Qualche giorno fa, ad Alcamo: una ragazza rumena, con l'aiuto della polizia, è riuscita a liberarsi, speriamo per sempre, dalle grinfie dei suoi aguzzini i quali per costringerla a prostituirsi la tenevano praticamente in condizioni di vera e propria schiavitù. Eppure, consumata la notizia, non è successo nulla. Nessuno ha proposto un decreto contro gli schiavisti italiani e stranieri che controllano un traffico enorme di uomini e donne.
Non è scattata nemmeno quell'indignazione istintiva che è (era?) la controprova della sanità morale di un popolo, di una nazione che, per altro, si professa cattolicissima e devota. Come se in queste nostre società "opulente" anche il sentimento della pietà umana si stesse spegnendo nelle nostre menti alienate e terrorizzate da certa propaganda, a contatto con l'arido deserto creato intorno a noi da egoismi sfrenati e devastanti. E questo un altro aspetto, forse il più inquietante, di questo nuovo ciclo mondiale delle migrazioni che, oltre a creare nuovi dissesti sociali e morali nelle società d'origine e di destinazione, produce forme diverse di schiavitù che, abolita ufficialmente dalla convenzione di Ginevra del 1926, oggi ritorna e si afferma anche nelle nostre civilissime strade..
Chi pensava che fosse definitivamente scomparsa deve ricredersi alla luce di quanto avviene nei mercati del lavoro e dell'emigrazione clandestina che è una variante tragica del primo.
Secondo tali meccanismi, gli individui, soprattutto i più emarginati e discriminati, non sono più esseri umani, ma merce da acquistare e da vendere per pochi euro, bestie da sfruttare e spedire su camion piombati, da traghettare su battelli precari verso i paesi di questo Occidente immemore ed ipocrita.
Una condizione drammatica che i nostri occhi non vedono forse perché abbagliati dal luccichio che promana il dio-mercato che sta stravolgendo il sistema delle relazioni umane e portando il mondo sull'orlo della catastrofe.
Una logica folle che - nel migliore dei casi- considera le persone "capitale umano", "risorsa umana". Una fraseologia "moderna" che, in realtà, serve per edulcorare una concezione abietta che giunge a giustificare, a tollerare, anche la tratta, su vasta scala, di uomini, donne e bambini.
Tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla, sul serio. Lo sa anche il Parlamento italiano che, negli anni scorsi, ha promosso un'interessante indagine sulla "Tratta degli esseri umani" che documenta l'estensione e l'abiezione del fenomeno e contribuisce a ridefinire il concetto stesso di schiavitù alla luce della citata Convenzione di Ginevra e della più recente normativa europea: "La schiavitù è il possesso in un uomo e l'esercizio da parte di questo, sopra un altro uomo, di tutti o di alcuni degli attributi della proprietà. In tal modo, dunque, la schiavitù è identificata come l'espressione suprema della reificazione umana."
La tratta esiste e colpisce diverse categorie di persone ridotte in stato di schiavitù. In Italia, in Europa non nella repubblica centro-africana di Bokassa!
Umiliazione, ingiustizia, sopraffazione. All'interno del nostro mondo "moderno", tecnologico, democratico, ricco, esistono realtà orribili che dovrebbero farci vergognare.
Nel Bel Paese ci sono situazioni da medioevo, schiavi e schiave che fanno parte della nostra vita. Tutti mangiamo pomodori e tutti vediamo le schiave nigeriane, rumene, albanesi, ecc. lungo le strade.
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Provate ad andare, prima dell'alba a Milano, in piazzale Lotto, alla fermata della metropolitana di Famagosta, in piazzale Loreto e negli altri punti della città dove i caporali trovano ogni giorno manodopera fresca e disposta a tutto, che poi viene smistata nei cantieri di Monza, Milano, Bergamo. Su e giù dalle impalcature senza barriere di protezione, senza casco né cinture di sicurezza, lavorando dieci ore al giorno. Tre euro e mezzo all'ora contro i ventidue previsti dal contratto nazionale di lavoro per un manovale: paga a 50 giorni e niente contratto. "Un guadagno enorme per le imprese -dice Paolo Berizzi , giornalista di repubblica, autore del libro denuncia ''Morte a tre euro. Nuovi schiavi nell’Italia del lavoro'' -, enorme quanto l'ipocrisia degli imprenditori, soprattutto del nord, che vogliono cacciare i clandestini. Gli stessi che ogni giorno ingrossano la schiera di lavoratori in nero nei cantieri edili".
Secondo il giornalista, a Milano e provincia gli operai edili sono 120 mila (il 42,3 per cento sono immigrati stranieri, nel 2000 erano solo il 7,1), 60 mila dei quali sono in nero. Tutti gestiti dai caporali. "Lavoro nero, morti bianche e clandestinità -continua Paolo Berizzi- sono fenomeni complementari che si compenetrano l'un l'altro". Stando alle stime ufficiali dell'Inail, nel 2007 nei cantieri italiani sono morti 275 operai , il 35 per cento in più rispetto al 2006. Gli infortuni sono stati quasi 102 mila. Ma questa cifra non tiene conto dei manovali clandestini che, in caso di infortunio, non vanno neanche all'ospedale.
All’Ortomercato di Milano (il più grande d’Italia) poi, il 50% dei caricatori di frutta è clandestino e viene pagato 2 euro e mezzo l’ora.
In Trentino, regione modello, prolifera lo sfruttamento di manodopera in nero per la raccolta di frutta, in Sicilia ci sono i raccoglitori di pomodoro, nelle nostre case ci sono badanti e infermiere dell'Est, che nel 40 % dei casi sono gestite da organizzazioni criminali che trattengono loro parte dello stipendio." Ma l'elenco degli sfruttati non finisce qui e comprende camalli, braccianti, operai e persino bambini dai sette anni in su.
Per quanto riguarda il «commercio» di donne a fini di sfruttamento sessuale , esso è, secondo l’Onu, la terza attività illegale più redditizia al mondo (dopo il traffico di armi e di droga), con un giro di affari stimato attorno ai 12 miliardi di dollari l’anno.
Merce di consumo di una società edonista e mercantile, la donna diventa, da un lato, «capitale» finanziario da sfruttare da parte di organizzazioni malavitose senza scrupoli, dall’altro, oggetto di soddisfazione di desideri e perversioni.
Le chiamano prostitute, quando va bene. Più spesso sono additate con i vocaboli più dispregiativi. In Liguria sono ancora le bagasce, come lo scarto della lavorazione della canna da zucchero. Peggio dei rifiuti, in un immaginario collettivo che ipocritamente getta loro addosso disprezzo e pregiudizio. Come se fosse una libera scelta quella di vendere il proprio corpo. Per molte di loro è una vera e propria schiavitù. Vittime della povertà e dell’ingiustizia, di una vita che non è degna di essere vissuta, innanzitutto nei loro luoghi d’origine, molte di queste ragazze si ritrovano ingannate da promesse fittizie, dal miraggio di un’esistenza migliore, di un altrove fatto di benessere e felicità: finiscono col ritrovarsi schiave sessuali, in una situazione di vulnerabilità e povertà ancora peggiore di quella da cui vengono, sradicate in un Paese straniero, clandestine, senza identità né dignità.
Le chiamano prostitute, ma sarebbe meglio dire prostituite: costrette a vendere il proprio corpo per pagare un debito assurdo, per salvare se stesse e le proprie famiglie, costrette a vendere se stesse, corpi-merce di un traffico che ha preso la forma intollerabile di una delle peggiori schiavitù contemporanee.
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3 commenti:
Indignazione? Siamo troppi retoricamente, stupidamente, egoisticamente individualisti. Perché non nutriamo rispetto nemmeno per noi stessi.
L'ho riletto tre volte, perchè non è una lettura facile, non per come è scritto, ma per cosa è scritto. a volte spostavo lo sguardo, giravo per altri siti. Meditavo e cercavo, volevo pure togliermi dalla testa certe realtà che sembrano davvero distanti e invece potrebbero essere i linea materiale e reale dietro l'angolo del palazzo dove sto.
Siamo ciechi e sordi, in un mondo che è chiaro e semplice.
Purtroppo questa è la cruda realtà che abbiamo vicino. Ho vissuto personalmente realtà ben più pesanti in paesi del terzo mondo, ma non riesco ancora a scriverne.
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