Non mi interessa affrontare il problema in termini monetari, ma in termini di sfruttamento e razzismo.
Nella Repubblica Dominicana la capanna dello Zio Tom non è mai scomparsa. Nei pressi delle spiagge per turisti di lusso, nascosti dietro una cortina impenetrabile di canne da zucchero, baraccamenti di legno, malsani, senza acqua né elettricità, danno ricovero a intere famiglie venute da Haiti.
THE PRICE OF SUGAR di Bill Haney
Haitian exploitation in the Dominican Republic
Struggling with racism in the Dominican Republic
Race and Racism in Latin America: The Caribbean
Il fenomeno della migrazione da Haiti alla Repubblica Dominicana ha avuto inizio intorno alla fine del XIX secolo, con lo sviluppo della coltivazione della canna da zucchero. Solamente nel 1952 però, sono stati stipulati i primi accordi bilaterali fra i due stati per garantire il flusso dei lavoratori stagionali. Le prime grandi migrazioni sono cominciate nel 1920 ed erano destinate principalmente alle coltivazioni di zucchero.
Il primo censimento del 1920 indicava che gli haitiani erano circa il 59% dei lavoratori stranieri e circa il 3% della popolazione totale. Da questa data il numero dei lavoratori haitiani è stato in costante aumento.
Nel 1937, le presenze di haitiani avevano raggiunto i 200.000 e, in quegli anni, si è avuta la prima grande deportazione di massa degli haitiani guidato dall’esercito dominicano che provocò numerosissime morti.
I grandi proprietari terrieri e le industrie di raffinerie di zucchero avevano però bisogno di mano d’opera a basso costo e nel 1941 il governo dominicano firmò un trattato commerciale con il governo di Haiti per facilitare e regolamentare il flusso dei lavoratori haitiani. Non esistono cifre sicure sul numero di haitiani e dominico-haitiani che vivono attualmente nella Repubblica Domenicana: gli unici dati di cui si dispone sono quelli della Commissione Interamericana che, citando fonti delle autorità di immigrazione domenicane, indica tra i 500.000 e i 700.000 le persone di origine haitiana. Si tratta però di dati risalenti al 1999 e, secondo le stesse autorità militari dominicani, molto approssimative.
Alcune fonti parlano di quasi 1.300.000 haitiani di cui circa il 50% lavora nel settore agricolo. Molto alta la presenza di haitiani anche nelle zone turistiche, dove la maggior parte dei manufatti viene prodotta e venduta da haitiani.
Gli immigrati haitiani non hanno nessuna protezione legale: nessun articolo del codice del lavoro, o nessuna altra disposizione di legge prevede alcun tipo di tutela nei loro confronti.
L’immigrazione clandestina è di tre tipi:
• haitiani che attraversano la frontiera illegalmente,
• haitiani che, entrati con regolare permesso di lavoro, non hanno potuto rinnovarlo alla scadenza
• bambini nati sul territorio della Repubblica Dominicana da genitori irregolari.
Si stima che attualmente il 90% degli haitiani che vive sul territorio della Repubblica Dominicana sia illegale.
Il pregiudizio razziale è profondamente radicato nella Repubblica Domenicana.
Con l’indipendenza, i nazionalisti hanno cominciato a stabilire una identità domenicana, che si identifica principalmente nella percezione dell’immigrazione haitiana come minaccia. I domenicani nazionalisti si sono auto-definiti “spagnoli” e hanno qualificato gli haitiani “negri”, una distinzione basata su un pregiudizio che ignora la diversità razziale del proprio paese e tenta di enfatizzare la loro distanza razziale e culturale con Haiti.
Gli immigrati haitiani sono da sempre impiegati nelle piantagioni di canna da zucchero. Negli anni le condizioni di vita dei braccianti hanno dato origine a numerose denuncie. La stessa comunità internazionale ha più volte manifestato viva preoccupazione per le condizioni di vita degli immigrati, denunciando la presenza della polizia nel reclutamento dei braccianti e l’applicazione di pratiche abusive e del lavoro forzato da parte del CEA. (Consejo Estatal de Azúcar creata dal governo della repubblica Dominicana con lo scopo di gestire la contrattazione di mano d’opera haitiana).
Il trattamento a cui sono sottoposti i braccianti è spesso brutale: dallo sfruttamento sfrenato all’espulsioni di massa, alla mancanza assoluta di qualsiasi diritto fino all’assassinio.
Oggi i lavoratori haitiani sono impegnati anche in altre coltivazioni, come caffè, banane, riso e cacao. Oltre all’area agricola gli haitiani sono entrati nel settore urbano, soprattutto nella costruzione e nel servizio domestico.
La partecipazione degli haitiani in questa attività è aumentata negli ultimi anni.
Nelle piantagioni di canna gli immigrati haitiani cominciano a lavorare alle 6 del mattino e finiscono a sera verso le 18 o anche le 20. I salari sono molto bassi – il salario medio è di 70-80 pesos al giorno, poco meno di 3 dollari – e spesso inadeguati rispetto alla quantità del materiale accumulato, ma il tagliatore non ha voce in capitolo, è l’azienda a stabilirlo.
I lavoratori vivono nei cosiddetti «bateys», specie di minuscoli villaggi con catapecchie di legno ai margini della piantagione, senza luce né acqua corrente e quasi tutte senza finestre. Spesso vengono impiegati anche i bambini e sono numerose le organizzazioni che denunciano il regime di lavoro forzato cui sono sottoposti i bambini.
Alle denuncie di questi abusi, il governo dominicano risponde con il rimpatrio forzato.
I rimpatri di massa sono diventati prassi costante di ogni governo dominicano.
Nel maggio del 2005 sono stati effettuati più di 2.000 rimpatri in 3 giorni: la causa scatenante è stato l’ennesimo fatto di sangue imputato ad un haitiano. La direzione generale per l’immigrazione, con l’aiuto logistico e repressivo dell’esercito, ha iniziato un’operazione militare indiscriminata che ha visto come vittime vecchi, donne e bambini, insieme a lavoratori clandestini e non.
I militari si introducevano nelle case degli immigrati e dei dominicani di origine haitiana di notte abbattendo le porte con i fucili: venivano svegliati e caricati a forza nei camion, senza dare loro il tempo di raccogliere le proprie cose, a volte scalzi e senza prestare attenzione a chi presentava i documenti legali che gli davano il diritto di rimanere in territorio dominicano.
In quei tre giorni è stata violata una serie infinita di normative internazionali in tema di rimpatrio e di tutela dei diritti umani del migrante, oltre ad uno specifico accordo siglato nel 1999 tra i due stati dell’isola per regolamentare le espulsioni degli “irregolari”. L’ultima grande espulsione di massa era avvenuta nel 1999.
Il Servizio gesuita per i rifugiati e i migranti (SJRM) denuncia una doppia morale da parte delle autorità dominicane: da una parte, favorisce l’entrata della manodopera haitiana illegale e a basso costo, risorsa vitale per un’economia che si basa sull’esportazione dei prodotti agricoli, il cui prezzo internazionale è altamente sensibile; dall’altra, espelle in massa gli haitiani per motivi razziali.
Nel luglio 2005 sono state effettuate altre 300 espulsioni di haitiani: molti erano donne e bambini che stavano elemosinando per le strade.
Una condanna per l’operato della CEA e per il trattamento riservato ai lavoratori haitiani è venuto anche da ILO (International Labour Organization) che, già in una nota del 1983 definì la loro condizione di semi schiavitù e denunciava che il loro reclutamento, effettuato da militari dominicani o da corpi paramilitari, avviene con l’inganno e, a volte, anche ricorrendo alla violenza fisica. Anche il periodico Usa New York Times ha accusato apertamente le autorità dominicane di maltrattare gli immigranti haitiani, affermando che i difensori dei diritti umani hanno visto nella Repubblica Dominicana un sistematico abuso persino contro i dominicani di discendenza haitiana.
La situazione economica e politica esistente a Haiti ha come causa immediata l’aumento del flusso migratorio verso la vicina Repubblica Dominicana. Periodi di intensi rivolgimenti politici in Haiti hanno prodotto ondate migratorie nella vicina repubblica.
Secondo il National Coalition for Haitian Rights (NCHR, circa 25.000-30.000 haitiani hanno attraversato il confine nel periodo immediatamente successivo al colpo di stato anti Aristide del 1991.
GGli Haitiani e i Dominico-haitiani sono una minoranza abbastanza numerosa: si stima che attualmente siano 280.000 i cittadini dominicani nati da genitori haitiani e la maggior parte di essi, secondo IACHR,vive in uno stato di permanente illegalità.
L’assenza di documenti porta a ridurre l’accesso all’educazione, al servizio sanitario, ai diritti civili e espone al rischio di essere rimpatriati senza alcun motivo, vittime a volte di repressioni brutali, senza alcuna possibilità di ricorrere contro l’espulsione.
La politica del governo dominicano è quello di riconoscere l’utilità dei lavoratori haitiani, ma di considerare la loro permanenza non stabile ed i loro discendenti nati nella repubblica Dominicana come “indesiderabili”. Per decenni le immigrazioni, sia legali che illegali, sono state incoraggiate dal governo che vedeva in questo fenomeno la possibilità di ottenere mano d’opera a basso costo da impiegare nelle piantagioni di zucchero o in altre coltivazioni. Oggi la situazione economica dominicana si è completamente modificata, grazie alla crisi del settore della coltivazione e, in special modo, all’aumento vertiginoso del settore del turismo. Questi cambiamenti hanno radicalmente modificato l’atteggiamento del governo che,cavalcando la spinta razzista da sempre esistente nei confronti di Haiti, cerca di limitare il fenomeno ricorrendo a mezzi a volte anche brutali.
La Costituzione Dominicana riconosce lo jus soli: l’articolo 11 recita “Sono dominicani: tutte le persone che sono nate sul suolo della Repubblica con eccezione dei figli legittimi degli stranieri residenti nel paese in rappresentazione diplomatica o in transito.” Le autorità dominicane rifiutano, però, di riconoscere la cittadinanza ai bambini figli di immigrati irregolari anche se nati sul proprio territorio, considerandoli “in transito”.Così una norma che, secondo le intenzioni del legislatore, era stata creata per i diplomatici o le persone in transito, viene adoperata come elemento di discriminazione e di esclusione sociale: i cittadini haitiani che vivono da anni sul territorio domenicano, vengono considerati “in transito”.
Ad una prima lettura la norma della Costituzione non sembrerebbe dare adito a dubbi interpretativi. La definizione di persona in transito includerebbe solamente le persone di passaggio sul territorio dominicano e dirette altrove: in base alla stessa legislazione dominicana la definizione di transito cessa dopo 10 giorni di permanenza sul territorio.
L’interpretazione corrente, però, considera gli immigrati haitiani illegali come “persone in transito”.
Il capo dell’esercito ha posto molta enfasi sull’illegalità degli immigrati haitiani e quindi considerati persone in transito, per giustificare il mancato rilascio degli atti di nascita ai loro figli: “una persona ilegal no puede producir una persona legal” (Manuel E. Polanco, Jefe del Estado Mayor del Ejército dominicano).
Al momento della nascita, ai bambini viene negato l’atto di nascita e quindi l’iscrizione ai Registri Civili. È possibile iscriversi ai registri successivamente alla nascita,ma si tratta di una serie di azioni complesse e costose per gli immigrati che, spesso, sono in condizioni economiche critiche. Inoltre, l’iscrizione all’anagrafe dopo 90 giorni dal parto richiede la presentazione di maggiore documentazione e spesso viene ostacolata dagli ufficiali di stato civile con richieste illegali di documentazione aggiuntiva.
Oggi la normativa vigente prevede la registrazione anagrafica alla nascita, indipendentemente dall'origine "legale" o "illegale" dei genitori, tuttavia le madri e i padri, spesso spaventati dall’atteggiamento e dal rischio di un rimpatrio, preferiscono rinunciare piuttosto che sottoporsi ad una serie di domande per loro pericolose.
Il mancato riconoscimento del diritto all’identità personale si traduce in una serie di ulteriori violazioni dei diritti umani garantiti dalle convenzioni internazionali.
La mancanza di documentazione porta i bambini ad essere “invisibili”, privati dei più elementari diritti e quindi li condanna ad una vita di privazioni. Gli effetti immediati di questa situazione sono la negazione al diritto all’istruzione e l’impossibilità di accedere alle cure sanitarie.
Questa situazione va a aumentare il già elevato numero di bambini di strada, impedendo che gli orfani privi di documenti possano essere accolti presso una casa-famiglia e quand'anche vi fossero accolti, queste non sempre procedono alla regolarizzazione anagrafica per la complicazione e per i costi del relativo iter burocratico, restando "invisibili" anche negli istituti: impossibile poi l’adozione sia nazionale che internazionale. La situazione risulta ancora più grave se si tratta di minori di origine haitiana in stato di abbandono, ove la negazione del diritto non permette loro di essere considerati neppure alla pari dei bambini dominicani abbandonati.
Il problema della mancanza di documentazione colpisce anche le vedove, che sono nell’impossibilità di far riconoscere i propri diritti ereditari. La morte del marito non solo porta alla perdita dell’unica fonte di sostentamento: spesso si accompagna alla perdita della casa e all’impossibilità di trovare un lavoro. Accade a volte, che madri vedove, prive di qualsiasi sussidio o aiuto, siano costrette ad abbandonare i propri figli, impossibilitate a garantire loro un futuro.
Sono così i bambini e le donne, la parte più fragile della società, a subire maggiormente le ingiustizie e la discriminazione di una situazione illegale ma tollerata, e a volte incoraggiata, dalle stesse autorità.
I bambini non iscritti al Registro Civile hanno difficoltà ad accedere alla scuola, e anche quando hanno la possibilità di frequentarla, vengono discriminati da programmi razzisti e, a volte, dagli stessi insegnanti. La mancanza di documenti porta all’impossibilità di avere un’istruzione ed a accedere alle cure sanitarie: la povertà e le pratiche di segregazione ed esclusione avranno ricadute per tutta la vita di questi bambini.
Per quanto possibile infatti alcune ONG che lavorano nei bateys negli ultimi anni hanno costruito scuole "informali" ossia non riconosciute dallo stato dominicano, per permettere ai bambini irregolari l'accesso comunque ad un livello minimo di educazione tentando cosi' di spezzare la catena dell'analfabetismo. Sono anche presenti postazioni sanitarie e in alcuni casi ambulanze con medici generici a bordo che visitano settimanalmente i bateys per garantire un livello minimo di sanità.
Tutti gli interventi sono pero' gestiti da ONG internazionali senza interventi economici da parte del governo dominicano.
Per gli amanti delle statistiche, la loro presenza nelle carceri dominicane e' solo del 2%!
Paola Riccardi
fotografie di Céline Anaya Gautier
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