Della tragedia che ha colpito il Corno d’Africa non si parla mai abbastanza, le distanze che ci separano da quelle popolazioni non sono solo geografiche. Un’emergenza umanitaria senza precedenti che si manifesta in tutta la sua drammaticità e che per una concomitanza di fattori climatici, logistici, storico-politici vede al centro della crisi la Somalia, un territorio di fatto senza governo – la fragilità del TFG (Governo Federale di Transizione) è palese. Un territorio che malgrado la missione dell’Unione Africana resta ancora largamente controllato dalla milizia di Al-Shabaad. I divieti e il blocco posti da quest’ultima rendono ancora più difficoltoso il lavoro delle agenzie umanitarie che operano sul posto, fra loro c’è Islamic Relief, l’unica a cui è consentito l’accesso alla Somalia del Sud.
Attività in un campo profughi. Foto gentilmente concessa da Islamic Relief
Omar El Sayed, operation manager IR Italia, è appena rientrato dal viaggio in Somalia dove ha visitato due campi profughi di Mogadiscio, quello di Siliga – che ospita all’incirca 27.000 famiglie, qualcosa intorno a 160/170.000 rifugiati di cui il 20% è costituito da bambini sotto i 5 anni – e di Corsan che accoglie più o meno 18.000 persone.
Il 20% dei rifugiati sono bambini sotto i 5 anni. Foto gentilmente concessa da Islamic Relief
Omar racconta:
“Un’esperienza toccante, difficile descrivere con le parole il dolore di questa gente, difficile accettare… un Paese che non esiste, sono i resti della Somalia di 30 anni fa. Un’economia essenzialmente agro-pastorale messa in ginocchio da una siccità prolungata, gli effetti sono devastanti. Distribuiamo pacchi-alimentari con 25kg di riso, 25kg di farina, 10kg di zucchero e 5l di olio che sfamano una famiglia media di 6/7 persone per 10-15 giorni, non basta.”
Ci sono 2 milioni di profughi che viaggiano all’interno dei confini somali in cerca di aiuto, di cibo, acqua, cure mediche, le strutture sono insufficienti, la distribuzione degli aiuti è difficile. Situazioni estreme dove lo staff medico deve valutare chi può essere curato, deve decidere chi salvare… L’ospedale di Benadir è diventato un punto di riferimento sicuro dove fermarsi, all’interno si organizza la distribuzione del cibo ai familiari dei bambini ricoverati. La mortalità infantile è elevatissima, al ritmo di uno su dieci ogni giorno, la maggior parte muore di malnutrizione, dissenteria, complicanze cardiorespiratorie e quando sei lì – ci spiega Omar – i numeri hanno un volto. IR ne documenta l’estrema gravità in questo video.
Ci sono 4 milioni di persone a rischio, Mogadiscio è la speranza.
Nel campo di Siliga c’era una donna che dal sud si era messa in viaggio con i suoi 7 figli, due erano morti lungo la strada e li aveva seppelliti, un terzo è morto al campo ma gli altri 4 avevano qualche possibilità in più di sopravvivere, ora.
Un altro insostenibile volto di questa tragedia
Maria Grazia Pozzi
> vociglobali
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