venerdì 29 gennaio 2010

IL NUOVO CUORE DELL’ISLAM È NELLE PERIFERIE DEL MONDO

La mezzaluna islamica ha affilato le estremità. Mentre il conflitto israelo-palestinese, classico cavallo di battaglia della jihad post moderna, scompare dalle copertine delle riviste di geopolitica interessate al massimo al potenziale economico dell’emergente e non ideologizzata borghesia araba, l’ultima sfida all’occidente arriva dalla periferia della galassia musulmana.

Musulmani in preghiera alla Mecca affluiscono in massa nei pressi della Ka'ba, che custodisce la sacra Pietra nera

«L’islam contemporaneo non si capisce guardando il vecchio centro mediorientale ma i margini, Yemen, Somalia, Pakistan, Afghanistan» osserva l’irano-americano Reza Aslan, ricercatore al Global and International Studies di Santa Clara e autore del volume «How to win a cosmic war», come vincere una guerra cosmica. Per questo, sostiene, Barack Obama ha sbagliato a lanciare dal Cairo la battaglia per i cuori e le menti sedotte dal Corano: «L’Egitto non è più il centro del mondo musulmano da almeno un secolo».

Se gli 007 setacciano le strade di Sana’a alla ricerca delle tracce fresche di Al Qaeda, gli studiosi lavorano a quelle sedimentate. «Washington ha promesso al presidente Ali Abdullah Saleh di raddoppiare i 70 milioni di dollari versati all’antiterrorismo yemenita nel 2009 mettendo l’importanza strategica del piccolo paese davanti al Pakistan, che ne riceve 112 l’anno» spiega Fawaz Gerges, docente di politiche mediorientali alla London School of Economics. Ad allarmare la Casa Bianca è la saldatura tra l’ambizione nichilista di Osama bin Laden e la crisi politica e sociale dello Yemen, dove un abitante su due vive in assoluta povertà e due su tre hanno meno di vent’anni. Una miccia visibile fino a Gerusalemme.

«Il nuovo terrorismo che si diffonde dalla periferia dell’islam germoglia come quello vecchio nella fragilità istituzionale del mondo arabo» nota Benny Morris, uno dei maggiori storici israeliani. Solo che al pari d’Egitto e Giordania vent’anni fa, Yemen e Pakistan non possono farcela da soli: «Gli Stati Uniti sono delusi dallo stallo del conflitto israelo-palestinese e preferiscono concentrarsi su altre zone. Con la jihad globale all’attacco dei valori occidentali i palestinesi sono usciti di scena e in breve resteranno un problema esclusivamente nostro». Come l’Iran, si mormora negli ambienti del Mossad, alla cui minaccia Israele è sempre più tentato di rispondere autonomamente. Lo Yemen insomma sembra diventato lo scacchiere su cui le potenze internazionali, che ancora un anno e mezzo fa puntavano su Gaza, giocano le loro ultime mosse. «La causa palestinese non è più attivamente sostenuta da nessuna potenza araba e ha sviluppi geopolitici limitati» ragiona il professor Antonio Giustozzi, del Crisis States Research Centre della London School of Economics, autore del saggio «Koran, Kalashnikov, and Laptop», Corano, kalashnikov e laptop. Molto meglio investire su Sana’a: «Il regime yemenita è alle corde, con tre movimenti antigovernativi in azione simultanea il momento è propizio per un sommovimento profondo». Non ci sono solo i 300 militanti di al Qaeda, «parassiti» che si nutrono dell’instabilità politica e della mancanza di leggi: «Si parla di aiuti iraniani ai ribelli del nord, dove la rivolta ha attualmente un dinamismo considerevole. Ma se Teheran è potenzialmente interessato a un cliente nella penisola arabica, Riad non resta certo a guardare e sfruttando l’avversità al governo in carica potrebbe essere dietro l’afflusso ingente di fondi ai secessionisti del sud».

Mentre l’America e i suoi alleati cercavano la quadratura del cerchio delle guerre afghana e irachena, gli uomini di Osama hanno arato la terra della regina di Saba forgiando le nuove leve del terrore. «L’ideologia jihadista radicale si è emancipata dall’idea di centro e si è diffusa grazie a internet e a predicatori individuali fino a consolidare l’immagine di un occidente antimusulmano» chiosa Mark Juergensmeyer, direttore del Dipartimento di Studi globali e internazionali dell’Università della California.

FRANCESCA PACI

La Stampa

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