Siamo talmente abituati a sentir parlare male di Cuba e di Castro e dintorni che nessuno ha fatto caso a un paio di cose. La prima è che la produzione industriale viaggia al ritmo di incrementi annui del 12%, anche se per più d’uno osservatore europeo e americano a partire dal 2005 l’incremento può avere sfondato perfino quota +16%.
Già nel 2006 il “lider maximo” nel suo usuale discorso del 1° maggio ha annunciato che l’isola caraibica aveva prodotto nei primi quattro mesi dell’anno il 45% del suo fabbisogno di petrolio e derivati, che è quindi capace di lavorare in proprio, e che la produzione media è arrivata a 76 mila barili al giorno. La società petrolifera statale Cuba Petroleo, nota anche come Cupet, ha stipulato col Venezuela un accordo per modernizzare un impianto di raffinazione, costruito a suo tempo dai sovietici, per arrivare rapidamente a lavorarvi 120 mila barili al giorno di petrolio e derivati. E questo accordo aumenta il fastidio di Washington verso Chavez, fornendo una ulteriore chiave di lettura delle sue mene anti Chavez. Secondo l’esperto messicano Fabio Barbosa il litorale e il mare a nord di Cuba custodiscono nel sottosuolo riserve petrolifere tra i 30 e i 50 miliardi di barili di petrolio.. “In pochi anni Cuba potrebbe produrre 525.000 barili al giorno di greggio e diventare una nazione esportatrice”, ha dichiarato Jorge Piñón esperto di questioni petrolifere dell’Università di Miami. Attualmente Cuba consuma 140.000 barili al giorno di petrolio, 92.000 provenienti dal Venezuela e acquistati a un prezzo «politico» al di sotto dei 30 dollari al barile.
Secondo Barbosa, le riserve accertate degli Usa sono 22 miliardi di barili, cioè la metà di quelle cubane! Sempre secondo questo esperto, le riserve del Messico sono di 12 miliardi di barili, anche se l’industria Petròleos Mexicanos calcola che in realtà possano arrivare a quasi il quadruplo, mentre le riserve del Venezuela sono di circa 80 miliardi di barili e quelle del Canada 174 miliardi compreso il giacimento sotto il lago Alberta. Come si vede, le sole riserve di oro nero del Golfo del Messico sono un vero tesoro, tanto che Barbosa e lo studioso messicano di geopolitica Miguel Garcia Reyes definiscono la zona come la terza più importante al mondo per riserve petrolifere e parlano delle acque profonde del mare del golfo come della “gemma della corona”. Una gemma e una corona che fanno molto gola agli Stati Uniti, e infatti secondo i due studiosi a Washington hanno già messo a punto gli scenari del dopo Castro incentrati proprio su una strategia di penetrazione dell’industria americana degli idrocarburi e delle lavorazioni chimiche.
La guerra sarà forse solo economica e politica, ma gli Usa stanno già facendo pressione sul Messico per una politica il più possibile anti cubana per poter mettere quanto prima un’ipoteca sul futuro del petrolio cubano e impedire che continuino a svilupparsi gli accordi in tema di idrocarburi dell’isola castrista con la Cina, il Giappone, l’India, il Canada, il Venezuela, il Brasile e di nuovo con la Russia, che ha ripreso a farsi via con le navi qualche nave da guerra alla chetichella.
Non sono più i “bei tempi” dello strapotere della Cia e delle multinazionali Usa nel Centro e Sud America, i tempi delle invasioni di Grenada e dello sbarco nella Baia dei Porci a Cuba, fallimentare tentativo di marciare su L’Avana riportando al potere gli sgherri di Batista. La Casa Bianca ha però sempre allo studio piani anche militari per interventi traumatici utili a (ri)blindare almeno il cortile di casa chiamato Centro America, a partire dai vasti giacimenti di oro nero. Vedremo cosa farà Obama .
Già nel 2006 il “lider maximo” nel suo usuale discorso del 1° maggio ha annunciato che l’isola caraibica aveva prodotto nei primi quattro mesi dell’anno il 45% del suo fabbisogno di petrolio e derivati, che è quindi capace di lavorare in proprio, e che la produzione media è arrivata a 76 mila barili al giorno. La società petrolifera statale Cuba Petroleo, nota anche come Cupet, ha stipulato col Venezuela un accordo per modernizzare un impianto di raffinazione, costruito a suo tempo dai sovietici, per arrivare rapidamente a lavorarvi 120 mila barili al giorno di petrolio e derivati. E questo accordo aumenta il fastidio di Washington verso Chavez, fornendo una ulteriore chiave di lettura delle sue mene anti Chavez. Secondo l’esperto messicano Fabio Barbosa il litorale e il mare a nord di Cuba custodiscono nel sottosuolo riserve petrolifere tra i 30 e i 50 miliardi di barili di petrolio.. “In pochi anni Cuba potrebbe produrre 525.000 barili al giorno di greggio e diventare una nazione esportatrice”, ha dichiarato Jorge Piñón esperto di questioni petrolifere dell’Università di Miami. Attualmente Cuba consuma 140.000 barili al giorno di petrolio, 92.000 provenienti dal Venezuela e acquistati a un prezzo «politico» al di sotto dei 30 dollari al barile.
Secondo Barbosa, le riserve accertate degli Usa sono 22 miliardi di barili, cioè la metà di quelle cubane! Sempre secondo questo esperto, le riserve del Messico sono di 12 miliardi di barili, anche se l’industria Petròleos Mexicanos calcola che in realtà possano arrivare a quasi il quadruplo, mentre le riserve del Venezuela sono di circa 80 miliardi di barili e quelle del Canada 174 miliardi compreso il giacimento sotto il lago Alberta. Come si vede, le sole riserve di oro nero del Golfo del Messico sono un vero tesoro, tanto che Barbosa e lo studioso messicano di geopolitica Miguel Garcia Reyes definiscono la zona come la terza più importante al mondo per riserve petrolifere e parlano delle acque profonde del mare del golfo come della “gemma della corona”. Una gemma e una corona che fanno molto gola agli Stati Uniti, e infatti secondo i due studiosi a Washington hanno già messo a punto gli scenari del dopo Castro incentrati proprio su una strategia di penetrazione dell’industria americana degli idrocarburi e delle lavorazioni chimiche.
La guerra sarà forse solo economica e politica, ma gli Usa stanno già facendo pressione sul Messico per una politica il più possibile anti cubana per poter mettere quanto prima un’ipoteca sul futuro del petrolio cubano e impedire che continuino a svilupparsi gli accordi in tema di idrocarburi dell’isola castrista con la Cina, il Giappone, l’India, il Canada, il Venezuela, il Brasile e di nuovo con la Russia, che ha ripreso a farsi via con le navi qualche nave da guerra alla chetichella.
Non sono più i “bei tempi” dello strapotere della Cia e delle multinazionali Usa nel Centro e Sud America, i tempi delle invasioni di Grenada e dello sbarco nella Baia dei Porci a Cuba, fallimentare tentativo di marciare su L’Avana riportando al potere gli sgherri di Batista. La Casa Bianca ha però sempre allo studio piani anche militari per interventi traumatici utili a (ri)blindare almeno il cortile di casa chiamato Centro America, a partire dai vasti giacimenti di oro nero. Vedremo cosa farà Obama .
Secondo Gennaro Carotenuto: “…ora saranno proprio le scelte che Obama farà sulle relazioni con Cuba, magari abolendo o attenuando l’immorale embargo (condannato quest’anno dall’Assemblea dell’Onu per la 17° volta consecutiva), a cambiare o no il futuro della terra di José Martí, l’eroe nazionale che già più di 100 anni fa, al tempo della guerra d’indipendenza dalla Spagna, intuì che il problema dell’autonomia e sopravvivenza cubana stava proprio nelle mire espansionistiche Usa. Per questo è già incredibile che Cuba, autonoma, indipendente e socialista, ancora esista dopo anni di ostilità della più poderosa potenza del mondo, segnati da tentativi incessanti di destabilizzazione politica e da atti terroristici impuniti preparati in Florida e New Jersey e compiuti nell’isola con copertura Cia e nel completo disinteresse delle cosiddette democrazie occidentali. È singolare poi che la resistenza di Cuba sia diventata un esempio in America latina, un continente per anni martoriato dal Plan Condor, un progetto di annientamento di ogni opposizione progressista voluto dal presidente Nixon e dal segretario di stato Kissinger, negli anni ‘70. Ma è ancora più emblematico che Cuba festeggi nel momento in cui, dopo il muro di Berlino è crollato anche il muro del capitalismo. Una constatazione che fa leggere diversamente, con un sorriso beffardo, le critiche alle scelte «azzardate» fatte da Cuba 50 anni fa. La Revolución, pur non esente da errori, contraddizioni e illiberalità, festeggia infatti mezzo secolo di sopravvivenza con la più bassa mortalità infantile dell’intero continente americano, la più alta media di vita del Sudamerica, un sistema sanitario esemplare. Ma la Revolución sente anche l’orgoglio di aver influenzato, come ha ricordato recentemente il presidente brasiliano Lula, il riscatto e le scelte di progresso in atto in America latina, non solo in Brasile ma in Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Paraguay e, con caratteri più tenui, in Uruguay e Cile...
...Com’è stato possibile per la Revolución, in questo contesto, durare 50 anni?
Secondo Alfonso Sastre, il prestigioso drammaturgo spagnolo : ”Cuba ha resistito, pur con tutte le sue contraddizioni, per aver saputo creare fra la gente una coscienza collettiva e solidaristica. Una coscienza che è passata sopra i contrasti e gli errori, e resiste nel tempo.”
...Com’è stato possibile per la Revolución, in questo contesto, durare 50 anni?
Secondo Alfonso Sastre, il prestigioso drammaturgo spagnolo : ”Cuba ha resistito, pur con tutte le sue contraddizioni, per aver saputo creare fra la gente una coscienza collettiva e solidaristica. Una coscienza che è passata sopra i contrasti e gli errori, e resiste nel tempo.”
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