lunedì 22 novembre 2010

IL MONDO DEGLI INDIOS ARAWETE È DESTINATO…

a dissolversi con la televisione

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Prima c’è Belem, con i suoi grattacieli immersi nella calura umida dei tropici, una foresta di cemento. Poi Altamira  con le sue case basse e la foresta  vera che incombe sulle sponde  del fiume. E  alla fine c’è il fiume lungo il quale si scende  per molte ore. Non è facile arrivare dagli indios Arawete, ed è giusto. Loro sono lontani  alcune migliaia di anni, o meglio lo erano fino a pochi decenni fa.
Oggi gli indios Arawete sono circa 400, raccolti in tre villaggi lungo il fiume Xingu, ma  fino agli anni ’70  erano nomadi, vivevano di caccia e di pesca e non avevano avuto mai rapporti con il resto dell’umanità  che, oltre la foresta, costruiva gli intricati percorsi della storia. Per millenni la foresta ha custodito mondi culturali separati, privi  di scambi  con l’esterno. Adesso gli Arawete continuano a vivere di caccia e pesca,  ma sono stati convinti dal governo brasiliano ad abitare  stabilmente nei villaggi. Si tratta peraltro di una stanzialità  precaria: quando la popolazione  supera un certo numero di abitanti, di solito poche decine, avvengono normalmente  delle pacifiche secessioni. Piccoli litigi e incomprensioni  inducono una parte della popolazione a separarsi e a costruire un nuovo villaggio lungo il fiume. Fra non molto  verrà costruito un quarto villaggio, anche se l’esiguità della popolazione si accompagna spesso alla  eccessiva densità dei rapporti di parentela. Succede così a volte che gli abitanti siano tutti  strettamente imparentatati fra di loro, tanto da rendere necessaria una rigorosa pratica esogamica: in questo caso le spose, normalmente giovanissime, vengono scelte negli altri villaggi. In ogni villaggio c’è ora un’infermeria, una scuola e il gruppo elettrogeno, e con il gruppo elettrogeno è arrivato anche  il televisore. In ogni villaggio ce n’è uno. Inizialmente il governo brasiliano ha  introdotto il televisore per facilitare l’alfabetizzazione degli indios. Ma il televisore non è un docile strumento al servizio  delle buone intenzioni. Verso le 20, per un paio d’ore, buona parte  della popolazione  vi si raccoglie davanti, anziani e bambini, madri che allattano sdraiate per terra, cani, polli, pappagalli multicolori, nel buio appena rischiarato da qualche lampadina, da qualche torcia a pila e da qualche fuoco acceso per cucinare il cibo. Gli Arawete non sembrano molto interessati alla telenovela ‘Passione’, che tutto il Brasile in quelle ore sta vedendo, ma ogni sera lo schermo è acceso. Fra un primo piano e un interno scorrono anche le immagini delle nostre città, le strade asfaltate, i negozi, le automobili, i grattacieli, gli aerei, il paesaggio   dei nostri contesti urbani  del tutto sconosciuto agli indios  fino a 40 anni fa.  E poi ci sono gli stacchi pubblicitari, con in vetrina il nostro mondo luccicante e ipertecnologico. Davanti al televisore acceso avviene l’incontro fra mondi lontani  diverse migliaia di anni, fra i quali  non può esserci  scambio culturale.  Il loro  è destinato a scomparire. Probabilmente questi bambini  che guardano il televisore e siedono sui banchi di scuola sono gli ultimi ad abitare  un piccolo universo di credenze, parole, pensieri, saggezze e follie antichissime. Prezioso semplicemente perché umano.

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