mercoledì 18 maggio 2011
IL PROBLEMA DELLA SCHIAVITÙ
Documento – Frammento della epistola 47 di Seneca della raccolta “Epistulae morales ad Lucilium”
10. Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum(1) eodem frui(2) caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori! Tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum. Variana clade multos splendidissime natos, senatorium, per militiam auspicantes gradum, fortuna depressit: alium ex illis pastorem, alium custodem casae fecit.
Contemne nunc eius fortunae hominem in quam transire dum(3) contemnis potes.
10. Pensa che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tanto tu puoi vederlo libero, quanto egli può vederti schiavo. Con la strage di Varo, la sorte umiliò molti uomini di nobilissima origine, che attraverso il servizio militare aspiravano al grado di senatori: qualcuno (la fortuna) fece diventare pastore, qualche altro guardiano di una casa. Disprezza ora l’uomo di quella condizione, nella quale, mentre tu (la) disprezzi, puoi capitare!
11. Nolo(4) in ingentem me locum inmittere et de usu servorum disputare, in quos superbissimi, crudelissimi, contumeliosissimi sumus.
Haec tamen praecepti mei summa est: sic cum inferiore vivas quemadmodum tecum superiorem velis vivere.
Quotiens in mentem venerit quantum tibi in servum < tuum > liceat, veniat in mentem tantundem in te domino tuo licere. (…)
11. Non voglio addentrarmi in un argomento troppo impegnativo e discutere circa il trattamento degli schiavi, verso i quali siamo molto superbi, crudeli ed insolenti.
Ecco tuttavia il punto principale dei miei insegnamenti: comportati con il servo allo stesso modo di come vorresti si comportasse il tuo superiore con te.
Tutte le volte che ti verrà in mente quanto è lecito al tuo schiavo, ti venga in mente che altrettanto è lecito contro di te. (…)
19. Rectissime ergo facere te iudico quod timeri a servis tuis non vis, quod verborum castigatione uteris: verberibus muta admonentur.
Non quidquid nos offendit et laedit; sed ad rabiem cogunt pervenire deliciae, ut quidquid non ex voluntate respondit iram evocet.
19. Perciò io ti giudico far molto bene, nel fatto che tu non voglia che i tuoi servi ti temano, nel fatto che ti serva delle parole come castigo: le bestie si ammoniscono con le frustate.
Non tutto quello che ci colpisce, ci danneggia; ma i piaceri costringono che si arrivi all’ira, così tutto quello che non risponde alla volontà, provoca collera.
20. Regum nobis induimus animos; nam illi quoque obliti et suarum virium et inbecillitatis alienae sic excandescunt, sic saeviunt, quasi iniuram acceperint, a cuius rei periculo illos fortunae suae magnitudo tutissimos praestat. (…)
acceperunt iniuram ut facerent.
20. Ci comportiamo come i sovrani; infatti quelli, dimentichi delle proprie forze e della debolezza altrui, danno in escandescenze e infieriscono, come fossero stati offesi, mentre l’eccezionalità della loro sorte li mette totalmente al sicuro da tale pericolo.
… interpretano un ingiuria per poter oltraggiare.
1. orior, oreris, ortus sum, oriri (deponente) = sorgere, nascere
2. fruor, eris, fruitus e fructus sum, frui (deponente, regge l’ablativo) = godere, fruire
3. dum ha valore temporale
4. nolo, non vis, nolui, nolle (composto di volo) = non volere
Commento – La lettera è dedicata ai rapporti tra padroni e schiavi, infatti inizialmente Seneca descrive i compiti abituali, cui i servi erano dediti, congratulandosi con l’amico Lucilio per il suo atteggiamento umano nei confronti dei propri schiavi. Egli pone l’accento sul “fato” che ha designato la libertà verso alcuni e per altri no, affermando, con l’esempio della sconfitta del generale Varo, che essa è mutevole ed incomprensibile; egli, quindi, si distacca dalla visione sociale di Aristotele, poiché i rapporti di forza possono essere rapidamente sconvolti dal caso. Seneca mette in discussione il concetto di schiavitù, dimostrando quanto l’uomo può essere schiavo delle proprie passioni, anche essendo libero socialmente, e quanto uno schiavo può sentirsi libero, nonostante la propria condizione.
Egli ricalca un tema molto significativo all’interno della filosofia stoica, cioè il riconoscimento dell’uguaglianza tra tutti gli uomini per natura, interiorizzando il concetto di schiavitù, riconducendola a una schiavitù del tempo, delle passioni e di tutto ciò che impedisce all’uomo di essere padrone di sè.
Fonte
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