domenica 22 novembre 2009

L’ARABIA SAUDITA NELLA GUERRA DELLO YEMEN E LA DANZA CON I SERPENTI

Original Version: السعودية في حرب اليمن والرقص مع الثعابين

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Con l’inizio dell’operazione militare saudita contro il movimento sciita degli Houthi al confine con lo Yemen, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh è riuscito a trasformare un conflitto interno, che non richiedeva molte concessioni per giungere a un compromesso, in una guerra che è parte integrante dei conflitti armati nella regione. In questo modo egli offre un esempio emblematico del modo in cui i governanti arabi chiedono aiuto ad attori stranieri contro i propri avversari interni, ed aprono la strada alle ingerenze straniere per ottenere una legittimazione estera della loro autorità, o per rinnovare tale legittimazione, o ancora per permettere la trasmissione ereditaria del potere ai propri figli e fratelli, per non parlare poi del ruolo delle guerre, che diventano fonti di profitto economico per eccellenza.

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La guerra di Saada (città nel nord-ovest dello Yemen (N.d.T.) ) ebbe inizio 5 anni fa con un incidente. Il presidente Ali Abdullah Saleh inviò una pattuglia della polizia ad arrestare Yahya al-Houthi, l’estremista zaidita alla testa di un gruppo di “giovani credenti” che protestavano contro l’espansione dell’influenza wahhabita nel paese, e rifiutavano di rinunciare ai propri slogan contro l’America e Israele. Al-Houthi fece resistenza, e il conflitto divampò. Fra l’altro, va ricordato che fu lo stesso presidente Saleh che inviò i seguaci di al-Houthi a Saada, li armò e li finanziò nel 1994, affinché costituissero un contrappeso alle scuole religiose di ispirazione wahhabita che si stavano diffondendo grazie ai finanziamenti sauditi attraverso il partito “al-Tajammu’ al-Yamani li ‘l-Islah” (Raggruppamento Yemenita per le Riforme), alleato del presidente Saleh. Nei primi anni della guerra, i ribelli sciiti seguaci di al-Houthi (spesso identificati semplicemente come “ribelli Houthi” (N.d.T.) ) non chiedevano altro che una forma di autonomia per il governatorato di Saada in nome della “specificità culturale” della regione, che è fra l’altro uno dei centri dello zaidismo (una ramificazione dello sciismo, in realtà molto vicina al sunnismo dal punto di vista dottrinale (N.d.T.) ).

La componente “confessionale” del conflitto si ferma praticamente a questo aspetto. La guerra si prolungò per la difficoltà di ottenere una vittoria sul movimento sciita ribelle, ed anche perché questo tipo di guerre vengono spesso condotte con mezzi che nascondono altri fini.

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Il primo mezzo utilizzato: continuare a parlare della guerra per attrarre gli aiuti finanziari. Il finanziamento della guerra avvenne in primo luogo attraverso fondi provenienti dai paesi del Golfo, ed in particolare dall’Arabia Saudita.

Il secondo mezzo utilizzato: la guerra cominciò a “disconoscere la mano di chi l’aveva nutrita”, come dice il poeta. Si sviluppò un’economia di guerra dalla quale trassero profitto ambienti del potere, ufficiali delle forze armate e della sicurezza, e trafficanti di armi, per non parlare delle mafie degli uomini d’affari, che fecero profitti stratosferici se paragonati alla povertà del paese e alla scarsità delle sue risorse.

Il terzo mezzo utilizzato: in un regime fondato sull’apparato militare e di sicurezza, non è sorprendente che la guerra abbia ben presto interferito con i conflitti all’interno della famiglia al potere, per definire la successione al presidente Ali Abdullah Saleh. In questa guerra per la successione erano in competizione il figlio Ahmad che comandava la guardia repubblicana, e il fratello Ali Mohsen al-Ahmar, comandante della regione nord-occidentale, dove si sta svolgendo la guerra, ed uno degli uomini più in vista del regime, se si eccettua il nipote Yahya Mohamed Abdullah Saleh, uno dei comandanti della sicurezza centrale.

All’inizio dell’ultima operazione militare, il presidente Saleh aveva annunciato che avrebbe eliminato i ribelli Houthi in due settimane. Ed ecco che, a quattro mesi dall’avvio della campagna, ci viene detto che tutto ciò che è accaduto negli ultimi cinque anni non è stato altro che l’ “addestramento” delle sue forze armate, e veniamo informati che la guerra è realmente cominciata il giorno in cui l’esercito saudita ha oltrepassato il confine yemenita.

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Durante l’ “addestramento” delle forze armate del presidente Ali Abdullah Saleh, solo negli ultimi quattro mesi, il numero delle vittime fra i militari, e fra la popolazione yemenita, ha raggiunto i 3.800 morti e 16.000 feriti, a cui vanno aggiunti gli oltre 100.000 sfollati, e la distruzione e le enormi perdite materiali. Tuttavia, malgrado il prezzo enorme che l’ “addestramento” delle forze del presidente Saleh ha comportato, era necessario chiedere l’aiuto dell’esercito saudita per continuare la guerra!

Il regno saudita ha giustificato il proprio intervento affermando che il suo obiettivo era quello di contrastare l’infiltrazione dei ribelli Houthi nel proprio territorio, e le aggressioni alla propria guardia di frontiera. Dal canto loro, fonti del movimento sciita hanno accusato l’aviazione saudita di bombardare le loro postazioni e di permettere il passaggio delle truppe governative yemenite in territorio saudita allo scopo di accerchiare le postazioni dei militanti Houthi, soprattutto in corrispondenza della località montuosa di Jebel Dukhan, al confine tra Yemen e Arabia Saudita, di cui si è fatto un gran parlare nei giorni scorsi (i sauditi sono intervenuti in territorio yemenita per contrastare un presunto sconfinamento degli Houthi in corrispondenza di questa località (N.d.T.) ).

Non c’è bisogno di affrettarsi a considerare l’operazione militare saudita al confine yemenita come l’inizio di un intervento saudita diretto, nel combattimento contro i militanti Houthi all’interno del territorio yemenita. Si può supporre che i nuovi sviluppi si limiteranno a un tentativo di stringere gli Houthi nella tenaglia dei due eserciti – quello saudita e quello yemenita – sul confine.

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Comunque stiano le cose, la sola presenza di forze saudite in territorio yemenita suscita l’irritazione di un’ampia porzione degli yemeniti, i quali nutrono particolari risentimenti nei confronti del vicino gigante petrolifero, per numerose ragioni. Fra le prime reazioni vi è stato il comunicato congiunto emesso al termine dell’incontro fra i partiti dell’opposizione islamica, nazionalista e di sinistra, i quali hanno accusato il governo di abusare della sovranità nazionale nella guerra di Saada. Sebbene la questione riguardi per il momento solo la sovranità sui confini, molti yemeniti ancora ricordano che il presidente Ali Abdullah Saleh ha fatto ciò che nessun governante yemenita prima di lui aveva osato fare. Egli ha infatti rinunciato ufficialmente ai territori yemeniti occupati dal regno saudita nel 1934, i quali hanno un’estensione equivalente a quella della Siria.

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Quanto al presidente Saleh, invocando l’intervento militare saudita egli ha raggiunto il culmine delle macchinazioni, compiute giocando sulle contraddizioni e sull’esplosiva miscela interna dello Yemen, così come sulle contrapposizioni regionali ed internazionali. Pur godendo del sostegno dell’amministrazione americana, egli deve affrontare due guerre civili sul punto di deflagrare in una violenza incontrollata nelle province nord-occidentali e in quelle del sud. Di fronte a lui vi è un’opposizione dalle molteplici appartenenze intellettuali e politiche, che ha una considerevole base popolare in tutto il paese. Davanti a tutto questo, il governo centrale di Sana’a non si accontenta di imporre la repressione con l’esercito e le forze di sicurezza, ma fomenta gruppi tribali contro altri gruppi tribali, ed elementi settari contro altri elementi settari, nel nord e nel sud del paese. E fa balenare davanti agli occhi dell’amministrazione americana e del governo saudita il pericolo di al-Qaeda per continuare a garantirsi la legittimazione a livello internazionale, ben sapendo che fu lui ad accogliere elementi jihadisti a migliaia, e ad utilizzarli nella guerra contro il sud nel 1994, e contro i suoi avversari politici nel resto del paese.

Sul piano internazionale, Saleh non è riuscito a fornire prove convincenti dell’intervento iraniano a fianco degli Houthi. Ma se le sue accuse dovessero avverarsi, tutto ciò che avrebbe ottenuto sarebbe di aver richiamato l’ “influenza iraniana” – ed in particolare quella militare – fino ai confini del regno saudita!

La situazione del presidente Saleh è ormai quella di chi “danza fra i serpenti” – come ha affermato un giornalista yemenita.

La novità è che ormai non è affatto chiaro chi potrà impedire ai serpenti di morderlo tutti insieme.

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Nel frattempo, gli Stati Uniti nel 2009 hanno aumentato le proprie vendite di armi del 4,75% rispetto all’anno passato, raggiungendo i 37 miliardi di dollari. I maggiori clienti sono i paesi arabi e islamici. Il cliente di maggior fiducia sono gli Emirati Arabi Uniti (7 miliardi di dollari), seguiti dall’Afghanistan. Poi vi è l’Arabia Saudita (3 miliardi di dollari), l’Egitto (2 miliardi) e l’Iraq (1 miliardo).

Fawwaz Traboulsi è uno storico, scrittore, giornalista e politico libanese; scrive abitualmente sul quotidiano libanese al-Safir

Fonte

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