Una piccola conchiglia svela i misteri dell’Africa
Per mille anni è stata la più diffusa moneta africana e il simbolo della ricchezza dei suoi re. Ancora oggi la si trova nei mercati, nelle case e sulle maschere. Il cauri, conchiglia-denaro, talismano e amuleto, simbolo sessuale e decoro di bellezza, è lo specchio di un’Africa segreta, che non si rivela ai nostri occhi
Testo e foto di Andrea Semplici
Marie è anziana e lavora al più grande mercato di Lomè, capitale del Togo affacciata sull’Atlantico.
La sua bancarella è ingombra di feticci, noci di cola, frammenti di ossa, frutti essiccati, tappini di birra, pietre sminuzzate e denti di cane. Sfioriamo con le mani la una zucca ricolma di conchiglie bianche, poggiata nella confusione delle merci di questa bottega africana dei miracoli. «Le compro dai mercanti nigeriani, sono antiche», spiega la donna. «Le rivendo agli stregoni, agli indovini e a chi cerca talismani». E la vecchia affonda le mani in quel mucchietto di conchiglie forate. Costano 10 franchi africani, 15 centesimi di euro. Ne compriamo dieci: saranno i nostri amuleti da viaggio. Ne avremo bisogno per poter scoprire i segreti di queste sorprendenti conchiglie chiamate cauri che hanno modellato, per secoli e secoli, mercati e abitudini, povertà e ricchezze, infinite architetture sociali di gran parte dell’Africa.
NELLE MANI DEI RE
I re del popolo Mossi, per molti secoli, pretesero dai loro vassalli, un tributo annuale di un milione di cauri. I negrieri europei pagavano in cauri la merce umana che acquistavano dai razziatori africani (in Costa d’Oro, nel 1600, uno schiavo costava 55 libbre di cauri). Re Gezo, sovrano del Dahomey, non nascose mai di preferire pagamenti in cauri all’oro: «Solo così sono certo di non essere imbrogliato». Uguale preoccupazione aveva il re di Juda: «Meglio essere pagato in cauri – confessò a un missionario – I mercanti bianchi non possono né ingannarmi, né truccare il peso». Le piccole conchiglie, in effetti, si potevano contare, ammucchiare, impilare una sull’altra. Erano semplici da usare e non si potevano falsificare. E questa, forse, è la semplice soluzione di un piccolo mistero economico: «Non abbiamo mai scoperto perché il cauri sia stato scelto come moneta», dice l’economista Karl Polanyi.
UN LUNGO VIAGGIO
I mercanti-navigatori le cedevano ai carovanieri transahariani: i cauri attraversarono, così, il deserto e giunsero fino ai mercati sulle sponde del fiume Niger. Gli arabi furono indifferenti a questa conchiglia (il grande viaggiatore e cronista Ibn Battuta protestò, con vivacità, quando, proprio alle Maldive, venne pagato in cauri), ma i popoli neri del Sahel cominciarono – già nel 1067 - a utilizzarla come strumento di scambio. Viaggio incredibile, quello dei cauri: lungo un anno, ventimila chilometri dalle Maldive ai regni del Mali, una distanza immensa, tale da mettere al riparo dai rischi di un’inflazione e da una circolazione eccessiva di moneta.
UNA MONETA MULTIUSO
I cauri divennero, in breve, una moneta potente, multiuso: segno della ricchezza dei regni del Golfo di Guinea e dono ai poveri, nelle grandi ricorrenze, dei sovrani dell’Africa Occidentale. Furono, e sono ancor oggi, talismano, simbolo di potenza, fertilità, magia. Venivano (e vengono) utilizzati dai sacerdoti vudù per le loro divinazioni, dai cantastorie come amuleto, dalle donne come decoro di collane e cinture. Fino alla prima guerra mondiale, queste conchiglie ebbero una diffusione monetaria ben più ampia del dollaro o della sterlina. Ma gli imperi coloniali non sapevano cosa farsene di quelle conchiglie. Per le tasse pretendevano di essere pagati in moneta ‘occidentale’: vietarono l’importazione dei cauri e mandarono l’esercito a debellare le rivolte degli africani. «Se la Francia esige di essere pagata in gallette francesi invece che nelle nostre monete, vuole la rissa», sbottò un capo tuareg. La nuova finanza internazione non poteva sopportare un universo economico e sociale separato e diverso come l’Africa. Le monete europee dettero un mano brusca e impietosa nel demolire l’economia tradizionale. I cauri dovevano essere messi fuori legge, la nuova moneta doveva essere coniata nelle zecche di Parigi o di Londra e non trovata sulle spiagge delle Maldive.
In un villaggio remoto del Benin alcune vedove aspettano sotto una tettoia di foglie di palma. Sono appena uscite dalla tenda dove, per giorni, avevano rinchiuso il loro lutto. Hanno il capo rasato, indossano tuniche blu. In mano hanno ciotole di zucca lucenti piene di cauri. Le monete serviranno a difendere la propria casa degli spiriti del male
LA STORIA CONTINUA
Al gran marché de Togo guaritori e gente comune cercano ancora tra le bancarelle, le ciotole dei cauri: ne comprano a piccoli cartocci. In Benin e in Burkina-Faso i musicisti di ogni festa rurale sono ricompensati anche con manciate di conchiglie. Nelle terre di frontiera fra Ghana, Costa d’Avorio e Burkina-Faso le donne che vendono birra fra un confine e l’altro si fidano più dei cauri che delle monete nazionali (almeno le conchiglie hanno un valore stabile per le misere contrattazioni transfrontaliere). In molti mercati i vecchi comprano ancora noci di cola da masticare, rasoi usati, prese di tabacco, pizzichi di sale, con i cauri. I mercanti accettano controvoglia questa moneta, ma poi vedono il vecchio sciogliere il nodo di una fazzoletto lercio e tirare fuori una conchiglia risparmiata anni prima e non se la sentono di pretendere qualche centesimo. Siamo davvero certi, noi bianchi, che un’economia sotterranea, lontana dalle leggi del mercato, non dipani ancora i suoi fili all’ombra dei baobab?
UN PREZIOSO SOUVENIR
Nella stagione secca, ogni giorno, fra Mali e Benin, fra Burkina Faso e Togo, rullano ancora i tamburi del vudù. I musicisti che suonano le percussioni sono ricompensati con manciate di cauri, i "gusci della buona sorte". Il nome latino di queste conchiglie Cyprae, deriva dall'isola di Cipro, terra sacra a Venere, dea della fertilità. E i cauri, in Africa, sono ancora oggi auspicio di fecondità.
I libri
Lo studioso Karl Polanyi ha pubblicato con Einaudi due interessanti saggi che riservano ampio spazio alla storia dei cauri: «Il Dahomey e la tratta degli schiavi» (1987, pp. 265) ed «Economie primitive, arcaiche e moderne» (1980, pp. 340). Da leggere, in inglese, «The shell money of the slave trade» (curato da Jan Hogendorn e Marion Johnson, African Studies Centre- Cambridge 2003) e, in francese, «Paleo-monnais africaines» di Josette Rivallain (Administration des monnaies et medailles, 1999)
Fonte
1 commento:
Complimenti per questo post!
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