo Itaipu’ in Brasile e Sette Gole in Cina. ”Costruiremo sul posto un villaggio permanente, e non ne usciremo finche’ il progetto non sara’ radiato”, ha detto Xipaya. Gli Xipaya e gli Arara hanno l’appoggio delle altre etnie dello Xingu’ (la seconda maggior riserva indigena del Brasile, dove vivono decine di tribu’), di enti ambientalisti brasiliani e internazionali e persino di personalita’ dello spettacolo ingaggiate nella lotta ecologica come _ non a caso _ il regista di Avatar James Cameron e l’attrice Sigourney Weaver.

La diga, fortemente voluta dal presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, sarà la terza del mondo dopo quella delle Tre Gole in Cina e quella di Itaipu, al confine tra Brasile e Paraguay. Se la forte opposizione degli ambientalisti e degli indigeni non ostacolerà i lavori, la diga di Belo Monte, nello stato ammazonico di Parà, entrerà in funzione nel 2015. Avrà una capacità teorica di 11.233 megawatt, che _ secondo uno studio alternativo _ nella stagione secca scenderanno ad un mero 10% e mediamente nell’anno garantiranno 4 mila e 400 Mw: il 39% della potenza nominale.

Il progetto, che costerà 16 miliardi di dollari, più 2 e mezzo per le linee di trasmissione, sarà realizzato per conto della compagnia energetica statale Electronorte e risale agli anni settanta. E’ diventato uno dei principali impegni assunti da Lula, che non ha intenzione di terminare il suo secondo mandato, alla fine dell’anno, senza averlo messo in moto.

Gli ambientalisti sostengono che la costruzione della diga creerà un invaso da 516 chilomnetri quadrati e comporterà l’inondazione di 400 chilometri quadrati di foresta e il trasferimento forzato di circa 25.000 indios che vivono nei pressi del fiume Xingù, nel municipio di Altamira, dove sorgerà l’invaso. Gravi le conseguenze per la biodiversità, in particolare nell’area del rio Xingù si trovano alcune specie di pesci di acqua dloce come lo Zebra Pleco e il Sunshine Pleco che sono endemiche e non si sa se supererebbero la perdita dell’habitar flvuviale e di foresta semisommersa nel quale vivono.

Fonte

E addio a tutto questo…

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lunedì 26 aprile 2010

RIFIUTI IN CAMBIO DI CIBO

IN BRASILE L'ECOLOGIA COMBATTE LA FAME

Con quattro chili di rifiuti differenziati ti porti a casa un chilo di ortaggi e verdure freschi e locali. Succede in Brasile, nella città di Curitiba, dove hanno scelto di prendere due piccioni con una fava. E, alla fine, di piccioni ne hanno presi tre.
La città aveva due grandi problemi: un surplus di produzione agroalimentare, che teneva troppo bassi i prezzi facendo calare il reddito degli agricoltori, e la povertà diffusa tra la popolazione non agricola. E’ nato, per questo, il programma Cambio Verde: l’amministrazione comunale compra le eccedenze alimentari dai produttori e le distribuisce ai meno abbienti in cambio dei loro rifiuti.


In questo modo la raccolta differenziata ha subito un fortissimo incremento, i rifiuti sono diminuiti in maniera drastica, la popolazione più povera ha avuto un sostegno alimentare e, per finire, i prezzi dei prodotti agricoli sono diventati più stabili e più alti per gli agricoltori.
Del cibo, quindi, non si butta niente mentre i restanti rifiuti vengono separati dai cittadini per avere ortaggi, frutta e verdura in cambio. Fatti due conti, conviene pure: si risparmia moltissimo sulla gestione dei rifiuti (quale sindaco non vorrebbe che ogni cittadino si trasformasse in un operatore ecologico che lavora gratis?) e si può pagare l’acquisto dei prodotti agricoli per il sostegno sociale ai più poveri.
Non sconfiggerà la fame nel mondo, né salverà il globo dalla crisi dei rifiuti, ma è un buon esempio che dimostra che non per forza i paesi emergenti devono ripercorrere gli stessi passi sbagliati dei paesi industrializzati.
Via Eco Ideas

domenica 25 aprile 2010

25 APRILE

COSÌ L’HO IMMAGINATO…….


Leggi anche qui

Dopo aver ascoltato oggi  il discorso celebrativo del 25 Aprile da parte del "nostro" Premier, vorrei segnalare la gaffe, stavolta volontaria, di mistificazione della storia patria.
Oggi non è la Festa della Libertà, ma la
Festa della Liberazione dal giogo nazi-fascista.
 E non ci venga a dire che è stato un lapsus.

venerdì 23 aprile 2010

IL NOBEL VERDE VA IN SWAZILAND

Thuli Brilliance Makama ha indagato su uccisioni bracconieri

Thuli Brilliance Makama non è la classica eroina del'ambiente. image
Photo: John Antonelli
Fa l'avvocato in Swaziland, l'ultima monarchia assoluta d'Africa, e deve la sua fama non alle battaglie animaliste, ma alle sue indagini sulla morte di alcuni sospetti bracconieri. Ieri è risultata nel gruppo di vincitori del più prestigioso premio ambientale al mondo, il Goldman Prize. Alla guida del gruppo verde Yonmg Nawe, Makama ha lavorato al fianco delle comunità locali per aiutarle nella loro battaglia legale contro il fiorente business delle riserve di caccia private. Il comitato che le ha assegnato il premio afferma di averla scelta sulla base della sua vittoria nella campagna per aprire alla partecipazione pubblica l'Autorità ambientale dello Swaziland, ma Makama è più nota per la sua lotta contro le riserve di caccia private i cui guardiacaccia uccidono indiscriminatamente i bracconieri. Difendendo i bracconieri, può essere considerata una nemica dell'ambiente, ma si tratterebbe di un giudizio che non tiene conto delle complessità della politica africana. Il montagnoso regno dello Swaziland, incuneato tra Sudafrica e Mozambico, è teatro di un conflitto sempre più profondo tra la gente e i parchi. Metà della popolazione vive in povertà, mentre il regno è diventato una meta rinomata per safari a battute di caccia grossa. I parchi dello Swaziland non sono controllati dal governo, ma da una società, Big Game Parks, i cui guardiacaccia non sono perseguibili se agiscono per "proteggere la cacciagione". Il premio è visto da qualcuno come un affronto a quelle che è considerato il padre della difesa dell'ambiente in Swaziland, il proprietario e gestore di Big Game Parks, Ted O'Reilly. Figlio di un soldato britannico che si stabilì nella zona dopo la guerra Boera, O'Reilly ha convinto il precedente re a fondare dei parchi per proteggere la fauna selvatica dai bracconieri e dall'agricoltura intensiva. Big Game Parks ha ottime credenziali per la tutela faunistica, ma le sue tattiche sono discusse. Nel 1992 con l'aiuto della polizia sudafricana O'Reilly rintracciò in un hotel uomini che praticavano illegalmente la caccia al rinoceronte. Ne seguì una sparatoria e due di loro morirono. Le comunità locali, molte delle quali sono state sradicate dal proprio territorio per far posto ai parchi, lamentano il crescente numeri di sospetti bracconieri feriti o uccisi. Makama ha fatto causa a Big Game Parks, affermando che dal 1997, quando i suoi guardiacaccia hanno ottenuto l'immunità, sono state uccise 50 persone. Secondo O'Reilly senza la sua società i parchi dello Swaziland non esisterebbero e i suoi guardiacaccia agiscono all'interno della legge. "Un numero molto simile di guardiacaccia è stato ucciso da bracconieri" ha dichiarato. Secondo Makama la povera gente fatica a sopravvivere ai confini dei parchi e dipende dagli aiuti alimentari e dalla uccisione di qualche antilope. "Sono solo cacciatori e raccoglitori che ne hanno bisogno per sopravvivere, la gente viene uccisa per aver cacciato una piccola impala" dice l'avvocato. Ieri il comitato promotore del premio ha dato il suo verdetto: "per molti anni queste comunità hanno sopportato brutalità e soprusi ad opera dei proprietari di riserve, e molti sospetti bracconieri sono stati uccisi per preservare la fauna all'interno dei recinti delle riserve". Copyright APCOM (c)
Fonte
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Back row (from left to right): Lynn Henning (USA); Humberto Ríos Labrada (Cuba); Randall Arauz (Costa Rica) Front row: Thuli Makama (Swaziland); Tuy Sereivathana (Cambodia); Małgorzata Górska (Poland)
http://www.goldmanprize.org/

giovedì 22 aprile 2010

EARTH DAY 2010

SFIDA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI
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Quarant’ anni dopo il suo primo Earth Day  la Terra non sembra passarsela molto bene. Anzi, sul sito ufficiale della Giornata Mondiale della Terra si scrive che il nostro pianeta non è mai stato così in pericolo. Sono passate giustappunto 4 decadi da quel 22 aprile del 1970 che vide 20 milioni di cittadini americani mobilitarsi per una storica manifestazione a difesa del nostro pianeta. Oggi scatta ufficialmente l’Earth Day 2010 ed è un appuntamento di grande importanza per rinforzare nell’opinione pubblica mondiale, nelle aziende e nei governi la necessità di costruire una nuova economia globale verde.
Partecipano alla manifestazione più di un miliardo di persone e sono coinvolti  190 paesi, per una data che sembra arrivare al momento giusto per ricordarci la grande sfida che la nostra epoca si gioca con il tema dei cambiamenti climatici.
L’Earth Day 2010 sta acquistando un grande significato anche alla luce dei terribili eventi naturali accorsi nell’ultimo periodo. Molti esperti hanno infatti legato le migliaia di vittime provocate dai terremoti verificatisi ad Haiti, in Cile ed in Cina ai profondi sconvolgimenti climatici accorsi negli ultimi anni.
Per di più, per quello che appare come uno strano scherzo del destino, la Giornata Mondiale della Terra si tiene in un momento che vede l’intero pianeta bloccato nei trasporti aerei a causa dell’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull. E allora oggi 22 aprile è una giornata da dedicare totalmente al nostro pianeta. In tutto il globo stanno fiorendo iniziative per rendere meno oscure parole come efficienza energetica,  energia rinnovabile raccolta differenziata e green economy. Fonte
Il tema dell'evento di quest'anno : Le Buone Pratiche Personali per la riduzione della nostra impronta ecologica.
Per buone pratiche personali vogliamo intendere azioni ed esperienze innovative che possono contribuire a migliorare la qualità della vita, ridurre l'inquinamento, risparmiare energia e acqua. Insomma tutte quello che permette ad ognuno di noi di rendere meno pesante la nostra presenza su questo pianeta.
Puoi calcolare la tua impronta ecologica seguendo questo link.
Alcuni semplici consigli pratici li puoi trovare seguendo questo link.
Ricordo qui di seguito una serie di dati circa lo sviluppo "insostenibile" del nostro pianeta. I nostri consumi mediatici, i nostri consumi alimentari, e anche il peso, misurato, di quello che "buttiamo via". Buona giornata!
Nell’arco di una vita, una persona
•    guarda 148 minuti di televisione ogni giorno, 900 ore all’anno, per un totale di 2,944 giorni – 8 anni pieni- della sua vita
•    legge 533 libri e 2,455 giornali nell’arco di una vita
•    dice  123,205,740 parole
•    cammina 317 kilometri ogni anno, quindi 24,887kilometri in 78.5 anni, abbastanza per un UK-Bali andata e ritorno
•    guida 9,279 kilometri ogni anno, che arrivano ad una cifra come 728,489 kilometri in una vita. Il che è equivalente al viaggiare per una distanza che va dalla terra alla luna e ritorno
•    Nell’arco di tempo impiegato per raggiungere I 60 anni, visita un dottore in media 35 volte all’anno. E consuma in tutta la sua vita 30,000 scatole di medicine

Consumo di cibo

•    Un individuo medio consuma la sbalorditiva cifra di 15,951 confezioni di latte durante la sua vita.
•    Il consumo di carne nell’arco di una vita media è così stimato: 4 capi di bestiame, 21 pecore e 15 maiali; 1200 polli inoltre e 13.345 uova
•    Il consumo di pane è di circa 55 pagnotte all’anno;
•    I vegetali di cui si nutrirà: 5.272 mele, 10.866 carote e circa 845 scatole di fagioli.
•    La cioccolata: un individuo medio ne consuma circa 8.2 kilogrammmi all’anno, che si aggiungono a oltre10.000 barrette di cioccolato nell’arco di una vita.
•    Per quanto riguarda l’alcohol: ben 10.351 pinte di birra e 1.694 bottiglie di vino

Materiali e Rifiuti
•    Nei primi due anni e mezzo di vita un individuo mediamente subisce 3800 cambi di pannolini. Questo significa che ogni anno bilioni di pannolini sono gettati via, contribuendo massicciamente alle nostre discariche. E soprattutto, la plastica in essa contenuti per evitare la fuoriuscita, può impiegare fino a 500 anni per decomporsi.   
•    Un bambino medio di due anni in un paese industrializzato è responsabile di una quantità maggiore di emissioni di quanta prodotta da un abitante della Tanzania nell’intero arco della sua vita.
•    Ogni singolo giorno, circa 155 litri di acque di scarico per persona sono processate nei centri di trattamento
Nell’arco di una vita, una persona media
•    consumerà circa 8,5 tonnellate di confezioni solo per il cibo 
•    utilizzerà almeno 4,239 rotoli di carta igienica, ed avrà rilasciato 2,865 kilogrammi di feci, appena sotto le tre tonnellate.
•    sarà responsabile di inviare circa 40 tonnellate di rifiuti nelle discariche
•    farà circa 7,163 bagni o docce nella sua vita, usando quasi un milione di litri d’acqua.
•    utilizzerà 656 saponette, 272 stick di deodorante, 276 tubetti di dentifricio, 411 prodotti per la cura della pelle e 35 per quella dei capelli.
•    utilizzerà 198 bottiglie di shampoo e laverà i suoi capelli 11,500 volte durante il corso della sua vita

IL 2012 E IL NUOVO ORDINE SOCIALE CHE AVANZA

Quello che traduco nel seguito è un articolo durissimo da digerire, che credo si debba leggere un po’ di volte e nel mentre togliere gli strati di pregiudizio, attaccamento a qualsiasi ideologia o partito, illusione e « vaga » emozionale speranza.

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Io che l’ho apprezzato mentre lo traducevo, l’ho letto come osservazione storica, difficilmente confutabile anche senza avere grande competenza della storia.. basta riportarlo nel presente o ancor più in piccolo, nel quotidiano personale dove si possono intravedere molti aspetti citati (penso al tema famiglia e bambini per esempio e alla manipolazione mediatica).
Difficile, nel leggere, non farsi prendere dallo scoramento… tuttavia l’acutezza e la puntualità delle osservazioni valgono a mio avviso questa conoscenza. La fonte originale dell'articolo è qui nella versione inglese del presente sito, trovate la corrispondente parte in inglese.
In altro articolo parlerò a breve anche del Nuovo Ordine che intendeva il Maestro Deunov quando diceva che era in arrivo la Nuova Cultura, la nuova razza umana. Ma allora: come non confondersi o fare di tutta un’erba un fascio e ritenere che anche queste affermazioni di Deunov fossero manipolanti verso questo tipo di Nuovo Ordine Oscuro di cui si parla qui (sicuramente in cammino anche all’epoca sua?).
La prima osservazione che mi viene è che ascoltare e conoscere la vita di Deunov (che certamente non fu della élite, di nessuna, della sua epoca) esclude questo. Mentre leggere di queste manovre onnipresenti nella « storia orizzontale della umanità » innegabilmente fa salire un nodo alla gola e fa percepire distintamente la presenza della Oscurità, leggere, vedere i filmati o le foto che ritraggono Deunov, ma soprattutto sentire la sua musica, parla al cuore, calma, anima, innalza; suscita vibrazioni diverse (non teorie ma dati esperienziali)
Occorre perciò riflettere e considerare che la realtà si muove su piani diversi e che su questi (e quali) piani dobbiamo e possiamo decidere la nostra partecipazione e coinvolgimento. Ma con mente aperta ed un costante lavoro sulla personalità perché la paura non abbia la meglio. Si la paura: la vera protagonista del nostro tempo e il terreno fertile su cui ha potuto mettere radici il Nuovo Ordine Mondiale, qui nel seguito lucidamente descritto dall'autore, Richard K. Moore.
L’AMORE porta salute,
la SAGGEZZA, libera dalle contraddizioni,
la VERITÀ libera dalle limitazioni. (Peter Deunov)

Buona lettura.
“Il 2012 potrebbe non essere l’anno giusto, ma è difficile vedere che la fine del gioco duri più a lungo e i maestri dell’universo amano il simbolismo (…). E il 2012 è carico di simbolismo, si veda per esempio il calendario Maya; in internet c’è poi tutto un ronzio di profezie legate al 2012, di strategie di sopravvivenza, interventi alieni anticipati, allineamenti di campi di radiazioni galattiche etc etc.
E poi c’è il film holliwoodiano 2012, che ritrae esplicitamente il crollo di tutta l’umanità e la salvezza pre-programmata di pochi eletti. Con le produzioni di Hollywood, non si sa mai, cosa è fantasia di evasione e cosa invece è diretto a preparare simbolicamente la mente pubblica a ciò che accadrà.
Qualsiasi sia la data esatta, tutti i fili si congiungeranno, sia geopoliticamente che localmente parlando e il mondo cambierà. Sarà una nuova era, cosi come il capitalismo fu una nuova era dopo l’aristocrazia e le Epoche Oscure (normalmente intese come medio evo, ndt) seguirono l’era dell’Impero Romano.
Ogni Era ha una sua propria struttura, una propria economia, proprie forme sociali e propria mitologia. Queste cose devono essere tra loro correlate coerentemente e la loro natura scaturisce dalle relazioni fondamentali di potere e dalle circostanze economiche del sistema.
Nel nostro mondo post 2012, abbiamo per la prima volta un governo centrale globalizzato ed una cricca di governo elitario, una sorta di famiglia reale estesa, i signori della finanza. Come possiamo vedere con l’ IMF (International Monetary Fund, ndt ), la WHO, (World Health Organization, OMS, ndt) e il WTO (World Trade Organization, Organizzazione Mondiale del Commercio, ndt) ed altri pezzi del governo mondiale embrionale, le istituzioni di governo (dominio) non avanzeranno pretese sulla rappresentanza popolare o la partecipazione/risposta democratica.
Si governerà attraverso burocrazie autocratiche globali, che prendono gli ordini di marcia dalla famiglia reale. Questo modello è già all’opera da qualche tempo, all’interno delle sue varie sfere di influenza e con i programmi di ristrutturazione forzati sul terzo mondo, come condizione per ottenere finanziamenti.
Ogni qualvolta avanza il cambio di un’era, la precedente viene sempre demonizzata nella mitologia. Nella storia del Giardino dell’Eden, viene demonizzato il serpente, un simbolo rovesciato di paganesimo, il precursore della Cristianità. Quando arrivarono le repubbliche la demonizzazione delle monarchie fu una parte importante del processo.
Nel mondo dopo il 2012 sarà demonizzata la democrazia e la sovranità nazionale. Questo sarà molto importante per far si che le persone accettino delle regole totalitarie e la mitologia conterrà molto di vero…In quei giorni terribilmente bui, prima della unificazione benedetta dell’umanità, nel mondo regnava l’anarchia. Una nazione attaccava l’altra e questo non era meglio dei predatori nella giungla.
Le nazioni non avevano politiche coerenti; gli elettori oscillavano da una parte e dall’altra mantenendo i governi costantemente in transizione e confusione. Come potevano pensare che le masse di persone semi-acculturate potevano governarsi e gestire una società complessa?
La democrazia era un esperimento concepito malamente che portava solo alla corruzione e ad un governare caotico. Come siamo fortunati ora ad essere in questo mondo ben ordinato, dove l’umanità finalmente è cresciuta e quelli che hanno le migliori competenze prendono le decisioni.
L’economia della non-crescita è radicalmente differente da quella capitalista. È probabile che l’unità di scambio sarà il credito sul carbonio che ti autorizza a consumare l’equivalente di un chilo di carburante. Ogni cosa avrà un « valore carbonio », basato presumibilmente su quanta energia è servita per produrlo e trasportarlo al mercato.
'La consapevolezza Verde' sarà un’etica primaria, un condizionamento precoce fatto sui bambini. Farcela con poco è una virtù; usare energia è antisociale; l’austerità è una condizione necessaria e responsabile. Cosi come accade con le valute , i banchieri vorranno gestire la scarsità dei crediti carbonio ed è qui dove l’allarmismo del global warming diventa importante.
Indipendentemente dalla disponibilità delle risorse, i crediti carbonio possono essere mantenuti scarsi d’arbitrio, semplicemente facendo dei budget sul carbonio, basati sulle direttive dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change: pannello intergovernativo sul cambio climatico, ndt), un’altra delle nostre unità emergenti della governance (l’arte del governare) globale e burocratica. Tali direttive IPCC saranno l’equivalente della Federal Reserve ed annunceranno un cambio nei tassi di interesse. Quei budget stabiliranno la scala dell’attività economica.
Presumibilmente le nazioni continueranno ad esistere come unità ufficiali di governo. Tuttavia la sicurezza e la politica saranno largamente centralizzate e privatizzate. Come per le Legioni Romane, l’apparato di sicurezza sarà fedele al centro dell’impero e non al luogo dove accade di essere collocati.. Abbiamo già visto questa tendenza negli USA, dove i mercenari sono diventati un grande business e le forze di polizia sono sempre più federalizzate, militarizzate e alienate dal pubblico
Cosi come gli aeroporti ora sono stati federalizzati, così sarà per il sistema di trasporti che saranno sotto la giurisdizione dell’apparato di sicurezza. Il terrorismo continuerà come immagine dell’orco, cosa che giustificherà ogni procedura di sicurezza, ritenuta desiderabile per scopi di controllo sociale.
Tutto l’apparato di sicurezza avrà una qualità monolitica, una similitudine di carattere nei compiti di sicurezza o collocazione specifiche. Ognuno sarà vestito nell’abito nero dell’impero del male, con grandi lettere fluorescenti sul retro delle giacche di agenti pubblicitari. Essenzialmente, l’apparato di sicurezza sarà un esercito occupante, il presidio dell’imperatore nelle province.
Quotidianamente, avrete bisogno di passare delle stazioni di controllo di vario tipo che richiederanno varie cose su vari livelli di sicurezza. Ecco dove diventeranno importanti i biometri. Se nelle persone potranno essere impiantati dei chips, allora potrà essere automatizzata molta della sicurezza e tutti potranno essere rintracciati e contemporaneamente potrà venire recuperata la loro attività retroattiva.
I chips sono collegate al vostro conto bancario, quindi avrete tutta la vostra moneta con voi, insieme ai dossier medici e molto altro di cui ancora non sapete nulla. In merito alla sovranità nazionale ben poco resta. La politica estera non avrà più senso. Con la sicurezza che marcerà al passo della sua stessa legge e del suo tamburo distante, il ruolo principale del cosiddetto « governo » sarà allocare ed amministrare il budget dei crediti carbonio, che esso riceve dall’IPCC .
L’IPCC decide quanto benessere una nazione dovrà ricevere in un dato anno, quindi il governo decide come distribuire quel benessere nella forma di servizi pubblici e diritti. Il benessere-ricchezza sarà misurato dai diritti ad impiegare energia.
Fondamentalmente, è come le cose già sono ora, a seguito del collasso e dei « bailouts » (salvataggi economici). Dato che i governi sono cosi profondamente indebitati, i banchieri sono in grado di dettare i termini dei budgets nazionali, come condizione per tenere aperte le linee di credito.
L’economia « al carbonio », con i suoi budgets determinati centralmente, fornisce una via molto più diretta e semplice per microgestire l’attività economica e la distribuzione delle risorse su tutto il globo. Per spianare la strada alla economia al credito carbonio (carbon-credit economy), sarà necessario che le valute occidentali collassino, per diventare prive di valore, dato che le nazioni diventano sempre più insolventi ed il sistema finanziario globale continua ad essere sistematicamente smantellato.
La valuta « carbonio » sarà introdotta come una soluzione « illuminata » e progressista nei confronti della crisi, una valuta collegata a qualcosa di reale e alla sostenibilità. Il vecchio sistema monetario sarà demonizzato e di nuovo la mitologia conterrà molto di vero…
la ricerca di denaro è la radice di tutti i mali, ed il sistema capitalistico era « il male » in sé. Esso incoraggiò l’avidità, il consumo, e non si preoccupò che di sprecare risorse. Le persone pensavano che tanto più denaro avevano, tanto meglio andava per loro. Quanto più saggi siamo ora, a vivere dei nostri mezzi e a comprendere che un credito è un gettone di amministrazione.
Culturalmente, l’era post-capitalista sarà un po' come l’era medievale, con al vertice aristocratici e signorotti ed il resto fatto di contadini e servi della gleba. Una classe superiore ed una inferiore, ben definite. Così come solo la vecchia « upper class » (alta società), aveva cavalli e carrozze, solo la nuova alta società sarà autorizzata a ad accedere a sostanziali crediti carbonio. La ricchezza sarà misurata dai diritti elargiti, più che da acquisizioni o guadagni.
Coloro che stanno al di fuori delle gerarchie burocratiche sono i servi della gleba, con solo diritti di sussistenza. All’interno delle burocrazie, i diritti sono elargiti in relazione al rango della gerarchia. Coloro che operano nelle istituzioni globali centrali sono i signori dell’impero, con accesso illimitato ai crediti.
Non ci sarà una confisca della ricchezza né la costruzione di un impero al di fuori delle strutture designate dalle burocrazie. I diritti riguarderanno la possibilità di accedere a risorse e agevolazioni perché siano o meno usate, ma non perché vengano risparmiate o usate come capitale. Il flusso dei « diritti » va verso il basso, microdiretto dall’alto. È una economia di sussidi a tutti i livelli, sia per il governo che per le persone: il disciplinamento del consumo.
In riferimento a quest’ultimo, la cultura post-capitalista sarà anche un po' come il sistema sovietico : ecco la tua carta dei diritti, ecco l’assegnazione del tuo lavoro, ecco dove vivrai.
Con l’apparato di sicurezza pervasivo e con la microdirezione dell’attività economica, lo scenario è più chiaro per ciò che concerne la filigrana del controllo sociale secondo le direttive guida centralizzate. Probabile che i media saranno accuratamente programmati, con banalità di evasione : una versione sofisticata della propaganda del pensiero di gruppo stile 1984 con pseudonotizie, che è piuttosto simile a ciò che abbiamo già oggi.
L’internet non commerciale, se ce ne sarà uno, sarà limitato e monitorato, i siti chat ufficialmente designati e altri tipi di forum sanitizzati. Con una tale concentrazione sulla microgestione sociale, non mi aspetto che la famiglia come unità, potrà sopravvivere nella nuova era e mi aspetto che l’allarmismo dell’abuso sui minori sarà la leva usata per destabilizzarla.
Il palco è già stato preparato con tutte le rivelazioni sull’abuso sessuale sui minori da parte della chiesa ed istituzioni. Tali rivelazioni avrebbero potuto essere svelate in ogni tempo nel secolo scorso, ma sono uscite in un certo tempo, proprio mentre stanno accadendo altre cose di questa transizione.
Ora le persone sono consapevoli del fatto che c’è un ampio abuso sull’infanzia e sono state condizionate a sostenere forti misure per prevenirlo. Ogni volta che accendo la TV, vedo almeno un servizio pubblico con immagini shock, su bambini che hanno subito abusi sessuali o fisici, o sono trascurati in modo criminale nelle loro case e c’è un numero di telefono scottante che bambini possono chiamare.
È facile vedere come possa essere ampliata la categoria degli abusi, fino ad includere genitori che non seguono le scadenze di vaccinazione, i cui dati sugli acquisti non indicano diete sane, che hanno profili psicologicamente dubbiosi etc. Lo stato di povertà potrebbe essere giudicato come trascuratezza abusiva.
Con la giusta presentazione mediatica, si potrebbe facilmente agitare l’allarmismo sugli abusi. Alla fine il movimento dei «diritti dei bambini » diventa un movimento anti-famiglia. Lo stato deve proteggere direttamente il bambino sin dalla sua nascita. La famiglia è demonizzata…
Come erano spaventosi quei vecchi tempi, quando coppie senza autorizzazione ed istruzione avevano il controllo su bambini vulnerabili, dietro porte chiuse, con ogni tipo di nevrosi, dipendenze o perversioni che i genitori avessero.
Come ha potuto continuare ad esistere cosi, questo vestigio di schiavitù patriarcale, questa casa sicura, covo di abuso, senza essere riconosciuta per quello che era? Quanto meglio stiamo ora, con i bambini che sono allevati scientificamente da uno staff addestrato, che insegna loro cose sane. Da quanto fu introdotta l’educazione scolastica pubblica, lo stato e la famiglia sono stati in competizione nel controllo del condizionamento della infanzia. Nelle famiglie religiose, la chiesa ha dato il suo contributo nel condizionamento.
Nel futuro post capitalista microgestito, con il suo scenario di nascita da Dottrina Shock, avrebbe senso prendere quella opportunità per implementare la « soluzione finale » del controllo sociale : quello in cui lo stato monopolizza la crescita del bambino. Questo eliminerebbe dalla società il legame figlio-genitore e anzi tutti i legami legati alla famiglia in senso generale. Non esisterebbe più un concetto di parentela.
Resterebbe semplicemente il lavoro come le api e l’ape regina, che distribuisce con parsimonia il miele.
P.S (dell’autore):
Perché sia possibile una tale profonda trasformazione è facile immaginare che serva un grandissimo shock sulla scala del collasso e del caos sociale e forse sulla scala dello scambio nucleare.
Serve ci sia un mandato implicito per « fare qualsiasi cosa necessaria » per rimettere sui binari la società. Lo shock deve deve lasciare le persone in una condizione di totale impotenza comparabile ai sopravvissuti della Germania bombardata e del Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale. Qualcosa di meno non avrà effetto.
L’accuratezza del pronostico, come predizione, ovviamente è impossibile da sapere in anticipo. Tuttavia ogni parte del pronostico è stato fondato su precedenti che sono stati posti, su modus operandi che sono stati osservati, tendenze che sono iniziate, sentimenti che sono stati espressi, segnali che sono stati dati, azioni intraprese le cui conseguenze possono essere predette con sicurezza.
C’è per esempio una mitologia dell’olocausto, mentre la storia riguarda lo sterminio in sé e non si dice della missione primaria dei campi di concentramento, ovvero che avevano la funzione di fornire lavoro di schiavi per la produzione bellica.
E che alcune delle aziende che usavano il lavoro degli schiavi erano di proprietà americana e stavano rifornendo la macchina da guerra tedesca. Questo fa la mitologia, che anche se contiene della verità, ha successo nel nascondere le tracce e i crimini della élite lasciando che siano gli altri a portare tutto il fardello della demonizzazione storica.
Penso quindi ci sia una solida base per anticipare i tipi di mitologia che verrebbero designati per lasciarci dietro le spalle i vecchi modi e rifiutarli e vedere i nuovi come una salvezza.
C’è un lungo precedente storico di cambi di epoca connesso ai cambi della mitologia, spesso espressa in termini religiosi. Ci sarà uno scampanellio familiare alla nuova mitologia, un rimischiaggio e una ri-priorizzazione dei valori famigliari e dei presupposti perché possano risonare con le dinamiche del nuovo regime.
La natura della economia al carbonio è stata in qualche modo chiaramente segnalata. I budget del carbonio e i suoi crediti (carbon credits) sono chiaramente destinati a diventare componenti primarie della economia. Come abbiamo visto con la élite e il movimento del riscaldamento globale supportato dalla base. La scarsità arbitraria di crediti carbonio può essere facilmente regolata sul pretesto dell’ambientalismo. E c’è sempre come « backup » (recupero) l’allarmismo del picco del petrolio.
Come hanno spesso espresso i rappresentanti della élite, quando i tempi arrivano …le masse richiederanno il nuovo ordine mondiale”.
Traduzione: Cristina Bassi / Fonte primaria: globalresearch.ca / Fonte: thelivingspirits.net
http://www.ecplanet.com/

lunedì 19 aprile 2010

LA NOSTRA COMPAGNA DI VIAGGIO

I DATI DELLA MORTE: COME E QUANDO SI MUORE

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Navigando su internet, ci siamo imbattuti in questo particolare sito online, che ci propone un argomento decisamente macabro: queste pagine ci raccontano, infatti, tutto quello che c’è da sapere sulla morte. Notizie decisamente curiose, su un argomento che di curioso non ha niente. Questo sito ci dà molte informazioni, alcune interessanti, altre che, invece, non avremmo mai voluto conoscere, ma che purtroppo sono la realtà. Dieci considerazioni sulla morte, con dati precisi e reali, che ci svelano come muoriamo e quali circostanze di morte sono le più probabili.

Ecco i dieci dati della morte presenti in questo sito internet:

1. 58 milioni di persone muoiono ogni anno: 740mila muoiono a causa delle armi, 5milioni per le ferite.

2. Ecco nel dettaglio ogni dieci morti, come si suddividono le cause: 6 muoiono per patologie non infettive, 3 per patologie infettive, uno per le ferite riportate.

3. Negli Usa il 68 per cento delle ferite che causano la morte non sono intenzionali: il 41 per cento accade in casa, il 35 per strada, il 20 in pubblico, il 4 al lavoro.

4. Ed ecco i dati sulla mortalità infantile prima dei cinque anni: 3 bambini su 1000 muoiono in Singapore, in Islanda, in Svezia e Finlandia, 6 su 1000 in Canada e Cuba, 8 su 1000 negli Usa, 262 su 1000 nella Sierra Leone.

5. Ogni giorno 3,8 milioni di bambini sotto i 5 anni per polmonite e diarrea.

6. Ogni anno 563mila donne muoiono per le complicazioni occorse durante la gravidanza o dando alla luce i loro bambini. Il 99 per cento vive nei paesi in via di sviluppo.

7. Ogni anno 2 milioni di persone muore per l’Aids.

8. Le aspettative di vita sono di 41 anni in Sierra Leone, 42 anni in Afghanistan, 66 in India, 83 in Giappone, 78 negli Stati Uniti.

9. I tassi degli omicidi:

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10. Probabilità di morte in America: 1 su 7 per cancro, 1 su 36 per incidente, 1 su 121 per suicidio, 1 su 100 per un incidente automobilistico, 1 su 5 per malattie cardiovascolari, 1 su 20mila per incidente aereo, 1 su 1116 per incendi.

Immagine presa da:
www.imagebath.com.

Via Imagebath

Fonte

The Dirt on Death

giovedì 15 aprile 2010

PRIMO LEVI, LA SEDUZIONE DEL MALE E IL MONDO CHE VERRÀ

Primo Levi, l’11 aprile di 23 anni fa, terminò il suo cammino cadendo delle scale della sua casa a Torino dando adito al sospetto, mai confermato, che si trattasse di un suicidio. Primo Levi, che ha fatto capire meglio di tutti gli altri l’essenza della Shoah, del nazismo, della persecuzione e dello sterminio degli ebrei: la banalità del male. Che non si presenta, come troppo spesso siamo indotti a credere, in modo drammatico e spettacolare, facilmente riconoscibile. E quindi esorcizzabile, scacciabile, battibile. No: spesso assume la forma dimessa di facce “normali”, persone “normali”, che con sommessa normalità producono “normale” orrore.

Primo Levi ha scritto parole famose, che sanguinano storia. Parole come pietre, indimenticabili, eppure troppo spesso dimenticate. “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.”

Ecco, queste parole di sono importanti anche per noi oggi. Non solo per la “retorica” della memoria. No: Levi ci parla soprattutto della condizione umana, dei suoi limiti e delle sue risorse. La capacità dell’uomo di pensare al bene e la sua fragilità nell’abbandonarsi – quasi inconsapevolmente – alla suggestione del male. Levi parla con voce sommessa, perché non c’è bisogno di urlare per farsi ascoltare quando si racconta l’orrore nudo e crudo, autentico, quando si osserva con lucidità lo smarrimento che ognuno di noi può provare di fronte ad un male tanto banale quanto assoluto.

Non ci sarebbe dovuto essere bisogno di ripeterle. Ma certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo. La bestia umana ha colpito molte altre volte da allora, nonostante quelle parole: in Africa, in Asia, anche di fronte a quel nostro mare dove si passano le vacanze. Ma la bestia umana colpisce a volte in forma ancora più subdola, in mezzo a noi, in piccoli gesti quotidiani che ci fanno dimenticare che dietro gli stupidi stereotipi ci sono, semplicemente, uomini e donne. Altri, proprio come noi. Le parole di primo levi possono servire, e molto, anche oggi.

In questi tempi confusi, in Italia come in Europa e nel mondo, anche nel nostro annaspare alla cieca nella fatica quotidiana del vivere, occorre ricordare “che questo è stato”. Che è successo proprio qui, proprio a noi. Perché molti che potevano hanno voltato la testa senza fermare in tempo la macchina dell’orrore: per stupido calcolo, per superficiale disattenzione, per cinico gioco di potere o di denaro. Ci sono molti temi su cui invece è necessaria attenzione: una crisi economica globale ancora di là dall’essere superata, tensioni negli scenari mondiali che chiamano in causa il controllo di risorse strategiche come l’energia, l’acqua. Lo spettro di cambiamenti climatici e i loro impatti sulla vita di ognuno di noi.

E, nel nostro piccolo, dietro le beghe quotidiane di una politica sempre più lontana dai problemi veri della vita delle persone, ci sono tensioni che ribollono, tra pezzi di Paese: nord contro sud, dipendenti contro autonomi, privato contro pubblico. Mille piccole guerre apparentemente banali e senza importanza, che possono dar vita, in una società frantumata che ha smarrito il senso comune dello stare insieme, a pericolose scorciatoie dalle conseguenze non sempre prevedibili. La seduzione del male, nascosta dietro la banalità di parole, omissioni, sottovalutazioni, piccoli egoismi miopi, è sempre lì. Primo Levi ci ha avvertito. La sua voce risuona sommessa eppure fortissima. Non dimentichiamoci di ascoltarla, perché “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”

Carlo Cipiciani (Comicomix)

mercoledì 14 aprile 2010

martedì 13 aprile 2010

IN CONGO 700 BAMBINI MUOIONO PER LA FAME OGNI GIORNO

700 bambini con meno di 5 anni muiono ogni giorno nella Repubblica Democratica del Congo per via della fame.

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Lo hanno reso noto le autorità del povero paese africano che martedi hanno diffuso gli ultimi dati che testimoniano la situazione allarmante della popolazione della nazione; oltre al dramma dei 700 bambini che muoiono ogni giorno c’è il problema di 1 milione di donne tra i 15 e i 49 anni che soffre di malnutrizione. Secondo il Ministro della Salute Victor Makwenge sono almeno 530 mila i bambini sotto i 5 anni che hanno bisogno urgente di cibo. Le cinque province più colpite sono quelle dell’Equatore, Kasai, Kasai West, Katanga e Maniema dove vive il 51% della popolazione. Il programma alimentare mondiale, attivo in Congo, da anni distribuisce aiuti tra la popolazione ma si rifiuta di investire in piani per la produzione di cibo in suolo congolese.

Fonte

lunedì 12 aprile 2010

L’OCCIDENTE RAPINA ALL’AFRICA 1800 MILIARDI DI DOLLARI

In 40 anni, la fuga illecita di capitali è costata all'Africa 1800 miliardi di dollari

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E' un paradosso crudele, come quello di un padre di famiglia che rischi di far morir di sete i suoi figli perché l'acqua che ha, la da' a chi ne ha meno bisogno. A questo viene da pensare, leggendo un rapporto, appena pubblicato, sulla fuga di capitali dall'Africa.

Soldi fantasma. Il dossier s'intitola "Illicit Financial Flow from Africa: Hidden Resources for Development" ed è stato redatto dal Global Financial Integrity, centro studi no-profit di Washington, che ha cercato di analizzare e quantificare i capitali africani che improvvisamente si volatilizzano, disperdendo risorse finanziarie che dovrebbero essere investite in quel continente.
Le cifre fornite dallo studio sono semplicemente spaventose: nel periodo che va dal 1970 al 2008, l'Africa avrebbe perso qualcosa come 854 miliardi di dollari.
Ma questa è un'approssimazione per difetto, perché gli analisti sono riusciti a quantificare soltanto i capitali spariti attraverso la pratica del "mispricing" (falsificazione dei prezzi) dei beni materiali, che è solo uno dei tanti sistemi attraverso i quali i soldi vengono spostati in maniera illecita. Ci sono altre strade, come il mispricing dei servizi e il contrabbando, la cui incidenza resta di difficile misurazione, perché l'individuazione di queste pratiche è molto più complicata.
La cifra a cui arriva il think tank americano, azzardando una ipotesi circa l'ammontare complessivo dei capitali usciti dai Paesi africani illegalmente, è impressionante: 1800 miliardi di dollari, che per una serie di trucchi hanno permesso a dittatori, leader democratici, militari, alti burocrati e imprenditori, africani ma non solo, di accumulare immense fortune all'estero, al riparo dalle frequenti crisi che scuotevano (e scuotono) periodicamente Paesi caratterizzati da economie deboli e da una forte instabilità politica. Un fiume di soldi che ha alimentato la crescita dei Paesi più sviluppati e che, paradossalmente, fa dell'Africa un continente virtualmente creditore, pur essendo imprigionato dal suo debito.

Miseria reale."Il massiccio flusso di soldi di provenienza illecita dall'Africa - scrive il direttore di Gfi, Raimond W. Baker - è facilitato da un sistema finanziario internazionale ombra, che comprende paradisi fiscali, segretezza di giurisdizione, finte corporation, false fondazioni, conti intestati a trust anonimi, transazioni commerciali truccate e diverse tecniche di lavaggio del denaro". La questione non è di natura etica o almeno non solo.
"L'impatto di questa struttura e dei fondi che sposta dall'Africa - continua il report - è devastante. Drena importanti riserve monetarie, aumenta l'inflazione, rende difficile la raccolta delle tasse, impedisce investimenti, mina il libero commercio".
Ma soprattutto, queste pratiche colpiscono il segmento sociale più povero e marginale, perché assorbono risorse che potrebbero essere utilizzate per la lotta alla povertà e per incentivare la crescita economica.
Basti pensare che con gli 854 miliardi di dollari persi solo attraverso il mispricing dei beni, l'Africa avrebbe potuto ripianare il suo debito estero (250 miliardi di dollari) e impiegare i 600 miliardi di dollari rimanenti per combattere la fame e la povertà.

L'analisi. Al totale di 854 miliardi di dollari, il Global Financial Integrity ci è arrivato concentrandosi sui flussi di capitali illeciti in uscita che ha documentato seguendo due strade. Volendo semplificare, il Gfi ha confrontato i flussi economici in ingresso, rintracciabili guardando le variazioni del debito con l'estero e il netto dell'investimento diretto di capitali stranieri, con il registro delle spese. La differenza tra i flussi finanziari in entrata e le risorse impiegate nel finanziamento del deficit corrente o nell'aumento delle riserve valutarie delle Banche centrali, equivale al capitale che si è volatilizzato su conti esteri.
L'altra strada percorsa è quella dell'analisi del mispricing, cioè di quella pratica che permette di occultare capitali in uscita aumentando sui documenti doganali il valore delle importazioni e riducendo quello delle esportazioni.
In tutti e due i casi, i dati a disposizione della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale consentono di scoprire la frode. Che rimane invece di difficile individuazione quando ad essere truccati non sono più i prezzi sui documenti doganali, ma quelli contrattati direttamente tra la società venditrice e quella acquirente. Quando la prima è complice della seconda, non si riesce a più capire quando e quanto una transazione commerciale nasconda un flusso di capitali illeciti. Questa è una via utilizzata soprattutto dalle grandi multinazionali per spostare fondi da un Paese all'altro.Pur con tutte le cautele e gli avvertimenti sulla mancanza di dati da alcuni Paesi africani e sulla difficoltà di rintracciare con certezza l'esistenza e la consistenza di flussi finanziari illeciti, i ricercatori del Gfi tracciano un quadro a tinte fosche. Dal 1970 al 2008, l'Africa ha perso, in media, 29 miliardi di dollari l'anno, 22 dei quali dai soli stati dell'Africa Sub-Sahariana, in particolare della regione centro-occidentale. Il fenomeno è cresciuto costantemente, con una media del 12,1 per cento all'anno. Ci sono, tuttavia, segnali di miglioramento. Diverse grandi economie, soprattutto quelle legate all'esportazione di idrocarburi come la Nigeria o l'Angola, nel 2008 hanno registrato una forte e crescita, che ha reso possibile misure macroeconomiche e riforme strutturali, condizioni che, generalmente, provocano un rientro di capitali.
Ciononostante, per raggiungere gli obiettivi fissati dallo United Nations' Millennium Development Goals per il 2010, All'Africa mancano ancora 348 miliardi di dollari e dai Paesi donatori, alle prese con la crisi economica globale, è difficile aspettarsi un aiuto risolutore. Anche di questo dovranno discutere i ministri delle Finanze africani, che a breve s'incontreranno in Malawi, in occasione della terza conferenza annuale, così come è prevedibile che la questione verrà posta anche al prossimo G20 che si terrà a giugno in Canada.

Alberto Tundo

UK. ECCO IL REPORT DAL MEETING SEGRETO SUL PEAK OIL DEL GOVERNO INGLESE!

Doveva restare segreto persino l'evento stesso del meeting, ma il Guardian ha rotto le uova nel paniere. Questa è la prima notizia che ci riporta Rob Hoskins dal suo blog. Rob ha presenziato al summit sul peak oil del governo inglese come rappresentante di Transition Network, e racconta com'è andata.

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Definito "affascinante e frustrante" allo stesso tempo, il meeting ha visto la partecipazione di 20 selezionatissime persone, tra le quali ministri, esponenti del governo e dell'industria e studiosi del problema. 4 le presentazioni, la prima delle quali ha riassunto la non consapevolezza dei governi sul peak e la necessità immediata di prendere provvedimenti.

La seconda presentazione ha esposto il punto di vista dell'industria petrolifera, secondo la quale il plateau è cominciato nel 2004. Dal 2005 è finita inoltre l'era del petrolio a basso prezzo. E' stato chiarito che non conta la disponibilità, ma la continuità del flusso sul mercato, e che le compagnie sono ben consapevoli del fatto che, malgrado le riserve siano ancora consistenti, buona parte di esse non sono economicamente sfruttabili. L'esempio usato è stato quello delle particelle d'oro nell'acqua del mare: ce ne sono moltissime, ma nessuno si sogna di prendersi la briga di estrarle. Esiste qualche margine di sfruttamento nel gas non convenzionale, ma per renderlo conveniente occorre che il prezzo aumenti di parecchio. Fin qui l'industria, che a me pare assai chiarificatrice: a porte chiuse si ammettono verità generalmente ben occultate quando ci si rivolge al grande pubblico (e ai mercati...)

La presentazione della Peak Oil Task Force si è focalizzata sulla produzione, chiarendo che difficilmente si raggiungeranno i 90 milioni di barili al giorno e che da quel momento comunque non si potrà che scendere; che i Paesi occidentali, meno abituati alla volatilità dei prezzi, avranno molti più problemi di Cina e India; infine, che il primo settore su cui agire è quello dei trasporti.

Transition Network ha presentato le proprie proposte per una discesa soft, incentrata su un mondo a bassa energia, e portando i molti esempi di comunità locali che già stanno adottando politiche di transizione.

La discussione che è seguita ha un po' sconcertato il nostro insider. Qualcuno ha suggerito che non occorre prendere provvedimenti di sorta, visto che ci penserà il mercato a regolare la transizione attraverso il meccanismo del prezzo. Al che, qualcun altro ha saggiamente obiettato che se penserà a tutto il mercato, allora cosa ci sta a fare il governo? Quest' ultimo, infatti, dovrebbe agire proprio per rispondere alla volatilità e all'indeterminatezza del prezzo. Qualcun altro ha osservato che dovrà cambiare l'intero approccio politico, da una società dove ci si preoccupa di distribuire il surplus ad una dove bisogna invece saper dividere una torta più piccola.

I gruppi di studio a seguire si sono concentrati sulle risposte nazionali e locali alla sfida in atto. Molta la preoccupazione per i trasporti. Le conclusioni finali del lavoro sono state le seguenti:

- La data del peak è incerta, ma comunque inevitabile;

- C'è un alto rischio che i problemi si presentino nel giro di 3 o 4 anni;

- I prezzi saranno inevitabilmente più alti;

- A breve termine, si conterà di più sul gas naturale

- L'intervento del governo sarà inevitabile;

- Lo stile del cambiamento sarà decisivo, e il governo dovrà trasmettere il messaggio alla popolazione in modo chiaro ma non pessimista;

- Ci sarà bisogno di intervenire nei trasporti pubblici;

- Il sistema di pianificazione per l'uso del territorio dovrà tenere il problema ben in mente, e in futuro si potranno considerare anche i razionamenti.

Rob ha trovato affascinante come il governo sia sia finalmente deciso ad affrontare seriamente la questione peak oil, e si è sentito onorato per l'invito esteso alla sua associazione che è molto attiva a livello locale. Ha trovato invece frustrante l'impossibilità di farli uscire dal mito dell'eterna crescita economica, dal mito di "la tecnologia risolverà i problemi" e da come ogni preoccupazione sia concentrata essenzialmente sui trasporti, panacea per i quali pare essere il semplice passaggio alle auto elettriche e tutta la rete di alimentazione ad esse connessa.

Sembra non esserci alcuna considerazione di come una nazione che è la seconda più indebitata al mondo, che è diventata un importatore di energia in un momento di volatilità dei prezzi, riuscirà a pagare una simile infrastruttura.

Credo che questo summit sia da considerarsi un evento di importanza storica. E credo anche che, forse, la segretezza dell'evento non sia stata violata del tutto casualmente...

Pubblicato da Debora Billi in Peak Oil

sabato 10 aprile 2010

APPELLO DEL CONSIGLIO PER LA DIFESA DELLA PATAGONIA

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Cari amici, cari colleghi,

insieme al nostro partner italiano Campagna per la riforma della Banca Mondiale – Mani Tese stiamo organizzando un importante viaggio in Italia di una delegazione cilena per rafforzare la nostra campagna “Patagonia senza dighe”. Saremo in Italia l’ultima settimana di aprile.

La compagnia italiana ENEL (per il 32% proprietà dello stato) ha ereditato, attraverso l’acquisizione di Endesa, il progetto di costruire un enorme e distruttivo impianto idroelettrico nella regione di Aisén, nella Patagonia cilena. Il progetto HidroAysén consiste in una serie di 5 dighe per la produzione di 2.750 MW, due sul fiume Baker e tre sul fiume Pascua. La diga inonderà 6000 ettari di terra, avrà un costo di 3,2 miliardi di dollari e comporterà la costruzione di una linea di trasmissione di 1500 miglia, sorretta da 6000 tralicci alti 70 metri. La linea di trasmissione costerà altri 2 miliardi di dollari e distruggerà ulteriori 22.700 ettari di territorio e sarà costruita dalla società cilena Transelec, sussidiaria della canadese Brookfield Asset Management.

Le organizzazioni ed I cittadini cileni che si stanno opponendo al progetto hanno formato il “Consiglio per la difesa della patagonia” (CDP) che oggi comprende 58 organizzazioni di Cile, Argentina, Italia, Spagna, Stati Uniti, Canada.

Uno degli obiettivi della delegazione, che sarà formata da rappresentanti del CDP, il Vescovo di Aysén Luis Infanti e il senatore cileno Guido Girardi, è incontrare il Ministro dell’Economia, funzionari e rappresentanti sindacali dell’ENEL e le banche italiane che finanziano ENEL. Veniamo in Italia anche per parlare all’AGM dell’ENEL che si svolgerà a Roma il 29 aprile.

L’altro importante obiettivo di questo viaggio e incontrare le organizzazioni Italiane e Spagnole che sono interessate a sostenere la campagna “Patagonia senza dighe” per ampliare la coalizione e condividere un piano d’azione comune.

Confidiamo nel vostro sostegno e speriamo di incontrarvi in Italia.

Juan Pablo Orrego
Presidente dell’Ass. Ecosistemas
per il Consiglio per la Difesa della Patagonia

venerdì 9 aprile 2010

LA SALADA, MECCA DELLE MERCI CONTRAFFATTE

L’autista grugnisce l’importo, due pesos, e fa cenno di prendere posto in fretta. Il sedile è foderato di nulla, senza più plastica né imbottitura. L’autobus è sgangherato, niente targa né illuminazione interna. Non c’è un orario, si parte quando è pieno. All’1,30 di notte, dopo quaranta minuti di attesa, lasciamo l’inquietante piazzale, buio, coperto di detriti, situato all’estrema periferia di Lomas de Zamora, 50 chilometri da Buenos Aires. Destinazione La Salada, il più grande mercato illegale dell’America Latina. Aperto solo due notti alla settimana, il mercoledì e il sabato.

È la Meca del trucho, la Mecca delle merci taroccate. Qui è tutto contraffatto. Un giro d’affari gigantesco, 6,6 milioni di euro alla settimana, 7mila persone occupate e 20mila bancarelle.

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1 de 1 Miles de puestos ofrecen prendas de "marca": productos falsos que generan ganancias de US$ 9 millones por semana Foto:Emiliano Lasalvia

Ogni sabato notte arrivano 50mila “pelligrini”, persino da Brasile e Paraguay. A nessuno di loro importa che l’Unione europea abbia definito il luogo «emblema mondiale del commercio falsificato».
Lacoste a quattro euro, scarpe Nike a cinque, un paio di Levi’s a sette euro. Poi dvd, materiale elettronico, componentistica per auto, mobili, orologi Rolex, abiti Yves Saint Laurent, borse di Gucci, sexy shops, ragazze e ragazzi, armi e droga. Bar e ristorantini. Non manca niente. È il trionfo della “legge di Say”: ogni offerta crea la sua domanda.
Alla Salada va in scena la peggior integrazione possibile tra un trafficante di stupefacenti, un padre di famiglia che acquista abbigliamento per i suoi figli e un negoziante al dettaglio che compra qui e rivende in uno dei trecento mercatini diffusi nell’area metropolitana di Buenos Aires.
«Guarda che meraviglia queste scarpe, le porto a casa per 60 pesos, in città costano 400 e non me le potrei mai permettere». L’entusiasmo di Soledad, 24 anni, commessa, è difficile da contenere e questo non è il luogo adatto per intavolare una conversazione sui problemi che genera la contraffazione. Si può solo constatare che sradicarla è davvero difficile. Il fantomatico señor Jorge Castillo viene indicato come il vero proprietario de La Salada. Stabilisce regole, impone quote, spartisce proventi. Attorno a lui un solidissimo muro di omertà e oscure complicità. Alla polizia pubblica viene impedito di entrare.
Il governo del mercato è in mano alla sicurezza privata, ai Rambo autoaccreditati e ai luogotenenti di Castillo. Il business è anche la massima espressione dell’impunità che regna attorno al fenomeno della contraffazione. Diego Farreres, direttore del dipartimento di antipirateria di Louis Vuitton, una delle griffe più copiate al mondo, parla chiaro. «Questo è il crimine del XXI secolo, vi sono enormi margini di guadagno e la gente che acquista ignora che dietro al falso ci sono lavoro nero, sfruttamento minorile, lavaggio di denaro sporco e spesso condizioni di lavoro in semischiavitù». Oltre alle migliaia di acquirenti ci sono centinaia di operatori, uomini-cavallo che trascinano carri, carretti, carriole. Hernan, boliviano di 22 anni, sguscia esausto tra i budelli, le corsie strette tra le fila di bancarelle. Quanto ti danno? «Cinquanta pesos (nove euro) per tutta la notte di lavoro». Consegna, ritira, sposta, trascina. Merci, merci e ancora merci.
Poi, come dal nulla, sbuca Gustavo, puntuale all’ora del nostro appuntamento. Lui è uno dei luogotenenti del señor Castillo e accetta di scambiare qualche battuta. Un anello vistoso, i capelli castani sulle spalle, una tuta Adidas blu. Stringe tante mani, è cordiale. Va dritto al punto: «Cosa avete contro La Salada? È un mercato popolare, tutti sanno che le griffe confezionano i loro abiti in orrende sartorie clandestine, dove immigrati illegali di Bolivia e Paraguay lavorano 16 ore al giorno». E qui non è tutto clandestino? «Dietro ogni bancarella c’è un’impresa familiare che consente ai meno abbienti di accedere ai beni di prima necessità, come i vestiti». Una difesa d’ufficio di un addetto ai lavori, ma ciò che sorprende è che La Salada annoveri difensori anche tra gli economisti. L’opinione diffusa è che l’espulsione di molti lavoratori dai cicli produttivi le conferisca lo status di mercato del lavoro “frizionale”, capace di tamponare la disoccupazione. E al tempo stesso è l’unica opportunità di acquisto per chi non ha risorse per entrare in un negozio vero.
Purtroppo è così, il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali da generare un dibattito, con tanto di favorevoli e contrari. «Il problema non è solo la merce falsificata quanto l’intera filiera di produzione, irregolare e illegale», spiega Santiago Montoya, funzionario dell’Ufficio imposte di Buenos Aires. Fabbriche clandestine che utilizzano manodopera in nero e ovviamente non pagano un solo peso di imposte. Poi le imprese regolari che producono una parte “in nero” che confluisce a La Salada. Ecco, qui si rafforza e si esporta la cultura dell’evasione.
La guerra alla pirateria è persa? Alcuni mesi fa settanta ispettori, guidati dallo stesso Montoya, si sono presentati nell’enorme spianata occupata dal mercato.
Protetti dalle forze speciali di polizia e dell’esercito, vestiti in una divisa riconoscibile hanno interrogato centinaia di venditori, riempito formulari ed effettuato rilievi di ogni genere. Ignorati o insultati dagli “operatori”, all’alba sono rientrati a Buenos Aires. Difficile valutare il risultato del loro lavoro.
L’unica certezza è che poche settimane fa in tv, sul principale canale tv argentino, durante la partita di calcio Germania-Argentina valevole per i Mondiali del Sudafrica è comparso in sovraimpressione l’annuncio del sito internet de La Salada. Proprio cosí: un evento sportivo con un’audience altissima ospita la pubblicità delle pagine web del mercato illegale più conosciuto d’America Latina. D’altronde qui nulla è improvvisato: l’organizzazione dei padiglioni, i posti delimitati, il controllo dei superpoliziotti (privati) armati fino ai denti, la regia dei mammasantissima. Ovvio, per chi sgarra le sentenze non sono quelle dei tribunali.
Comunque sia c’è possibilità di redimersi. Alle prime luci dell’alba di questa primavera australe, dopo una notte di affari, loschi traffici, regolamenti di conti, gli altoparlanti sovrastano il brusio con un annuncio scandito chiaro e forte. «Nella cappella antistante il mercato, Padre Horacio dà la benedizione a chi la chiede».

Fonte

giovedì 8 aprile 2010

IL SUMAK KAWSAY SECONDO LA VISIONE DELLE DONNE

[Fonte: Bollettino Marzo 2010 Alainet] Negli ultimi anni siamo riusciti a rafforzare il Sumak Kawsay, termine che potrebbe essere considerato un’utopia, dal momento che si fonda sulla proposta di una costante lotta per l’uguaglianza.

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La proposta del Sumak Kawsay è inclusiva e si rivolge a donne, bambini, anziani, indigeni, africani, meticci; è per tutta la società. Per comprenderla meglio si può fare riferimento alla loro stessa lingua e alla loro cultura. Questa parola non appartiene solo agli indigeni ma si trova anche nella nostra lingua, piuttosto guardiamo l’interpretazione che ognuno le può dare nel quadro del cambiamento per raggiungere il buen vivir.
Il Suma Kawsay, seguendo l’interpretazione letteraria, sarebbe la vita nella sua pienezza, nella sua eccellenza, il meglio, la bellezza delle cose. Se tuttavia si interpreta in termini politici è la vita stessa, una mescolanza di attività e volontà politiche che significano cambiamenti, affinché non manchi il pane quotidiano alle genti e perché non esista questa disuguaglianza sociale tra uomini e donne. Il Sumak Kawsay non è solo il sogno delle popolazioni indigene, ma di tutta l’umanità.
Quando parliamo del Sumak Kawsay non ci riferiamo a un ritorno al passato, perché non possiamo neanche sostenere che sia stato perfetto ma sì possedevamo e vivevamo il Sumak Kawsay. Il Sumak Kawsay è ciò che ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi, a questi 518 anni di marginalità, di discriminazione, di disuguaglianza e di razzismo, perché lo abbiamo affrontato in maniera collettiva e comunitaria. Non abbiamo la terra. come un tempo, perché è stata divisa nel minifondo, ma questa solidarietà e questa reciprocità hanno continuato a regnare e ci ha permesso di sopravvivere attraverso la lotta e la resistenza.
Principi del Sumak Kawsay
La reciprocità, la solidarietà, l’uguaglianza, il mutuo rispetto nella diversità, l’appoggio reciproco in tutti gli spazi e i momenti, fanno parte del Sumak Kasway. Nelle comunità, la reciprocità si può riscontrare, per esempio, nel lavoro nelle fattorie, nel momento della raccolta, quando si porge la mano a uno e il seguente si volta ad accompagnarlo. O anche nel caso di un matrimonio, di un dolore, di un parto, o di una malattia, quando arriva il vicino e condivide il pasto, una coperta o ciò che sia.
La reciprocità si ritrova nelle visite, nell’essere presenti reciprocamente.
Nel momento della costruzione di una casa l’appoggio è ancora maggiore, infatti, i membri della comunità, non solo vengono ad aiutarti nella costruzione della casa, ma ti portano perfino materiali e cibo. Se vedono che la famiglia che sta costruendo è particolarmente occupata, i vicini arrivano con i coltelli in mano, pronti a pelare le patate, e si propongono per fare qualsiasi cosa ci sia bisogno. In questo modo la reciprocità è permanente.
Insieme alla reciprocità vi è la solidarietà. E vero se tu sei venuto in mio aiuto io ora sono in debito, ma al di là di questo, la solidarietà è nei gesti e nell’accompagnamento in ogni momento: nel dolore e nella gioia. È l’identificarsi con i sentimenti degli altri, di qualsiasi tono essi siano. Questo è importante perché, altrimenti, siamo ancora individualisti. Bisogna recuperare questo principio di solidarietà del Sumak Kawsay.
Anche la complementarità è cruciale per il Sumak Kasway. Le donne sono state trattate come un’appendice degli uomini perché, secondo quanto si dice, siamo state create dalla costola dell’uomo, è per questo che gli uomini credono che esistiamo solamente per servirli, ubbidirgli e/o accompagnarli senza voce né diritti. Anche con le culture avviene lo stesso, alcune si impongono e cercano di omogeneizzarle alle altre. La complementarietà significa essere trattate in condizioni di uguaglianza, è lavarsi la faccia con le due mani, è aiuto reciproco. È l’apportare ciò che manca all’altro, non essere il bastone dell’altro, né tanto meno il lavoratore dell’altro. Vuol dire appoggiarsi reciprocamente per risolvere, sviluppare e dare impulso ai sogni condivisi.
Vivere in comunità
Vivere in comunità non significa solo condividere lo stesso luogo geografico o essere legati da relazioni di consanguineità, ma significa la vita collettiva di sentirsi identificati e parte di una famiglia, in un gruppo. Questo consente di condividere allegrie, ma anche la mutua preoccupazione di come progredire in maniera collettiva e sentirsi parte di un unico albero, come popolo.
La comunità non interferisce con la vita personale, al contrario, esiste un rispetto reciproco in questo senso, perché la comunità non significa uniformarsi, né imporre un solo modello di vita. È una vita collettiva che cerca un progresso e da lì collaborazione. Va notato che nella comunità vi sono regole disciplinate dalle rispettive autorità, che devono essere rispettate nella misura in cui difendono il bene comune.
Rispettare la diversità
Vivere nella diversità significa riconoscere la storia e la cosmovisione dell’altro, riconoscere la mia storia a partire dal rispetto reciproco, lottare per gli stessi diritti alla vita a partire dalla diversità su un piano di parità, anche questo è parte del Sumak Kawsay. Consente, inoltre, la fratellanza anche appartenendo a popoli differenti. Tuttavia il mancato riconoscimento della diversità ha aperto dei solchi nei quali si crea gente di prima classe e gente di seconda, portandoci a vivere per molto tempo separati, e trattati ingiustamente per incomprensione della lingua. Per raggiungere il Sumak Kawsay a partire dalla diversità, dobbiamo elaborare politiche che offrano uguali opportunità, partendo dalla diversità.
Per raggiungere il Sumak Kawsay nel paese è importante rompere con le vecchie strutture e con il monopolio delle elite e ricostruire uno Stato che integri tutte le sue componenti, mettendo in atto una politica di ridistribuzione delle ricchezze, politiche di sviluppo, politiche economiche e sociali, che si rivolgano alla società nel suo complesso. Il Sumak Kawsay è unito alla plurinazionalità, e questo vuol dire sviluppare politiche per avanzare nel quadro della diversità, in condizioni di parità per tutti e per tutte.
La Pachamama
Per i popoli la Pachamama è vita, è come il ventre di nostra madre, ci riscalda, ci alimenta, ci fornisce lavoro, in lei troviamo la gioia; per questo dobbiamo prendercene cura, perché è la vita stessa. Per molto tempo la Pachamama è stata maltrattata, saccheggiata e spogliata, a causa della voracità del sistema economico e oggi la vediamo malata, e ciò è reso evidente dal cambiamento climatico e dai disastri naturali come quelli che si sono manifestati ad Haiti e in Cile. Oggi il mondo e noi che lo abitiamo siamo allerta, e questo per non aver saputo capire il dolore della Pachamama.
Quanto detto esige che le politiche globali vengano indirizzate nella ricerca della riparazione del danno causato alla Pachamama.
Dall’altro lato, siamo noi che abbiamo la responsabilità di aiutare a risanare questa malattia, e ciò può essere fatto con la forestazione e riforestazione, con la cura delle vegetazioni, dell’acqua e degli animali. Evitando, inoltre, la deteriorazione per sentire l’aria e il calore del sole che ci dà la vita, senza che siano interrotti con le politiche estrattive che alterano l’armonia della Pachamama.
La plurinazionalità
La plurinazionalità la concepiamo a partire dall’uguaglianza nella diversità. Significa riconoscere i diritti e creare politiche per tutti e per tutte. Se non vengono messe in atto politiche che implichino il concetto di diversità allora non esiste plurinazionalità. Senza politiche che riconoscano i diritti a parità di condizioni, non si avrà plurinazionalità. Deve tener presente del diritto dei popoli, degli uomini, degli individui, con uguali opportunità. Inoltre, deve rompere con i monopoli, combattere il razzismo, e porre fine all’ingiustizia, amministrare la giustizia con una visione plurinazionale, riconoscere e rispettare i territori dei popoli indigeni e permettere lo sviluppo dei popoli a partire dalla diversità.
La plurinazionalità non divide il paese, esige il riconoscimento di tutti i popoli che esistono; è fare la vera democrazia. La plurinazionalità significa costruire il potere del popolo; non appartiene solamente alle popolazioni indigene, ma se rispetta le caratteristiche che abbiamo chiesto, per la prima volta potremmo godere di parità di condizioni. Nessuno ne resta escluso, in realtà si può si può esercitare con tranquillità a partire dall’educazione, dalla sanità fino ad estenderlo ad ogni campo. Non si tratta di nominare un ministro indigeno, uno africano e uno non indigeno per poter affermare di avere uno Stato Plurinazionale se le politiche base, le leggi, i regolamenti e l’agenda sono interpretate solo alla luce di una visione uninazionale.
Per quanti ministri indigeni o africani stiano partecipando al Governo, non si può applicare la politica plurinazionale, né nella comunicazione, nè nell’educazione finchè permane questa visione. Noi siamo parte dello Stato, ma siamo diversi come popolo, non solo per l’abbigliamento che utilizziamo. Abbiamo culture, storie e spazi territoriali a cui deve essere consentito di potersi sviluppare. È necessaria una politica che consenta di dare una risposta a ognuno di questi elementi e deve essere trasversale e tutte le politiche, affinché facilitino lo sviluppo di ogni dipartimento, ogni ministero, in tutti gli ambiti.
Le donne nel Sumak Kawsay
L’eccellenza, la pienezza, la felicità, l’allegria, la bellezza, tutto questo è il Sumak Kawsay. Come posso essere felice se non ho un lavoro? Se i miei genitori e mio marito emigrano? Se non posso educare i miei figli? Se non ho di che mangiare? Così non possiamo provare gioia perché siamo malati. Per le donne il Sumak Kawsay, insieme alla Pachamama, sono molto importanti. Le donne come esseri umani sono donatrici di vita, non solo perché partoriamo ma perchè facciamo crescere questo nuovo essere. Noi siamo parte e siamo dentro questo ventre che è la Pachamama. Da qui l’esigenza di riconoscere la vita per tutti, ma anche con l’esercizio di diritti: pari opportunità e spazi per uomini e donne.
Persino gli orari di lavoro devono cambiare nel caso particolare delle donne per raggiungere il Sumak Kawsay, questo perché una donna che deve allattare suo figlio, che deve preparare i pasti prima di uscire per andare a lavorare, non può arrivare alla stessa ora degli altri. Bisogna prendere in considerazione la partecipazione politica delle donne ma anche queste particolarità del suo ruolo nella famiglia, che ci consenta di continuare ad essere donne, con le nostre responsabilità.
Non vogliamo creare problemi tra uomini e donne, che sorgono quando le donne assumono un ruolo di leadership. Spesso questo causa rotture famigliari e noi vogliamo evitarlo, non vogliamo essere causa della disintegrazione famigliare. Pertanto si rende necessario un aggiustamento dei sistemi di educazione, sanitari e negli orari lavorativi, altrimenti le donne non potranno godere del Sumak Kawsay.
Siamo consapevoli che le donne, a causa delle loro responsabilità, non hanno avuto le stesse opportunità degli uomini, sia in termini di tempo, che di spazi, nell’accesso al sapere. Questo, però, non significa che le donne non dispongano delle capacità e dell’intelligenza necessarie. L’esperienza relativa alla formazione delle donne, tuttavia, ci ha dimostrato che queste possono restare un po’ indietro rispetto agli uomini, anche se hanno camminato accanto nel lavoro della comunità e nelle mobilitazioni. Come se gli uomini camminassero più rapidamente, perché hanno potuto dedicare più tempo per acquisire maggiore conoscenza e partecipare alle riunioni.
A ciò si aggiunge la maggiore facilità con cui i genitori spingono gli uomini all’istruzione, fino alle scuole superiori, mentre quando si tratta di una donna l’importante è che questa sappia leggere, arrivando solo ai primi anni di scuola. Anche se ai giorni nostri abbiamo raggiunto il riconoscimento di certi diritti, come la partecipazione negli spazi di lavoro e di leadership, il riconoscimento di certe leggi, a favore delle donne e della famiglia, tuttavia, queste non vengono debitamente applicate. C’è bisogno di una maggiore sensibilizzazione nei compagni uomini.
Speriamo nel cambiamento della nuova generazione, per questo attribuiamo una particolare importanza alla formazione all’interno del tessuto familiare. Collaborare per sentire che le donne e gli uomini possano superare queste situazioni del tempo e dello spazio e di responsabilità famigliari, perché possano godere delle stesse condizioni. Le donne devono partecipare, perché abbiamo opinioni e possiamo rafforzare le agende politiche che sono in fase di pianificazione all’interno di un movimento, almeno se culturalmente affermiamo che è composto da bambini, uomini, donne, giovani.
Di Blanca Chancosa
Traduzione di Anna Bianchi.

mercoledì 7 aprile 2010

L'ESERCITO NELLA FAVELAS PER "GARANTIRE LA SICUREZZA"

L’esercito entra nelle favelas di Rio, ma per restarci

A Rio de Janeiro, in una delle favelas storiche della città, Morro da Providencia, dalla scorsa settimana sono entrati 335 membri della polizia militare. L’obiettivo dell’operazione non è quello di catturare qualche boss del narcotraffico locale, ma di rimanere nel quartiere e garantire la sicurezza dei cittadini. E permettere all’amministrazione della città di assicurare i servizi pubblici di base.

Morro da Providencia

Ma questo è solo l’inizio. Gli abitanti di Rio sono in attesa dell’istituzione di un’unità speciale di polizia chiamata Unidad de policia pacificadora che dovrebbe avere la funzione specifica di riportare la legalità nelle favelas. “Le autorità sostengono che questo sia l’unico modo per dare una svolta alla situazione dei quartieri più malfamati della città. E sono molte le favelas e i quartieri limitrofi che aspettano l’arrivo della polizia come una manna. Infatti moltissime zone, anche nel centro della città, sono svalutate a causa della scarsa sicurezza e una loro rivalutazione porterebbe il prezzo degli immobili alle stelle”, scrive El País.

A fine anno saranno 59 le zone a essere controllate dall’esercito e dalla polizia, tra queste alcuni quartieri della violenta e finora inespugnabile zona nord di Rio.

“La polizia tenta di convincere le comunità che è arrivata per fermarsi e che conviene a tutti collaborare con le autorità. Ma d’altro canto le bande di narcotrafficanti continuano a terrorizzare gli abitanti delle favelas, sostenendo che la polizia prima o poi se ne andrà e che allora il narcotraffico recupererà il controllo del territorio e la farà pagare cara a chi ha collaborato con la polizia. È una guerra sottile tra propaganda e contropropaganda. Tra gli uni e gli altri si destreggeranno gli abitanti delle favelas, abituati per decenni alla tirannia dei signori della droga e al fuoco incrociato delle operazioni speciali di polizia”, conclude il giornale.

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52 GIORNALISTI IN PRIGIONE IN IRAN

Dove libertà e democrazia sono parole vuote, o meglio, dove non esistono nemmeno nel vocabolario.

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Un terzo dei giornalisti dei giornalisti in carcere in tutto il mondo è recluso in Iran. Lo ha rilevato il Cpj, un’organizzazione americana di tutela degli operatori dell’informazione, annunciando che il mese scorso il numero di giornalisti in carcere nella repubblica islamica iraniana è salito a 52. Al secondo posto della graduatoria c’é la Cina con 24 giornalisti in carcere, seguita da Cuba con 22. Il numero dei reporter incarcerati in Iran è il più alto mai registrato dall’organizzazione in un singolo Paese dopo i 78 casi documentati in Turchia nel 1996. Complessivamente sono 306 in questo momento i giornalisti in carcere nel mondo. La lista di Teheran La situazione nel mondo

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