Per ora sono solo 55 metri di spesse lastre di cemento armato alte tre metri perse per le colline di Rio di Janeiro, messe lì quasi a segnare un confine già evidente tra la selva atlantica e le baracche che si arrampicano ogni giorno di più sui famosi morros, le colline di Rio, da dove si dice si possano godere le migliori viste della città carioca. Presto però il muro di cemento armato raggiungerà i 634 metri di lunghezza, e racchiuderà la prima favela di Rio. Il morro di Dona Marta, a Botafogo, nel sud della città.
Il governo dello Stato di Rio ha infatti dato il via alla realizzazione di quello che è già stato soprannominato il «muro della discordia», per le critiche che ha sollevato. Una linea di cemento armato a prova di bomba lunga 11 chilometri simile a quella innalzata da Israele in Palestina, e che servirà in questo caso a bloccare l'espansione di 11 baraccopoli. La scusa ufficiale usata dal governo è infatti che le favelas di Rio mettono in pericolo la vegetazione autoctona, il bosco atlantico, e devono essere fermate, secondo quanto riportava il quotidiano O Globo. I lavori di innalzamento delle barriere di cemento armato costeranno circa 17,5 milioni di dollari e dovrebbero essere terminati entro l'anno. Per realizzare il muro dovranno anche essere abbattute 550 case. E anche se i suoi abitanti verranno indennizzati e ricollocati, le polemiche invece che spegnersi sono cresciute. I più critici vedono nella mossa del governo un modo per separare, isolare e in qualche modo controllare le esplosive favelas.
Se il motivo della costruzione fosse davvero quello ecologico, si domandano in molti, non si capisce perchè non sia stata presa la stessa misura per i quartieri benestanti, anch’essi in continua crescita a spese della vegetazione e per i quali non è allo studio alcuna barriera. Ma il problema non è nuovo. L'idea del muro risale all'aprile 2004, quando una settimana di intensi scontri tra bande nella favelas, a colpi di lanciagranate, lasciò senza vita almeno dieci persone. Allora la governatrice Rosinha Matheus propose la costruzione del muro di contenimento, ma il segretario per i diritti umani del governo di Lula da Silva, Nilmario Miranda, si oppose duramente, affermando che una misura del genere «non può esistere neanche con la scusa della sicurezza degli stessi abitanti».
Questa volta, però, dopo la decisione del governo di Rio di innalzare la barriera di cemento armato e dopo che l’amministrazione locale ha avviato i lavori, la voce di Lula non si è fatta sentire. Mentre dal governo carioca la portavoce del dicastero delle Infrastrutture Tania Lazzoli assicurava all’agenzia Reuters che il muro non sarà discriminatorio, ma che servirà anzi a prevenire le costanti frane tra le baracche nella stagione delle piogge. Per ora il muro cingerà Dona Marta, una favela occupata dalla polizia e considerata un modello da seguire.
Le forze dell'ordine l'hanno infatti ripulita dai narcotrafficanti e lo Stato ha portato internet gratis ai suoi 10mila abitanti a cui ha anche allacciato la corrente elettrica e ha fornito potenti servizi sociali. Ben diversa potrebbe essere però l'accoglienza in altre favelas, come Rocinha, famosa per la sua violenza e per essere la più grande baraccopoli dell'America latina con i suoi 130mila abitanti. Difficilmente i trafficanti di armi si faranno rinchiudere da un muro di cemento armato pensato per resistere alle loro bombe. A Rocinha infatti il giro della droga frutta circa 40 milioni di euro l'anno, e solo questa settimana un'operazione con centinaia di poliziotti si è chiusa con 3 morti e il sequestro di una tonnellata di marijuana. Non a caso la barriera di cemento armato è stata studiata per resistere a bombe ad alto potenziale. Anche se in pochi sono disposti a credere che servirà a risolvere qualcosa.
di Davide Mattei
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