Fino a che punto la libertà di espressione giustifica il negazionismo e il revisionismo?
Oggi si celebra il giorno della memoria dell’Olocausto, lo sterminio degli ebrei (e non solo) perpetrato dai nazisti (e non solo) durante la II Guerra Mondiale. Gli ebrei lo ricordano con il termine Shoah. Sulla Wikipedia italiana leggiamo che “il termine Shoah, tratto dal titolo del documentario di 9 ore realizzato dal regista ebreo Claude Lanzmann nel 1985 narrante le vicende storiche della seconda guerra mondiale, è stato adottato solo recentemente per descrivere la tragedia ebraica…” ma questa informazione è quanto meno imprecisa. Il termine Shoah , infatti, fu usato in questo senso sin dal 1938, quando i nazisti iniziarono a deportare migliaia di ebrei nei campi di concentramento, dopo la cosiddetta “Notte di Cristalli”.
Il documentario di Lanzmann, semmai, ha contribuito notevolmente alla diffusione del termine al di fuori della comunità ebraica. Semantica a parte, cerchiamo di capire perché il ricordo dell’Olocausto è importante e quanto sono insidiose le teorie che vorrebbero metterlo in discussione.
UNA TRAGEDIA UNICA - La storia dell’umanità, anche quella contemporanea, è costellata di innumerevoli stermini e genocidi, di portata forse anche maggiore (in termini quantitativi) rispetto a quello ebraico. Gran parte di queste tragedie si sono consumate nel silenzio della storia e in pochi le ricordano. La tragedia ebraica, però, presenta una serie di caratteristiche che la rendono unica. I carnefici, tanto per cominciare, non furono “violenti selvaggi”: erano invece esponenti di una nazione moderna, ricca in termini economici e culturali, industrializzata, di fede cristiana. Lo sterminio non fu un massacro a colpi di machete o una sequenza di fucilazioni di massa: esso si svolse in modo silenzioso, metodico, ordinato e coordinato, fu attuato da un gran numero di cittadini nella sostanziale indifferenza o accondiscendenza degli altri cittadini.Le vittime non presero le armi, non tentarono di ribellarsi e spesso nemmeno di sfuggire, quasi sempre non conoscevano nemmeno la sorte che li attendeva: si lasciarono deportare e sopprimere in silenzio. Non esistono precedenti nella storia. Mai è successo che centinaia di migliaia di persone fossero deportate in campi nei quali si procedeva al loro sistematico sterminio, attuato con cinica scientificità. Gli ebrei non erano un’etnia rivale, non erano combattenti nemici, non erano sobillatori o avversari religiosi e ideologici. I nazisti procedettero alla loro eliminazione come se non fossero altro che animali infetti da sopprimere in un mattatoio. Come fu possibile che un’intera nazione moderna si lasciò trascinare in questo lucido atto di follia sterminatrice? L’inquietudine e il disagio che proviamo quando pensiamo a quella tragedia e scorriamo le immagini dei campi di sterminio e delle camere a gas, sta proprio in questo. Noi ci sentiamo milioni di miglia lontani rispetto ai massacri consumati in Africa o nel Sud-Est asiatico… ma quella Germania con la sua cultura e le sue capacità industriali ed economiche ci è terribilmente vicina. Il senso più profondo di ricordare e commemorare l’Olocausto non è tanto quello di rendere omaggio alle sue innumerevoli vittime, quanto di mantenere alto il livello di guardia contro il rischio di finire nello stesso baratro di indifferente follia.
NEGAZIONISMO E REVISIONISMO – Che questo rischio sia concreto, lo dimostra la diffusione delle teorie negazioniste e revisioniste a tutti i livelli della nostra società, teorie su cui si staglia netta l’ombra dell’antisemitismo. Quest’ultimo si è evoluto molto, da allora. I nazisti partivano dal presupposto che gli ebrei fossero una razza inferiore e tanto bastava per considerarli animali inutili o molesti. Fritz Klein, un medico nazista di Auschwitz processato e impiccato alla fine della guerra, così rispose a chi gli chiedeva come si potesse conciliare il giuramento di Ippocrate con quello che aveva fatto agli ebrei: “Io sono un medico e difendo la vita. E proprio per rispetto alla vita umana, toglierei un’appendice incancrenita da un corpo malato. L’ebreo è l’appendice incancrenita nel corpo dell’umanità”. A quei tempi era facile operare simili distinzioni, così come del resto già accadeva nei confronti di neri, pellerossa, orientali ecc… Oggi il concetto razziale è stato accantonato. L’idea che gli ebrei abbiano caratteristiche genetiche distinte è ancora presente ma nella nostra cultura sarebbe impossibile impostare una campagna di odio e di discriminazione su queste basi.
L’antisemita moderno deve quindi elaborare un concetto che parli di lobby ebraica, piuttosto che di razza ebraica. La lobby così formulata comprende tutti gli individui che hanno origini e parentele ebraiche, e che occupano posizioni più o meno significative nel mondo dell’economia, della politica, della cultura ecc.. L’idea proposta è quella di una rete capace di controllare o influenzare governi, media e istituzioni economiche, e che farebbe capo a Tel Aviv. Così individuato il “nemico”, l’antisemitismo propone a questo punto un’inversione della verità storica: l’Olocausto non è mai esistito, lo sterminio pianificato degli ebrei sarebbe una favola inventata di sana pianta dalla lobby allo scopo di influenzare l’opinione pubblica a proprio favore e ricattare i governi. Così gli antisemiti trasformano le vittime in carnefici, e i carnefici in vittime. Né più, né meno, di quanto fanno i complottisti che sostengono che gli americani si sarebbero auto-inflitti gli attentati del 2001 addossandone la colpa ai poveri e innocui fondamentalisti islamici di Al-Qaeda.Non è un caso, del resto, che quasi sempre i complottisti siano anche negazionisti, e viceversa. Negare l’Olocausto è un’assurdità: sarebbe come tentare di negare che ci sia stato un terremoto in Abruzzo o affermare che Garibaldi non è mai esistito. Decine di milioni di persone hanno vissuto l’Olocausto, decine di migliaia lo hanno posto in essere. Testimonianze e confessioni sono innumerevoli. Poi ci sono documenti, immagini, riprese video, strutture… Tuttavia i negazionisti fanno affidamento sul fatto che tanta gente sa dell’Olocausto solo ciò che ha letto in poche righe su un qualsiasi testo scolastico di storia, e sul diffuso convincimento che – in presenza di teorie contrastanti - “la verità sta nel mezzo”. A questo proposito, tornano molto utili le posizioni di coloro che non negano apertamente l’Olocausto, ma si industriano per limare verso il basso la sua entità. Prima tagliando qualche milione di morti, e poi attribuendo le altre vittime alle condizioni nei “campi di lavoro”, a malattie ed epidemie. Taglia qui, spunta là, alla fine concludono che sarebbero stati ben pochi gli ebrei effettivamente uccisi, vittime di qualche ufficiale che avrebbe agito per iniziativa personale, episodi non dissimili dai tanti altri registrati in quella guerra.
LIBERTA’ – Libertà di espressione e di pensiero? E’ sotto questa bandiera che i negazionisti rivendicano il diritto di esprimere le proprie idee. Ma c’è anche tanta gente che sostiene questo diritto, pur non condividendo (almeno a parole) le loro idee. Si deve convenire che in un paese libero e democratico ognuno ha il diritto di esprimere il proprio pensiero. Il nocciolo della questione, infatti, è un altro: questo diritto si estende anche alla possibilità di mentire e contraffare le prove, allo scopo di sostenere e propagandare le proprie opinioni? Questo diritto si estende anche alla possibilità di lanciare gravissime accuse senza uno straccio di prova? I negazionisti accusano governi, storici, testimoni (vittime comprese) di aver mentito, di aver prodotto documenti falsi, di aver giudicato e condannato (e giustiziato) persone che non avevano commesso alcun crimine.
Non solo ignorano le prove che li smentiscono, ma ne producono di false a sostegno delle proprie affermazioni. Ad esempio David Irving, uno dei più noti negazionisti contemporanei, non ha esitato ad alterare il testo di un appunto scritto da Himmler nel 1941. La frase originale era: “Verwaltungsführer der SS haben zu bleiben”. Letteralmente: “I comandanti delle SS devono rimanere al loro posto”. Nei libri di Irving quella frase è trascritta sostituendo “haben” con “juden” (ebrei), e quindi diventa un “Ai comandanti delle SS, ebrei al loro posto” per cui (con un po’ di interpretazione creativa) il significato di quella frase finisce per trasformarsi in: “I comandanti delle SS devono lasciare gli ebrei lì dove sono”. E questo, secondo Irving, sarebbe un ordine di non deportare gli ebrei. La libertà di espressione dà il diritto di mentire in questo modo su argomenti così sensibili? E’ interessante notare che proprio David Irving ha intentato una causa contro un autore che aveva criticato le sue posizioni. In altre parole Irving pretende di poter dire e scrivere di tutto in nome della libertà di espressione delle proprie idee, ma allo stesso modo pretende che sia condannato chi contesta le sue affermazioni. L’azione legale di Irving fu subdola: egli infatti la esercitò presso una corte inglese, ben sapendo che in Inghilterra – in questi casi – l’onere della prova non ricade sull’accusa ma sulla difesa. Gli andò male ugualmente, i giudici inglesi sentenziarono che Irving aveva torto e che aveva effettivamente falsificato e manipolato fatti e documenti. David Irving è stato poi condannato da un tribunale austriaco a tre anni di reclusione, proprio a causa delle sue posizioni negazioniste. Questa sentenza ha fatto molto discutere, specialmente in previsione che vari paesi europei, tra cui l’Italia, possano adottare normative penali mirate a reprimere il negazionismo dell’Olocausto. Qualunque sia l’opinione di ciascuno in ordine all’opportunità di contrastare per legge l’attività propagandistica dei negazionisti, la giornata della memoria del 27 gennaio svolge una funzione fondamentale per stimolare la riflessione su quella tragedia e difendere la verità storica.
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