giovedì 16 aprile 2009

NON SERVIRCI DEI POVERI

"Accettare le ingiustizie che creano la povertà, sfruttare i poveri, servirsi dei poveri per la propria gloria sono aspetti diversi di uno stesso male. E purtroppo la tentazione di servirsi dei poveri per i propri interessi e sempre presente, anche fra coloro che professano di servirli".

Foto di bellaciao.org

Don Milani diceva che dobbiamo a servire i poveri, ma stare bene attenti a non servirci di loro. Ho letto che Clodovis Boff, fratello del più conosciuto Leonardo, sta preparando un testo intitolato “Con Cristo e con i poveri, contro coloro che strumentalizzano la povertà”. Con la sua seria riflessione teologica, che spero di leggere presto, potrà magari aiutarci ad approfondire questo tema affascinante. Accettare le ingiustizie che creano la povertà, sfruttare i poveri, servirsi dei poveri per il proprio io sono aspetti diversi di uno stesso male. E purtroppo la tentazione di servirsi dei poveri per i propri interessi e sempre presente, anche fra coloro che professano di servirli. Lo vediamo con evidenza nelle gigantesche macchine internazionali per combattere la fame e la povertà, in certe ONG, ma anche nella chiesa. Tutti conosciamo certi campioni dei poveri… e magari abbiamo dei sospetti. Ma non abbiamo nessun diritto di giudicare le motivazioni degli altri. Io per esempio ricordo con affetto un personaggio che era molto famoso quando ero ragazzo, Raoul Follereaux, conosciuto in tutto il mondo per la sua campagna a favore dei malati di lebbra. Mi mi dava un po fastidio quel suo presentarsi sempre con il bastone e il cravattino a farfalla, e altri suoi atteggiamenti quasi da palcoscenico. Ma un paio d’anni prima che morisse, in una intervista disse: “… ormai devo fare il personaggio, la bandiera. Non posso fare più altro per i lebbrosi. Mi fa male, ma se essere usato cosi serve alla loro cause, cosi sia”. Raramente ho sentito qualcuno parlare con più sincerità e umiltà. E capii tutta la grandezza di quell’ uomo che si era logorato nel servizio a cui si era sentito chiamato. Certo dobbiamo sempre confrontare le nostre azioni col buon senso, e, parlando di sociale, con gli strumenti di analisi che le scienze ci offrono. Ma chi si mette in una posizione ideologica da “puro” rischia di diventare cieco tanto quanto coloro che sono accecati dall’ egoismo, e di fare più errori degli altri. Meglio non giudicare le intenzioni, e attendere di vedere i frutti – che possono essere solo persone e non cose - perché le motivazioni degli altri, specialmente quando si tratta di motivazioni che segnano una vita in modo profondo, sono sempre un mistero e, anche nel migliore dei casi, un insieme di slanci ideali ma senza mai escludere che possano essere presenti piccolezze, perfino di meschinità. E’ nella nostra natura umana. Ancora più pericolosamente, il nostro giudizio sugli altri rivela il nostro più intimo modo di pensare. Nella nostre decisioni c’e’ sempre una dimensione di egoismo, e il tenerlo sotto controllo e’ un problema che si ripresenta sempre. E’ sempre difficile giudicare la motivazioni, anche le proprie: misurare la percentuale di dedizione, di servizio e quella di amor proprio e gratificazione. E se analizziamo troppo, giudichiamo troppo, finiamo per paralizzarci, per non fare più niente. Il che potrebbe anche essere una bella scappatoia, ma non ci fa fare molta strada, nè a noi nè agli amici che ci sono vicini con i quali condividiamo il nostro faticoso quotidiano cammino.

Fonte: Blog di Padre Renato Kizito Sesana

1 commento:

Le Favà ha detto...

Abbiamo fondato il nostro benessere sul male degli altri. e non credo che questa pratica possa venire debellata tanto in fretta.
Il mondo non è posto per chi non sa egoisticamente pensare solo a se stesso almeno un po'.

e questa frase mi fa orrore.

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