lunedì 2 marzo 2009

GUANTANAMO LIBIA. IL NUOVO GENDARME DELLE FRONTIERE ITALIANE

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Da Mellitah parte il Greenstream, il gasdotto sottomarino più lungo del Mediterraneo. Collega la Libia a Gela, in Sicilia. Ironia della sorte, corre lungo la stessa rotta che porta i migranti a Lampedusa. Come dire che mentre sulla superficie del mare l’Europa dispiega le sue forze militari per bloccare il transito degli esseri umani, otto miliardi di metri cubi di gas ogni anno scorrono silenziosi nei 520 km di condotta posata sui fondali di quello stesso mare, in mezzo alle ossa delle migliaia di uomini e donne morti nella traversata del Canale di Sicilia. Un’immagine che sintetizza perfettamente le relazioni degli ultimi cinque anni tra Roma e Tripoli, condotte all’insegna dello slogan “più petrolio e meno immigrati

Sostiene l’avvocato Abdussalam Edgaimish (direttore dell’ordine degli avvocati di Tripoli) : “I migranti sono vittime di una cospirazione tra le due rive del Mediterraneo. L’Europa vede soltanto un problema di sicurezza, nessuno vuole parlare dei loro diritti”.

TRIPOLI – La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Incrocio gli sguardi di una trentina di persone. Ammassati uno sull’altro. A terra vedo degli stuoini e qualche lercio materassino in gommapiuma. Sui muri qualcuno ha scritto Guantanamo. Ma non siamo nella base americana. Siamo a Zlitan, in Libia. E i detenuti non sono presunti terroristi, ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa e lasciati marcire in carceri fatiscenti finanziate in parte dall’Italia e dall’Unione europea. I prigionieri si accalcano contro la porta della cella. Non ricevono visite da mesi. Alcuni alzano la voce: “Aiutateci!”. Un ragazzo allunga la mano oltre quelli della prima fila e mi porge un pezzettino di cartone. C’è scritto sopra un numero di telefono, a penna. Il prefisso è quello del Gambia. Lo metto in tasca prima che la polizia se ne accorga. Il ragazzo si chiama Outhman. Mi chiede di dire a sua madre che è ancora vivo. È in carcere da cinque mesi. Fabrice invece non esce da questa cella da nove mesi. Entrambi sono stati arrestati durante le retate nei quartieri degli immigrati a Tripoli. Da anni la polizia libica è impegnata in simili operazioni. Da quando nel 2003 l’Italia siglò con Gheddafi un accordo di collaborazione per il contrasto dell’immigrazione, e spedì oltremare motovedette, fuoristrada e sacchi da morto, insieme ai soldi necessari a pagare voli di rimpatrio e tre campi di detenzione. Da allora decine di migliaia di immigrati e rifugiati ogni anno sono arrestati dalla polizia libica e detenuti nei circa 20 centri fatiscenti sparsi per il paese, in attesa del rimpatrio.
“La gente soffre! Il cibo è pessimo, l’acqua è sporca. Ci sono donne malate e altre incinte”. Gift ha 29 anni. Viene dalla Nigeria. Indossa ancora il vestito che aveva quando l’arrestarono tre mesi fa, ormai ridotto a uno straccio sporco e consumato. Stava passeggiando con il marito. Non avevano documenti e furono arrestati. Non lo vede da allora, lui nel frattempo è stato rimpatriato. Dice di avere lasciato i due figli a Tripoli. Di loro non ha più notizie. Viveva in Libia da tre anni. Lavorava come parrucchiera e non aveva nessuna intenzione di attraversare il Canale di Sicilia. Come molti degli immigrati detenuti dai nuovi gendarmi della frontiera italiana.

Articolo correlato: Le foto dei campi di detenzione

5 commenti:

Unknown ha detto...

Mi chiedo spesso che senso ha tutto questo. Il vissuto di questa triste umanità da sola dovrebbe spaccare il mondo. Dovrebbe.

Anonimo ha detto...

Certo che è proprio vero che il mondo non è ospitale come tanti lo mostrano. E nemmeno l'Italia e l'Europa sono questi "giganti" della libertà.

catone ha detto...

Facciamo di tutto per erigere muri sempre più alti fra noi civilizzati e gli altri incivili. Tante belle parole, ma sono i fatti che contano. Grazie per il vostro passaggio su queste tristi rive.

il monticiano ha detto...

Che mondo infame. Storie che fanno rabbrividire di sdegno e non solo. Ma io dico solo parole che non contano nulla. Il dramma rimane.

catone ha detto...

Rimane il dramma, ma è importante parlarne per non dimenticare, un domani. Proprio, caro Monticiano, come fai tu con i tuoi ricordi.

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