Delegazioni indigene di Guatemala, Colombia, Venezuela, Perù, Argentina, Cile ed Ecuador hanno partecipato a "l'incontro più importante dell'anno, in nome degli stati plurinazionali e del buen vivir"
Dall'11 al 13 marzo Quito è stata teatro del II Congresso della Coordinazione Andina di Organizzazioni Indigene (CAOI). Delegazioni indigene provenienti dal Guatemala, Colombia, Venezuela, Perù, Argentina, Cile ed Ecuador hanno partecipato a quello che è stato definito "l'incontro più importante dell'anno, in nome degli stati plurinazionali e del buen vivir".
Molteplici le temtiche affrontate, e numerose le proposte avanzate dai rappresentanti delle diverse nazionalità. Donne, giovani, uomini e anziani del Abya Yala si sono uniti per tessere nuove unità nella diversità.
"La crisi climatica non si risolve con aiuti economici. La responsabilità di proteggere le risorse. Siamo di fronte ad una crisi globale, ed è tempo di passare dalla resistenza alla proposta", questo quanto appurato durante la discussione del primo tema affrontato: "crisi globale, crisi climatica e condizioni di vita dei popoli". La grande assemblea ha stabilito come sia evidente che la malattia della Pachamama sia dovuta al modello economico di estrazione senza freni, messo in atto per permettere a pochi di accumulare, mentre le maggioranze continuano a vivere nella povertà. Un modello egoista che ha generato la crisi globale e soprattutto il cambiamento climatico. E' importante resistere e rimanere uniti di fronte a ogni progetto che minacci qualsiasi forma di vita, e stabilire alleanze tra il movimento indigeno e i movimenti sociali e popolari, così come è importante ridefinire i criteri che determinano la vita odierna.
Quindi la riflessione si è spostata sulla questione "Ricostruzione dei Popoli e degli Stati plurinazionali". "La ricostruzione dei Popoli indigeni inizia nelle singole case. Sapere da dove veniamo, chi siamo, conoscere la geografia del nostro territorio. Ricordare i nostri eroi". Il modello economico transnazionale e la concezione della vita dei Popoli, secondo gli indigeni riuniti a Quito, sono due sistemi che si contrappongono, il primo focalizzato sull'estrazione e l'accumulo smisurato e il secondo ispirato dal buen vivir e dalla realtà degli Stati plurinazionali. Allo stesso tempo, la cultura dominante si oppone nettamente alla cosmovisione e alle tradizioni indigene, generando dal cuore delle sue istituzioni il razzismo e l'esclusione. Per questo, è fondamentale appoggiare la costruzione degli Stati Plurinazionali e combattere la colonizzazione del potere e del modello economico basato sull‘accumulare.
La discussione si è quindi spostata sulla difesa dei territorio e della Madre Terra, ed è emerso come sia importante creare Tribunali Indigeni di Giustizia Climatica che siano vincolanti per sanzionare le imprese multinazionali; redarre una Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra nelle Nazioni Unite, seguire le raccomandazioni della Corte Interamericana dei Diriti Umani ed altre istanze, e stabilire alleanze ed incidenze politiche con i movimenti sociali. Quindi occhi e orecchie puntati sulla questione della criminalizzazione del movimento indigeno e della militarizzazione del territorio. "Il processo di criminalizzazione di cui siamo vittime non è solo responsabilità degli Stati, ma è fomentato direttamente dalle multinazionali, come risposta alla resistenza dei popoli di fronte alle industrie estrattive", questo l'assunto. I popoli subiscono un'occupazione militare territoriale che minaccia ogni ambito della vita comunitaria: impone controlli e restrizioni alle attività quotidiane sociali; viola l'autonomia e il diritto alla sovranità (un esempio sono le sette basi militari statunitensi in Colombia) e rompe il sistema di vita nelle comunità; introduce squadroni della morte per causare terrore, reprime proteste sociali e criminalizza, promuove leggi antiterrorista e modifica arbitrariamente i codici penali. Di fronte a questa occupazione è stato proposto rafforzare l'Osservatorio Giuridico della CAOI in coordinamento con le esperienze degli altri Popoli, organizzare un unico movimento mondiale per il giorno simbolico del 12 ottobre, e combattere la costruzione di nuovi basi militari.
In conclusione, è evidente come la sfida più grande sia raggiungere una piena incidenza politica e il giusto riconoscimento per un'organizzazione così importante come la Cacique, che rappresenta più di 45 milioni di comunità indigene in America Latina. Far sentire la propria voce nei dibattiti politici internazionali, ed essere riconosciuti come Popoli capaci di incidere profondamente nelle decisioni strategiche di un Paese, fino ad arrivare a governarlo, come nel caso di Evo Morales. Smettere di essere un insieme di simbologie che adornano aeroporti e magliette turistiche per diventare una sola forza pensante, inclinata verso il rispetto alla Natura ed ai diritti umani.
Nessun commento:
Posta un commento