Marcel Gomes, coordinatore del Centro di Monitoraggio di Agrocombustibili di Repórter Brasil, è intervenuto così sull’argomento:
La nuova edizione della prestigiosa rivista inglese The Economist mette ancora una volta in copertina il Brasile, questa volta con un servizio e un'editoriale sull'agri-business nazionale. A ritmo di samba, gli articoli decantano i successi dellagricoltura brasiliana, che in trent'anni ha trasformato il Brasile da importatore a esportatore di beni alimentari. Il servizio, intitolato The miracle of the cerrado, descrive, partendo da alcune fazenda degli Stati di Piauí e di Bahia, come diverse regioni povere del Paese siano riuscite a produrre tonnellate di soia e cotone grazie a sofisticate tecnologie.
"Tra il 1996 e il 2006, il valore totale della produzione agricola del Paese è cresciuta da 23 miliardi di real a 108 miliardi di real, ossia del 365%. In un decennio, il Brasile ha aumentato di dieci volte le proprie esportazioni di carne, superando l’Australia come maggiore esportatore del mondo. Possiede il più alto numero di bovini dopo l’India. È anche il maggiore esportatore mondiale di pollo, zucchero di canna ed etanolo. Dal 1990 la produzione di soia è passata da quasi 15 milioni a 60 milioni di tonnellate', riporta la rivista, per chiedersi subito dopo: “Come ha fatto il Brasile a ottenere questa sorprendente trasformazione?”.
Secondo l’articolo, la risposta a questa domanda è importante per aiutare altre nazioni più povere, soprattutto in Africa, a emulare lo sviluppo agricolo brasiliano. Secondo gli autori, il segreto del miracolo agricolo nazionale risiede nelle caratteristiche naturali del Paese – terra arabile e abbondanza d’acqua – e nello sviluppo di proprie tecnologie agricole. Per quest’ultimo aspetto, è stato fondamentale il contributo della Embrapa, l’Impresa brasiliana di ricerca agrozootecnica, i cui studi hanno sviluppato tecniche per rendere più fertile il terreno del cerrado e adattare colture temperate, come la soia, alle zone tropicali.
Come si può facilmente notare, The Economist ha scelto di raccontare solo una parte della storia. Neanche una parola sulla distruzione ambientale del cerrado, lo sfruttamento dei lavoratori e le minacce dell'industria agricola per le comunità tradizionali e indigene. Non riporta nulla neppure sulla concentrazione fondiaria e di rendita che ha caratterizzato la modernizzazione agricola della campagna brasiliana dagli anni settanta e la fase di liberalizzazione commerciale negli anni novanta.
Se la rivista inglese fosse interessata a pubblicare dei dati, questi non mancano di certo. L’anno scorso, il Ministero dell’Ambiente ha divulgato uno studio rivelando che nel 2008 l’area originale del cerrado era già stata deforestata del 47,8%. Il cerrado occupa un quarto del territorio nazionale, possiede il 5% di tutta la biodiversità del pianeta ed è responsabile per il 70% dell’afflusso dei bacini di Paraná-Paraguai, Araguaia-Tocantins e São Francisco. La devastazione non è destinata a fermarsi. In una ricerca pubblicata nel 2009, il professore Manuel Eduardo Ferreira, del Laboratorio di Elaborazione dell'immagine e di elaborazione geografica dell'Università Federale di Goiás, prevedeva che se l'industria agricola continuerà a devastare il cerrado con questo ritmo, quattro milioni di ettari della cosiddetta “savana brasiliana” spariranno in un decennio.
Oltre alla questione ambientale, anche quella dei lavoratori offre importanti informazioni sui problemi dell’espansione agricola. Tra il 2003 e il 2009, nella parte occidentale di Bahia, la principale area di sviluppo dell’industria agricola di questo Stato, sono state denunciate 43 proprietà che tenevano i lavoratori in condizioni simili alla schiavitù. I casi sono stati registrati nelle produzioni di cotone, bestiame, carbone, soia, mais, e altre. Il problema naturalmente non si limita a Bahia. Tra il 2003 e il luglio del 2010, 33.598 lavoratori brasiliani sono stati letteralmente salvati dai gruppi d’ispezione del governo, molti di loro lavoravano per fazenda altamente tecnologiche come quelle descritte nel servizio di The Economist.
Non si tratta proprio di tirare le orecchie al giornalista inglese. Forse solo un brasiliano sarebbe in grado di comprendere come possano convivere così facilmente, in relativa armonia, l'antico e il moderno, la schiavitù più disumana e le tecnologia di punta. Ma una critica la si deve fare. I dati e le storie che macchiano il “miracolo del cerrado” brasiliano sono lì, a portata di mano per chi volesse consultarli. Sempre che si sia davvero interessati a farlo.
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Testo originale: Para a Economist, o Cerrado é um vazio a ocupar di Leonardo Sakamoto, che sostanzialmente riprende il post iniziale di Marcel Gomes sul sito del Centro di Monitoraggio di Agrocombustibili di Repórter Brasil
Testo originale: Para a Economist, o Cerrado é um vazio a ocupar di Leonardo Sakamoto, che sostanzialmente riprende il post iniziale di Marcel Gomes sul sito del Centro di Monitoraggio di Agrocombustibili di Repórter Brasil
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