sabato 28 febbraio 2009

CARNEVALE DI BUSSETO

verdi

Ultimo appuntamento domenica 1 marzo al

Gran Carnevale della Risata


PROGRAMMA

La Musica
PREMIATA SOCIETA' FILARMONICA
"A. DEL BRAVO"
La Scala San Miniato (PI)
Fu nel 1912 che questa filarmonica ricevette una medaglia d'oro ancora presente nel gonfalone che la rappresenta. Nonostante le guerre e gli eventi storici susseguitesi in tanti anni e agli inevitabili cambiamenti che la storia porta, ha mantenuto fino ad oggi la benemerita istituzione che sotto la direzione del Maestro Duilio Negri è diventata uno dei "Gruppi Folkloristici" più apprezzato in Italia e anche all'estero.


LA MONTESINA
Santa Maria a Monte (PI)
La Montesina" è un gruppo composto da majorettes, dalla parte musicale diretta dal Maestro Buonaccorsi Gabriele e da strumenti folkloristici ispirati dalle tradizioni artigianali del luogo.
Nacque nel 1970 dalla volontà di alcuni santamariammontesi di portare un po' del loro paese in giro per il mondo, e così è stato.
In questi 34 anni di attività ha partecipato alle maggiori manifestazioni, tra le quali:
Ha partecipato a trasmissioni televisive come "BUONA DOMENICA" su CANALE 5, "25 ANNI DI CRONACA ITALIANA", "PIACERE RAI UNO", e "SERATA D'0NORE", su RAIUNO.
E' apparsa in diversi film come: "IL SERGENTE ROMPIGLIONE DIVENTA CAPORALE", con Franco Franchi, "BOMBER" con Bud Spencer, "DON CAMILLO" con Terence Hill e Andy Luotto, "GOOD MORNING BABILONIA", dei Fratelli Taviani.

Animazione in maschera
COMITATO BENEFICO CARNEVALESCO
"EL VESCOVO DE PORTA VESCOVO"
VERONA
In occasione del Carnevale Veronese 2002-2003, per volontà di alcune persone desiderose di valorizzare e distinguere la zona di Porta Vescovo a Verona, si pensò di far nascere una maschera che si potesse identificare con personaggi nati da realtà storiche che hanno dato nome alla Porta Vescovo.
Con molta discrezione si cominciò col creare la maschera principale, il VESCOVO, il quale, coadiuvato dal suo seguito di FRATI e SUORE, iniziò a sfilare alle manifestazioni carnevalesche, con molto apprezzamento da parte del pubblico.
La finalità è quella di promuovere il rione e la sua gente, per garantire la presenza delle maschere in tutte le manifestazioni e, secondo lo scopo principale, di essere un comitato benefico senza scopo di lucro a promozione del sano divertimento e dell'allegria e di iniziative benefiche nel sociale


Musica dal vivo
BROCK ASSHOLE
Noceto (PR) e dintorni
Cover rock e commerciale
Scuola di Musica
DO RE MIUSIC
Busseto (PR)
con la partecipazione di Stefano Capelli

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Direttamente da PAPERISSIMA festeggiano al Carnevale
di Busseto i 20 anni di attività a bordo del loro Carro i PROVOLONI


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Vi ricordate "Herbie" - il maggiolino tutto matto?
Al Carnevale di Busseto, domenica 1 Marzo 2009,
sfilerà un vero e proprio serpentone colorato al ritmo di clacson e musica.
Il grande raduno dei maggiolini è in arrivo nella piazza del paese.
Faranno un tour dei luoghi verdiani con rientro in piazza G. Verdi per l'aperitvo.
Nel pomeriggio durante la sfilata del Gran Carnevale
è in programma un corteo di tutti i maggioloni
in parata davanti al grande carro del maggiolino.
· Ore 10.00: ritrovo in Piazza Giuseppe Verdi.
· Ore 10.30: saluto delle autorità e consegna targa ricordo.
· Ore 11.00: Tour dei Luoghi Verdiani in parata.
· Ore 12.30: sosta esposizione in Piazza Giuseppe Verdi, pranzo offerto dall'Associazione "Amici della Cartapesta" (max 2 persone per equipaggio).
· Ore 15.30: Grande sfilata all'interno del Gran Carnevale di Busseto.




BUON DIVERTIMENTO

U RAZZISMU


Il fatto di cronaca : Nella cittadina tedesca di Rosenheim, il lavoratore siciliano Nunzio Lìcari di Catenanova è stato ucciso in una domenica del 1974 dal tedesco Bergauer, di 21 anni, che lo ha brutalmente assalito con pugni e calci lasciandolo moribondo sulla strada. L'assassino ha dichiarato alla polizia che non conosceva la sua vittima e che aveva commesso l'omicidio perché si era accorto che si trattava di un italiano. “io – ha aggiunto – non posso soffrire gli stranieri.” Il giornale bavarese “Münchener Merkur” nel riportare l'avvenimento commenta che l'odio razziale, soprattutto contro gli italiani, è alla base del delitto. Nunzio Lìcari era padre di cinque figli e aveva avuto un passato di miseria.

U RAZZISMU


Era unu di chiddi, e sunnu tanti,
i canuscemu di facci e pirsuna;
ca partinu ca sorti d'emigranti
ncerca di pani e ncerca di furtuna;
e c'è cu i chiama zingari e cu i chiama
genti du Sud parenti da fami.

Era unu di chiddi du travagghiu
c'havia i manu ricchi e i vrazza sani;
e na ciuccata dintra senza scagghiu
senza muddíchi e né crusti di pani,
e la ciocca aggiuccata cu la vozza
vúncia di chiantu nni li cannarozza.

Era sicilianu e carni nostra
Nunziu Lìcari di Catinanova;
di picciriddu sucava culostra
nta scorcia di sò matri, comu ova;
di granni appi spini e appi chiova
ventu e timpesta e mai un'arba nova.

E da Germania, pi disfiziu e pena,
scrivía littri d'amuri e di focu:
“Si manciu o bivu agghiuttu vilenu,
semu spartuti ma u me cori è ddocu.
Cca sugnu un straniu, carni senza prezzu,
súcanu sangu e dunanu disprezzu.”

C'è cu ritorna e c'è cu non ritorna
e lassa l'ossa dintra li mineri;
cu chiudi l'occhi e chiudi li sò jorna
senza li figghi allatu e la muggheri;
e c'è cu resta ddà mortu ammazzatu
di manu strània supra i nciacatàtu.

Unu di chisti fu Nunziu Lìcari,
ora a famigghia ci arrivanu l'ossa;
e i picciriddi c'aspettanu u patri
tàlianu a casa e ci pari na fossa:
scrivía littri, ora a littra è iddu
ammazzatu nnuccenti e a sangu friddu.


Ignazio Buttitta



In Italiano:
IL RAZZISMO

Era uno di quelli, e sono tanti,
li conosciamo di faccia e di persona,
che partono con il destino d'emigrante
in cerca di pane e di fortuna;
c'è chi li chiama zingari e chi li chiama
gente del Sud parenti della fame.

Era uno di quelli del lavoro
che aveva mani ricche e braccia sane;
una covata in una casa senza becchime
senza molliche e senza croste di pane;
e la chioccia accucciata con il gozzo
gonfia di pianto nella strozza.

Era siciliano e carne nostra
Nunzio Lìcari di Catenanova;
da bambino succhiava colostro
nel guscio della madre, come uova;
da grande ebbe spine ed ebbe chiodi
vento e tempesta e mai un'alba nuova.

Dalla Germania avvilito per la pena,
scriveva lettere d'amore e di fuoco:
“Se mangio o bevo inghiotto del veleno,
siamo divisi ma il mio cuore è con voi.
Qui sono un estraneo, carne senza prezzo,
succhiano sangue e mi danno disprezzo.”

C'è chi ritorna, c'è chi non ritorna
e lascia l'ossa dentro la miniera;
chi chiude gli occhi e chiude i suoi giorni
senza i figli e senza moglie vicino;
e c'è chi resta lì morto ammazzato
da una mano straniera sopra il selciato.

Uno di questi fu Nunzio Lìcari,
adesso alla famiglia arrivano le ossa;
e i bambini che aspettano il padre
guardano la casa e gli pare una fossa:
scriveva lettere, ora la lettera è lui
ammazzato innocente e a sangue freddo.

( Poesia tratta da Il poeta in piazza , Feltrinelli editrice, Milano 1974.)


venerdì 27 febbraio 2009

ARANCE AMARE PER I BRACCIANTI IMMIGRATI

arance

Costretti a vivere in capannoni abbandonati, senza luce né acqua. Impiegati in nero, alla giornata, per una paga che raramente supera i 25 euro. Sono i raccoglitori delle arance della campagna tra Rosarno, San Ferdinando e Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria. Sono almeno 2.000. Sono tutti immigrati: ghanesi, marocchini, ivoriani, maliani, sudanesi. E quasi tutti senza documenti. È una storia che dura da vent'anni. Arrivano a dicembre, per l'inizio della raccolta dei mandarini. E vanno via a marzo, dopo la raccolta delle arance.

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Quest'anno però la stampa nazionale si è accorta di loro. È successo lo scorso 13 dicembre, quando alcune centinaia di immigrati africani hanno marciato verso il centro di Rosarno, sfasciando qualche cassonetto per protesta. Il giorno prima, due ragazzi ivoriani di 20 e 21 anni erano stati feriti dagli spari di una pistola. Una ritorsione, secondo gli inquirenti, dopo una rapina andata male. A un mese dai fatti, siamo tornati a Rosarno. Abbiamo visitato le baraccopoli. Siamo usciti all'alba sulle piazze dove si cerca lavoro. E abbiamo scoperto una situazione molto complessa. Dove i proprietari degli aranceti sono i figli dei braccianti che fecero le lotte per le occupazioni delle terre dopo il fascismo. Dove ogni domenica una signora di 85 anni prepara da mangiare agli immigrati che vivono nella vecchia fabbrica in città. E dove un gruppo di avvocati sta cercando di aiutare gli immigrati senza documenti, che qua sono praticamente tutti.

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Eppure le contraddizioni restano. L'emergenza abitativa nelle baraccopoli ricavate dentro le due vecchie fabbriche alla Rognetta e alla Cartiera è evidente. Mancano servizi igienici, acqua corrente, elettricità e riscaldamento. “Molti si ammalano qui”, dice Saverio Bellizzi, coordinatore del progetto a Rosarno di Medici senza frontiere. Le condizioni di lavoro sono dure. Ma non c'è lo stesso caporalato della Puglia. La maggior parte delle aziende agricole sono di piccoli produttori. Che vengono direttamente in piazza, ogni mattina, a caricare i quattro o cinque braccianti di cui avranno bisogno per al massimo una settimana. E non sono nemmeno negrieri. In una diffusa economia sommersa, qua il lavoro nero è la norma. E la paga di 25 – 28 euro per le otto ore di lavoro, non è così distante dai 32 euro negoziati dal contratto provinciale di Reggio Calabria. I produttori risparmiano soprattutto sui contributi. Un lavoratore in regola costerebbe sui 40 euro lordi. Ma il settore degli agrumi è in profonda crisi. Le clementine si riescono ancora a vendere a 28 centesimi al chilo. Ma il prezzo delle arance è crollato a 7 centesimi. Eppure nei supermercati si comprano a oltre un euro. Colpa dei tanti passaggi della trasformazione. E di un cartello che – in terra di mafia – ha bloccato lo sviluppo delle cooperative create negli anni passati dai piccoli produttori.

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Così lo sfruttamento – come un domino – si ripercuote sull'ultimo anello della catena: i lavoratori. Assunti senza tutela. Anche nel caso dei comunitari, che vengono ingaggiati, per non aver problemi con l'ispettorato del lavoro, ma ai quali non sempre vengono pagate le effettive giornate di lavoro. Senza parlare dei non comunitari. Quasi tutti senza permesso di soggiorno. Quasi tutti non potranno regolarizzarsi per i prossimi dieci anni, avendo ricevuto un decreto di espulsione con divieto di reingresso in Italia. E allora il problema sembra trascendere Rosarno. C'è in Italia un esercito di uomini illegali, costretti alla clandestinità dai meccanismi della legge sull'immigrazione, che vagano da una campagna all'altra del sud. Seguendo le stagioni: i pomodori a Foggia, le arance a Rosarno, le primizie a Caserta, la olive ad Alcamo, le patate a Cassibile. E vanno così a tappare i buchi di un agricoltura che al sud è sempre più in crisi. In quello stesso sud che dopo la seconda guerra mondiale si distinse per le dure lotte contadine del movimento delle occupazioni delle terre.

giovedì 26 febbraio 2009

LA SCHIAVITÙ NON È UN RICORDO

Seguendo i giornali, i telegiornali e le truculente dichiarazioni dei rappresentanti del governo, sembra che lo stupro sia divenuto la prima emergenza nazionale. Più degli effetti della crisi economica e morale, delle efferatezze della criminalità organizzata. L'allarme, seguito da severi provvedimenti, scatta soprattutto quando lo stupro è commesso da giovani immigrati. Se commesso da un connazionale al massimo diventa bullismo, disadattamento o cosucce del genere. Con ciò non si vuol negare la necessità di misure adeguate di prevenzione e di repressione per scoraggiare e punire gli autori di tali crimini obbrobriosi, ma rilevare l'enfasi eccessiva che si è voluto dare a questi episodi che, per altro, porta a trascurare fenomeni ben più gravi e diffusi, qual è la riduzione in schiavitù che, anche in Italia, tormenta l'esistenza di migliaia di uomini,donne e di bambini.
Qualche giorno fa, ad Alcamo: una ragazza rumena, con l'aiuto della polizia, è riuscita a liberarsi, speriamo per sempre, dalle grinfie dei suoi aguzzini i quali per costringerla a prostituirsi la tenevano praticamente in condizioni di vera e propria schiavitù. Eppure, consumata la notizia, non è successo nulla. Nessuno ha proposto un decreto contro gli schiavisti italiani e stranieri che controllano un traffico enorme di uomini e donne.
Non è scattata nemmeno quell'indignazione istintiva che è (era?) la controprova della sanità morale di un popolo, di una nazione che, per altro, si professa cattolicissima e devota. Come se in queste nostre società "opulente" anche il sentimento della pietà umana si stesse spegnendo nelle nostre menti alienate e terrorizzate da certa propaganda, a contatto con l'arido deserto creato intorno a noi da egoismi sfrenati e devastanti. E questo un altro aspetto, forse il più inquietante, di questo nuovo ciclo mondiale delle migrazioni che, oltre a creare nuovi dissesti sociali e morali nelle società d'origine e di destinazione, produce forme diverse di schiavitù che, abolita ufficialmente dalla convenzione di Ginevra del 1926, oggi ritorna e si afferma anche nelle nostre civilissime strade..
Chi pensava che fosse definitivamente scomparsa deve ricredersi alla luce di quanto avviene nei mercati del lavoro e dell'emigrazione clandestina che è una variante tragica del primo.
Secondo tali meccanismi, gli individui, soprattutto i più emarginati e discriminati, non sono più esseri umani, ma merce da acquistare e da vendere per pochi euro, bestie da sfruttare e spedire su camion piombati, da traghettare su battelli precari verso i paesi di questo Occidente immemore ed ipocrita.
Una condizione drammatica che i nostri occhi non vedono forse perché abbagliati dal luccichio che promana il dio-mercato che sta stravolgendo il sistema delle relazioni umane e portando il mondo sull'orlo della catastrofe.
Una logica folle che - nel migliore dei casi- considera le persone "capitale umano", "risorsa umana". Una fraseologia "moderna" che, in realtà, serve per edulcorare una concezione abietta che giunge a giustificare, a tollerare, anche la tratta, su vasta scala, di uomini, donne e bambini.
Un commercio turpe, lucroso e criminale che non potrebbe continuare a svolgersi senza la complicità di settori importanti preposti ai controlli e il beneplacito dei grandi utilizzatori finali della "merce".
Una moderna schiavitù che si diffonde in barba alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali e in aperto spregio dei valori umanitari e di libertà che stanno alla base delle nostre Costituzioni e società.
Tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla, sul serio. Lo sa anche il Parlamento italiano che, negli anni scorsi, ha promosso un'interessante indagine sulla "Tratta degli esseri umani" che documenta l'estensione e l'abiezione del fenomeno e contribuisce a ridefinire il concetto stesso di schiavitù alla luce della citata Convenzione di Ginevra e della più recente normativa europea: "La schiavitù è il possesso in un uomo e l'esercizio da parte di questo, sopra un altro uomo, di tutti o di alcuni degli attributi della proprietà. In tal modo, dunque, la schiavitù è identificata come l'espressione suprema della reificazione umana."
La tratta esiste e colpisce diverse categorie di persone ridotte in stato di schiavitù. In Italia, in Europa non nella repubblica centro-africana di Bokassa!
Umiliazione, ingiustizia, sopraffazione. All'interno del nostro mondo "moderno", tecnologico, democratico, ricco, esistono realtà orribili che dovrebbero farci vergognare.
Nel Bel Paese ci sono situazioni da medioevo, schiavi e schiave che fanno parte della nostra vita. Tutti mangiamo pomodori e tutti vediamo le schiave nigeriane, rumene, albanesi, ecc. lungo le strade.




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Provate ad andare, prima dell'alba a Milano, in piazzale Lotto, alla fermata della metropolitana di Famagosta, in piazzale Loreto e negli altri punti della città dove i caporali trovano ogni giorno manodopera fresca e disposta a tutto, che poi viene smistata nei cantieri di Monza, Milano, Bergamo. Su e giù dalle impalcature senza barriere di protezione, senza casco né cinture di sicurezza, lavorando dieci ore al giorno. Tre euro e mezzo all'ora contro i ventidue previsti dal contratto nazionale di lavoro per un manovale: paga a 50 giorni e niente contratto. "Un guadagno enorme per le imprese -dice Paolo Berizzi , giornalista di repubblica, autore del libro denuncia ''Morte a tre euro. Nuovi schiavi nell’Italia del lavoro'' -, enorme quanto l'ipocrisia degli imprenditori, soprattutto del nord, che vogliono cacciare i clandestini. Gli stessi che ogni giorno ingrossano la schiera di lavoratori in nero nei cantieri edili".
Secondo il giornalista, a Milano e provincia gli operai edili sono 120 mila (il 42,3 per cento sono immigrati stranieri, nel 2000 erano solo il 7,1), 60 mila dei quali sono in nero. Tutti gestiti dai caporali. "Lavoro nero, morti bianche e clandestinità -continua Paolo Berizzi- sono fenomeni complementari che si compenetrano l'un l'altro". Stando alle stime ufficiali dell'Inail, nel 2007 nei cantieri italiani sono morti 275 operai , il 35 per cento in più rispetto al 2006. Gli infortuni sono stati quasi 102 mila. Ma questa cifra non tiene conto dei manovali clandestini che, in caso di infortunio, non vanno neanche all'ospedale.

All’Ortomercato di Milano (il più grande d’Italia) poi, il 50% dei caricatori di frutta è clandestino e viene pagato 2 euro e mezzo l’ora.
In Trentino, regione modello, prolifera lo sfruttamento di manodopera in nero per la raccolta di frutta, in Sicilia ci sono i raccoglitori di pomodoro, nelle nostre case ci sono badanti e infermiere dell'Est, che nel 40 % dei casi sono gestite da organizzazioni criminali che trattengono loro parte dello stipendio." Ma l'elenco degli sfruttati non finisce qui e comprende camalli, braccianti, operai e persino bambini dai sette anni in su.

Per quanto riguarda il «commercio» di donne a fini di sfruttamento sessuale , esso è, secondo l’Onu, la terza attività illegale più redditizia al mondo (dopo il traffico di armi e di droga), con un giro di affari stimato attorno ai 12 miliardi di dollari l’anno.

Merce di consumo di una società edonista e mercantile, la donna diventa, da un lato, «capitale» finanziario da sfruttare da parte di organizzazioni malavitose senza scrupoli, dall’altro, oggetto di soddisfazione di desideri e perversioni.

Le chiamano prostitute, quando va bene. Più spesso sono additate con i vocaboli più dispregiativi. In Liguria sono ancora le bagasce, come lo scarto della lavorazione della canna da zucchero. Peggio dei rifiuti, in un immaginario collettivo che ipocritamente getta loro addosso disprezzo e pregiudizio. Come se fosse una libera scelta quella di vendere il proprio corpo. Per molte di loro è una vera e propria schiavitù. Vittime della povertà e dell’ingiustizia, di una vita che non è degna di essere vissuta, innanzitutto nei loro luoghi d’origine, molte di queste ragazze si ritrovano ingannate da promesse fittizie, dal miraggio di un’esistenza migliore, di un altrove fatto di benessere e felicità: finiscono col ritrovarsi schiave sessuali, in una situazione di vulnerabilità e povertà ancora peggiore di quella da cui vengono, sradicate in un Paese straniero, clandestine, senza identità né dignità.

Le chiamano prostitute, ma sarebbe meglio dire prostituite: costrette a vendere il proprio corpo per pagare un debito assurdo, per salvare se stesse e le proprie famiglie, costrette a vendere se stesse, corpi-merce di un traffico che ha preso la forma intollerabile di una delle peggiori schiavitù contemporanee.




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mercoledì 25 febbraio 2009

LA CASA SCORREVOLE

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La Casa scorrevole, di dRMM Architettura, può apparire come un semplice fienile in legno o un capannone, e si potrebbe non essere colpiti da questo - fino a quando non si scopre che contiene una sorpresa all'interno. La progettazione di questa casa è così unica nel suo genere, che non vi è alcun modo di descrivere questa architettura . In realtà, il modo migliore per descriverla è guardare le foto della casa !

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Vedete, quello che sembrano essere pareti esterne e il tetto di una casa sono in realtà una seconda pelle che scivola su un asse longitudinale a rivelare una seconda facciata. Scorrendo avanti e indietro, L’esterno mobile offre ai residenti della casa un’incredibile flessibilità con l'aspetto e il funzionamento di un edificio. L'illuminazione degli spazi interni può essere modificata con il semplice movimento degli esterni. Il trucco architettonico dell’edificio intende anche modificare il carico del riscaldamento e del raffreddamento della casa, che può essere regolato per tutto l'anno.La casa è stata progettata a Londra da de Rijke Marsh Morgan per un cliente che ha voluto una casa di vacanza in campagna. La casa è composta da tre edifici disposti lungo un asse longitudinale, con un garage posto perpendicolarmente, fuori a lato. Un piccolo patio si trova di fronte.

Vetro e gomma rossa sono in sintonia con il legno del tetto e del muro di recinzione per creare una piacevole e modesta struttura che assomiglia alla forma dei fienili e delle stalle del paesaggio rurale. Tutta la casa si trova su una piattaforma, che nasconde in parte il sorprendente meccanismo che consente alla casa di rivelare una seconda facciata.
Il raggiungimento di un risultato flessibile all'interno di stretti vincoli di pianificazione è veramente il segno di grandi architetti.

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LETTERA AD UN FIGLIO NEGATO

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Premessa
Le passeggiate sul molo erano sempre state la sua passione e anche quel pomeriggio d’inverno, durante le festività natalizie, le gambe di Marco lo portavano al molo per fermarsi ad osservare le onde che si infrangevano contro gli scogli e farsi prendere dai propri pensieri.
Nella pace di quella natura, lo squillo del suo cellulare lo irritò, al punto di volerlo spegnere. Visto però che il numero che identificava il chiamante era quello della sua follia d’amore, rispose fremente . Le parole che udiva lo lasciarono senza fiato, con il cuore che batteva come il tamburo di una banda axé. La sua amante era nella condizione di dargli un figlio. Quel figlio che non aveva mai avuto, quel figlio che sua moglie non potava dargli, quel figlio tanto desiderato gli veniva concesso nel modo meno voluto, dal grembo della sua amante. Non pensava alle conseguenze di quanto sarebbe accaduto, era entusiasta, finalmente padre, il lavoro più bello e difficile del mondo.
La voce , dall’altra parte del filo mancante, continuava a proferire parole, ma lui ormai non sentiva più niente, se non la gioia che riempiva tutta la sua anima. Rideva di felicità, si sentiva ora un uomo. La telefonata si interruppe e Marco rimase alcuni minuti ad immaginarsi col figlio tra le sue braccia, mentre se lo coccolava, lo vedeva crescere, gli dava suggerimenti, lo portava a vedere il mare.
Poi d’improvviso il lume della ragione lo raggiunse, lo riportò alla realtà e comincio a riflettere sui mutamenti che questo figlio avrebbe portato nella sua vita: inevitabile fine del suo matrimonio, a cui, nonostante i tradimenti, teneva tantissimo ; dolore provocato alla vera donna della sua vita (sua moglie); situazione futura incerta.
La gioia per la notizia comunque era troppa, richiamò l’amante per gridargliela tutta quella gioia e per farsi ripetere tutte le frasi che non aveva potuto udire, tanto era confuso ed estasiato al momento della notizia. Questa rispose con tono asciutto, quasi amareggiato e gli confidò che, seppure a malincuore, aveva pensato di interrompere quella vita, abortendo.
Marco ascoltava le sue parole di giustificazione, impietrito, la lasciò parlare, bloccato da questo colpo nello stomaco, ed alla fine ciò che ne ricavò era che la situazione familiare di lei non le permetteva di continuare la gravidanza ; il suo convivente non avrebbe tollerato una situazione del genere e fatti due conti lei stava meglio, finanziariamente, dov’era, piuttosto che con lui. Cosa avrebbe potuto darle Marco, oltre al suo morboso attaccamento sessuale?
Marco le gridò tutta la sua contrarietà, perchè un gesto del genere andava contro ai suoi principi morali e perchè la perdita di un figlio tanto desiderato (anche se non cercato con la sua amante) lo lasciava sgomento. Le diceva che in qualche modo le cose si sarebbero sistemate, avrebbe trovato la soluzione al problema, la pregava di non farlo , ma tutto fu inutile. Nonostante telefonate continue, la soluzione peggiore si avverò da lì a pochi giorni. Fu il Natale più brutto della sua vita. Addio.



Lettera di Marco al figlio negato
Caro figlio/a mio/a,
non ho molte parole da dirti, ma sappi che, da quel giorno, tu sei sempre stato nel mio stanco cuore. Non so immaginarti se non adagiato su una nuvoletta bianca ad osservare questo padre gonfio di dolore . Avrei voluto darti tutto l’amore che un padre sa dare, avrei voluto portarti con me in giro per il mondo a conoscere le bellezze di questa terra, avrei voluto insegnarti ad essere sempre onesto con te stesso e con gli altri, avrei voluto ……
Non voglio dare la colpa a nessuno, la fragilità, l’ ipocrisia e l’egoismo umano hanno fatto sì che tu non nascessi. Forse la colpa è tutta mia che non ho saputo …..
Mi sembra, a volte, di poterti parlare, confidarti le mie ansie e i miei timori, ascoltare i tuoi consigli. E’ avvenuto uno strano scambio di ruoli: io sono diventato il figlio e tu il genitore che indirizza sulla retta via un figlio scapestrato e disorientato. Hai saputo darmi l’amore di cui io avrei voluto circondarti, per proteggerti dalle avversità della vita. Con la tua scomparsa, la mia esistenza ha subito uno strappo mai ricucito, ma tu mi hai trasmesso i sentimenti più nobili per continuare ad andare avanti su un cammino di lealtà e sincerità.
Non ho molte parole da dirti, ma ho tanto amore per te.

Ciao, bambino/a mio/a. Sogna con me.


lunedì 23 febbraio 2009

IL LIMBO DI HASANKEYF

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Il documentario HASANKEYF WAITING LIFE, una produzione Hagam per la regia di Mauro Colombo, presentato il 22 dicembre 2008 a Varese, per la prima volta, cala nella quotidianità della vita del villaggio un conflitto più grande, dove la storia si scontra con la modernità, gli interessi nazionali con quelli locali, l'esigenza di crescita personale con la preservazione delle proprie radici.
Nel triangolo compreso tra le città di Diyarbakir, Batman e Mardin, il villaggio di Hasankeyf rappresenta uno dei tesori storico-artistici della Turchia sud-orientale. Uno dei più antichi insediamenti della Mesopotomia come recitano le guide turistiche che attribuiscono 12.000 anni di storia a questo villaggio che per la sua gran parte è abbarbicato sulle sponde rocciose della riva destra del Tigri, che qui scorre largo e veloce. “E’ il luogo dove si incontrano le culture provenienti dall’Asia Centrale, dall’Iran, dalla Mesopotamia con quelle provenienti da Occidente” ricorda il professor Arik dell’Università di Canakkale, che ad Hasankeyf scava dal 1985.
Le migliaia di grotte, ancora abitate fino a pochi decenni fa, che scavano lo sperone di roccia che troneggia sul paese testimoniano di quanto antiche siano le tracce di insediamenti umani. I resti della rocca che sovrastano il paese ci ricordano come questa parte della Mesopotamia sia stata a lungo contesa tra Bizantini e i Sassanidi, prima che a partire dal 638 d.C. fossero popolazioni islamiche, iraniche, curde, arabe e turche a contendersi la regione. Una sovrapposizione di civiltà e culture che hanno lasciato ampie tracce del loro passaggio.
A cominciare dalle arcate che stanno maliconicamente piantate al centro del letto del Tigri, ricordo di uno ponte costruito nel 1100 e poi in parte andato distrutto nel 16° secolo. Oppure l’elegante silhouette del minareto della moschea El-Rizk che svetta tra le case del paese. Sulla riva opposta del Tigri poi si erge, nella sua orgogliosa solitudine, la turbe (tomba) che Mehmet il Lungo, capostipite della tribù turcomanna del Montone Bianco, ha voluto erigere intorno al 1400 al figlio maggiore Zeynel, morto in giovane età. Sulla cupola sono ancora visibili alcune delle tessere di ceramica azzurra che un tempo la ricoprivano completamente, testimonianza dei legami con la cultura persiana dell’architetto che l’ha realizzata.
Su questo gioiello della cultura mesopotamica, inserito in un contesto di grande ricchezza naturalistica quale quello della valle del Tigri, incombe però da più di cinquant’anni lo spettro dell’annientamento. Risalgono infatti al 1954 i primi passi per la elaborazione del progetto della diga di Ilisu che, una volta completata, sommergerebbe l’intero paese.. Progetti che nel corso degli anni ’70 e ’80 si sono fatti più dettagliati. Nel 1988 lo stato turco ha però dovuto riconoscere l’impossibilità di garantire i finanziamenti necessari. Della diga di Ilisu si è ritornati a parlare nel 1999 con la creazione di un consorzio internazionale, guidato dalla svizzera Sulzer AG, disposto a finanziare e realizzare i lavori. All’epoca però le proteste e le mobilitazioni internazionali avevano fatto desistere dal proposito le ditte coinvolte ed il progetto ancora una volta era finito nel dimenticatoio.
Per poco però, perchè dopo alcuni anni di silenzio, che avevano fatto nascere speranze per un rilancio in chiave turistica di Hasankeyf, le voci di una ripresa dell’attività intorno al progetto della diga hanno ricominciato da mesi a farsi più insistenti.
La ripresa dell’interesse per la diga di Ilisu coincide con il ritorno nell’agenda politica del paese della questione dello sfruttamento delle acque.
Oggi ad Hasankeyf abitano cinquemila persone, per la maggior parte di origine curda: una comunità che vive come sospesa da quando, nel 1954, nacque il progetto della diga Ilisu, che una volta completata sommergerà Hasankeyf sotto trenta metri d'acqua. Ma ad Hasankeyf tutto continua come se nulla dovesse accadere. I bambini giocano nell'acqua, i più grandi coltivano la terra e portano al pascolo gli animali, le ragazze al fiume mungono le capre, i piccoli ristoranti attendono i turisti che durante l´anno raggiungono Hasankeyf. Non c'è lavoro ad Hasankeyf. Le prospettive di vita sono limitate alla povera realtà del villaggio. Nessuno vuole investire in un turismo che potrebbe diventare florido, se solo il paese tra qualche anno ci fosse ancora. Mentre altrove si decidono le sorti di questo luogo, un'intera comunità vive in un limbo senza reali notizie del loro destino e con un estenuante indecisione su cosa fare.





BOLIVIA, LA TERRA TORNA AI GUARANI

Quarantamila ettari di terreno, dal latifondo boliviano direttamente a disposizione degli indios guaranì. La decisione del governo di Evo Morales ha colpito cinque famiglie del dipartimento di Santa Cruz, covo della rivolta anti-Morales e delle formazioni politiche dei latifondisti boliviani. Uno dei lotti sequestrati e riassegnati era gestito dalla statunitense Custon Larsen Metenbrink, che esercitava la proprietà su un appezzamento di terreno sottratto illegalmente alla 'Riserva privata del patrimonio naturalistico'.
È così che i quarantamila ettari di terreno passeranno dalle cinque famiglie latifondiste a 65 piccoli proprietari terrieri (uno a tredici).

La resistenza alla nuova destinazione delle terre è stata forte e violenta, durata mesi, con casi eclatanti come quello dell'Alto Papetì, dove ancora si registrano

casi di schiavitù

proprio fra le popolazioni guaranì.
Proprio il vice ministro delle Terre, Alejandro Almaraz ha dichiarato all'agenzia boliviana Abi che risulta oltremodo grottesco vedere come alcuni dei latifondisti abbiano parlato di ingiustizie e di scarsa tutela ricevuta nei tribunali, quando non si contano le testimonianze di violenze, frustate e flagellazioni sui contadini nelle piazze pubbliche dei paesini, proprio per mano loro.

La terra torna agli indios a poche settimane dalla approvazione della nuova Costituzione voluta fortemente da Evo Morales. Grazie all'approvazione della nuova Charta si è messo fine allo strapotere dei latifondisti: il voto ha infatti stabilito che la proprietà privata di terra non dovrà superare i 5mila ettari. In questo modo si eliminerà progressivamente il latifondo.

domenica 22 febbraio 2009

AFRICA, OTTIMA DISCARICA

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I Paesi ricchi dicono no ai rifiuti «scomodi». I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive Ue, decontaminare e disporre dei residui tossici costa oltre mille dollari alla tonnellata, mentre i «pirati della spazzatura» offrono prezzi dieci volte più bassi. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, ossia quelle tossiche, come i rifiuti elettronici - dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri - viene per la quasi totalità spedito per mare ai Paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi-pirata. Il business dei rifiuti tossici è globale. La produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Il materiale tossico si divide in rifiuti riciclabili e non riciclabili: i primi partono per l’India e la Cina, dove sono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto. Da un’indagine del Times emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo e anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa.
L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero. Negli anni Novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesuma. Nel 2000 lo Zambia riceve in «dono» barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli sono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga, Gazet van Antwerpen, informa che sono riusciti a riesumarla e mangiarla.

Un giro d’affari enorme.

E' di questi giorni la notizia che tonnellate di rifiuti tossici, provenienti da discariche municipali della Gran Bretagna vengono regolarmente spedite in Africa, in flagrante violazione dell’obbligo che il paese s’è dato di smaltire in maniera sicura vecchi televisori, computer, congegni elettronici ed elettrodomestici dismessi. È quanto risulta da un’indagine condotta dal quotidiano The Independent, Sky News e l’associazione ambientalista Greenpeace. Centinaia di migliaia di questi ormai ingombranti simboli di sviluppo e benessere (ogni anno, la Gran Bretagna ne scarta 940mila tonnellate), che per legge dovrebbero essere smantellati e riciclati da ditte specializzate, vengono messi in container e spediti in nazioni africane, quali Nigeria e Ghana. Qui – denuncia l’indagine – non sono consegnati a ditte specializzate nella gestione di rifiuti pericolosi, ma abbandonati in immense discariche. Discariche che sono il “posto di lavoro” di migliaia di ragazzi e bambini, che sbarcano il lunario nel recuperare da questi oggetti le parti metalliche, per rivenderle sul mercato locale.

Gli autori dell’inchiesta, dopo aver installato un dispositivo di navigazione satellitare (Gps) in un televisore rotto, hanno portato l’apparecchio presso il servizio di riciclo di Basingstoke, gestito dal consiglio di amministrazione della contea di Hampshire. L’azienda di riciclo, la BJ Electronics, invece di smantellare la tv in Gran Bretagna (o almeno in Europa, come vorrebbe il regolamento europeo), l’ha esportata. Grazie al sistema Gps, hanno potuto seguire il lungo viaggio del televisore. Un viaggio che ha dell’inverosimile. Il televisore, acquistato da un rivenditore di elettrodomestici usati di Londra, è stato messo in un container, portato al porto di Tilbury (Essex), caricato su una nave diretta a Lagos (dove ogni giorno giungono circa 15 container pieni di apparecchiature elettroniche usate provenienti dall’Europa e dall’Asia) e rimesso in vendita nel mercato di elettronici di Alaba, un quartiere della città nigeriana. Ovviamente, non tutte le apparecchiature spedite via container in Nigeria sono riparabili. Oltre un terzo di esse è degno soltanto di una discarica, facilmente reperibile alla periferia di una qualsiasi grande città del paese. Pertanto, il cosiddetto “mercato dell’usato” si rivela un ottimo metodo di smaltimento dei rifiuti tossici.

Martin Hojsik, di Greenpeace, ha commentato: «Le aziende britanniche possono fermare questo traffico illegale di sostanze tossiche soltanto facendo in modo che i loro prodotti non contengano componenti pericolosi. È importante che sia le imprese sia il governo si assumano la piena responsabilità di un riciclaggio controllato e sicuro di ciò che viene prodotto nel paese e pongano fine a questa nefasta tendenza di scaricare i nostri rifiuti all’estero. Evitando così che giovani lavoratori – spesso bambini – continuino a essere esposti a pericolosi cocktail di sostanze nocive per la loro salute».

E dove finiscono i nostri apparecchi tecnologici? Ce lo siamo mai chiesto? Sono convinto che facciano la stessa fine. La nostra tanto declamata civiltà, non solo ha sfruttato in passato , e continua a farlo tuttora, gli esseri umani e le risorse naturali del continente nero, ma usa MamaAfrica come la discarica dei nostri residui tossici.

Quanta umanità nella nostra civiltà!

CAMBOGIA: ALLA SBARRA IL SIGNORE DELLA MORTE DI PHNOM PENH

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Ogni sera Him Huy studiava la lista dei condannati che da lì a poche ore avrebbe dovuto uccidere. Sarebbero stati scaricati da un carro e messi in fila lungo una buca scavata in un campo alle porte di Phnom Penh. Alla nuca dei prigionieri terrorizzati e tremanti avrebbe sferrato "uno, a volte due" colpi con una spranga di ferro. Non importava se fossero uomini, donne o bambini; né se fossero veri 'traditori' della rivoluzione dei Khmer Rossi o semplici insegnanti la cui unica colpa era di portare gli occhiali e, per questo, di appartenere alla 'casta' degli intellettuali borghesi. E ogni volta si chiedeva se l'indomani quella sorte sarebbe toccata a lui. Him Huy era uno dei boia di Tuol Sleng, la famigerata Security Prison 21, un ex liceo trasformato in carcere e centro di torture per quanti, secondo il regime di Pol Pot, meritavano di morire. Il suo direttore, Kaing Guek Eay, è stato martedì 17 il primo Khmer a finire sotto processo per crimini contro l'umanita' in un processo a lungo atteso, ma che molti temono possa risolversi in una farsa costruita per accontentare quell'80 per cento della popolazione cambogiana che si sente vittima dei Khmer e lucrare sul bilancio di 56 milioni di dollari stanziati per il procedimento. Kang Kek, meglio conosciuto come 'il compagno Duch' e' uno dei cinque leader del vecchio regime oggi in carcere. Gli altri quattro sono in attesa di giudizio. Fra i teste chiave nel dibattimento vi sarà Vann Nath, uno dei sette sopravvissuti alla prigione S-21 nella quale tra il 1975 e il 1979 morirono piu' di 17mila persone. Di questi sette solo tre sono ancora vivi. 'Duch' - 66 anni - dovrà rispondere di "crimini di guerra" e di "crimini contro l'umanità". Sul suo capo pende l'accusa di aver ordinato torture, stupri e piu' di cento omicidi al giorno. E' il primo procedimento in assoluto a carico di un esponente di prima fila dei khmer rossi; esso si terrà presso il Tribunale speciale della Corte di Cambogia, un organismo creato e sostenuto dalle Nazioni Unite, al quale è affidato il compito di giudicare i crimini compiuti dal regime di Pol Pot negli anni '70. La storia del compagno "Duch" e' legata, nel bene e nel male, alla sorte di Vann Nath, la cui vita ha ispirato un documentario sui massacri perpetrati dai Khmer Rossi. Nel 2010 dovrebbe iniziare il processo a carico di altre quattro figure di primo piano del regime. Essi sono: Khieu Samphan, 77 anni, ex capo di Stato; Ieng Sary, 83 anni, Ministro degli esteri; Ieng Thirith, 76 anni, moglie di Sary e Ministro per gli affari sociali; Nuon Chea, 82 anni, ideologo del regime e soprannominato "fratello numero 2". Pol Pot, il sanguinario dittatore conosciuto come "fratello numero 1" è morto il 15 aprile del 1998, senza aver mai risposto delle atrocità commesse. Il tribunale chiamato a giudicare i crimini in Cambogia e' stato creato nel maggio 2006, dopo otto anni di trattative tra Phnom Penh e le Nazioni Unite, che hanno fatto mettere in dubbio la volontà del governo di renderlo operativo. Il Consiglio supremo della magistratura ha approvato la nomina di 17 giudici cambogiani e 13 di altri Paesi. Nel 2008 il tribunale speciale ha attraversato una profonda crisi finanziaria: il fondo originario di 56 milioni di dollari stanziato per i primi tre anni e' risultato insufficiente, i costi sono lievitati a causa delle numerose udienze preliminari volute dai giudici e permane il pericolo che gli sforzi fatti sinora per mettere alla sbarra gli esponenti del regime risultino vani. Il dramma cambogiano resta ancora una ferita aperta nel Paese: secondo un recente sondaggio l'80% delle persone si sente "vittima dei crimini" compiuti dai Khmer Rossi, alcuni dei quali però - soprattutto fra gli esponenti di secondo grado e i quadri del vecchio regime - occupano un ruolo attivo nella vita politica del Paese. Essi non hanno alcun interesse ad approfondire indagini per crimini commessi nel passato per connivenza, paura o perchè convinti della follia rivoluzionaria di Pol Pot, che non ha esitato a sterminare quasi due milioni di persone pur di creare "l'uomo nuovo" in Cambogia. Gli imputati hanno anche una età avanzata: alcuni sono gravemente malati e vi è il rischio concreto che non vedano nemmeno la fine del processo.

sabato 21 febbraio 2009

DONGRIA KONDH CONTRO VEDANTA

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Foto di Christa Neuenhofer

I Dongria Kondh, che contano circa 8.000 persone, vivono in India nello stato di Orissa, sulle colline di Niyamgiri. Si considerano i discendenti del dio della montagna sacra, che proteggono da secoli.

I Dongria Kondh sono una delle tribù più isolate del continente indiano e vivono in piccoli villaggi disseminati lungo i pendii delle colline di Niyamgiri, un territorio di spettacolare bellezza, coperto di dense foreste, popolate da una grande varietà di animali tra cui tigri, elefanti e leopardi. Sui fianchi delle colline, i Dongria Kondh coltivano le messi, raccolgono frutti spontanei e selezionano foglie e fiori destinati alla vendita. Lo stile di vita e la religione della tribù hanno protetto le foreste di Niyamgiri per secoli. Ma sulla cima della montagna sacra, sui cui i Dongria credono risieda il loro dio, sono stati individuati vasti giacimenti di bauxite, una roccia sedimentaria da cui si estrae l’alluminio.

La compagnia mineraria britannica Vedanta ha progettato di aprire un’imponente miniera proprio sulla cima della montagna sacra minacciando di devastare le foreste, i fiumi abbondanti che scorrono nel territorio nonchè l’identità e la cultura dei Dongria Kondh. Per costruire una raffineria ai piedi della montagna, molti Dongria sono già stati sfrattati dalle loro case e hanno perso le loro terre e i loro mezzi di sostentamento. Nonostante la Corte Suprema abbia proibito alla Vedanta di effettuare attività minerarie, ha incoraggiato la sua filiale Sterlite a chiedere una concessione a patto di rispettare certi vincoli, tra cui l’erogazione di fondi per “lo sviluppo dei popoli tribali”. Ma nessuno sviluppo e nessun risarcimento potranno mai compensare i problemi generati dall’estrazione della bauxite da Niyamgiri: la distruzione di un ambiente e di una cultura assolutamente unici.

La Corte Suprema dell’India ha dato il via libera alla miniera nell’agosto dello scorso anno, ma Il popolo dei Kondh si oppone con forza e sta cercando di impedire l’ingresso dei macchinari nell’area di Niyamgiri bloccando le strade e organizzando regolari manifestazioni. Sabato scorso, 10.000 dimostranti hanno marciato verso i cancelli della raffineria distruggendo i numerosi cartelli col marchio Vedanta che costellano l’area. Tra i manifestanti centinaia di Dongria Kondh, altri gruppi tribali kondh, agricoltori e avventizi.
Il direttore di Survival Stephen Corry ha commentato oggi: ”Il 2009 potrebbe essere l’anno in cui i Dongria Kondh saranno distrutti come popolo, o quello in cui gli investitori decideranno che nessun genere di profitto valga la distruzione di una tribù che chiede solo di vivere in pace”.
La presenza della Vedanta sulla montagna sacra è pressante. “In passato non c’era nessun governo Vedanta qui” ha dichiarato Lodu Sikaka, un uomo Dongria Kondh. “Eravamo abituati al governo indiano. Poi è arrivata la Vedanta e ha devastato così tante persone. Non ci lascia vivere in pace. Sta uccidendo così tante persone e sta anche spazzando via gli Dei, gli alberi e le colline.”
Recentemente, il deplorevole comportamento della Vedanta in materia di diritti umani ha indotto il gruppo scozzese di investimento Martin Currie, il BP Pension Fund e il governo della Norvegia a vendere le loro ingenti quote azionarie.





venerdì 20 febbraio 2009

MONUMENTO ALLA SCARPA mod.271

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Un monumento alla scarpa più famosa del mondo , il famoso mod.271 dell'azienda turca Baydan, è stato appena inaugurato nella città di Tikrit, Iraq. Il modello di scarpa è uguale a quello del famoso giornalista Muntadhir Al Zaidi. La scultura, realizzata interamente in rame, mostra i sentimenti del popolo iracheno verso Bush e il suo paese.
Vedi anche La creazione dell ' "Ordine di sapato"
Addendum: Il governo iracheno ha ordinato alle autorità provinciali di demolire il monumento. Intanto, il giornalista Al Zaidi Muntadhir è ancora recluso a Baghdad.




DEBUTTO VERDIANO PER LA FISARMONICA DI GALLIANO

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Quarto appuntamento per la nuova Stagione Concertistica del Teatro Verdi di Busseto che venerdì 20 febbraio 2009, alle ore 20.30, vedrà protagonista il celebre Richard Galliano, diretto erede di Astor Piazzolla, che con i Solisti del Teatro Regio di Parma per la prima volta affronta la musica di Giuseppe Verdi e di Traviata in un originalissimo programma che spazia tra pagine di Johann Sebastian Bach e dello stesso Galliano.
“La mia fisarmonica è un vero Stradivari su cui si può suonare di tutto”, dice Richard Galliano che si confronta per la prima volta con la musica del grande compositore di Busseto.
Jazzista di formazione, Galliano ha trasformato la fisarmonica in uno strumento con cui viaggiare con la mente, appropriandosi di Debussy e Ravel, di Parker e Coltrane, del tango e della tradizione popolare francese.
“La fisarmonica è uno strumento molto popolare - racconta il grande solista - la troviamo ovunque dalla Cina alla Russia.
Era sbagliato considerarlo uno strumento esclusivamente legato alla tradizione. Ho capito che dovevo percorrere un’altra strada e mettermi a cercare, dopo il mio incontro con Piazzolla, che mi ha spinto soprattutto a essere me stesso”.
Così è stato per il musicista francese che incontra a Busseto I Solisti del Teatro Regio di Parma in un appassionante viaggio di esplorazione che tocca Johann Sebastian Bach e anche Piazzolla, con il celebre Oblivion.
Francese della Costa Azzurra, ma di origini italiane, assurto in pochissimi anni ai vertici mondiali del jazz, Galliano é il principale artefice del rilancio a tutto campo della fisarmonica quale strumento dalle molte capacità espressive. Sue sono la Petite Suite Française e La valse a Margaux che fanno parte del concerto, concluso dalla elaborazione originale del Preludio del primo atto de La Traviata, per fisarmonica e quintetto. Con Galliano suonano Michelangelo Mazza, Sara Sternieri (violini), Olga Arzilli (viola), Massimo Tannoia (violoncello), Ferruccio Francia (contrabbasso).

La Stagione Concertistica 2009 del Teatro Verdi di Busseto è realizzata dal Comune di Busseto con il sostegno di Fondazione Cariparma. Per informazioni: Comune di Busseto Piazza Giuseppe Verdi, 10 Tel. 0524 91445 – 931706 www.comune.busseto.pr.it (abbonamento platea/palco intero € 130,00, ridotto € 75,00; abbonamento loggione € 75,00; biglietto platea/palco intero € 25,00, ridotto € 15,00; biglietto loggione € 15,00). I biglietti a prezzo ridotto sono riservati agli studenti fino a 25 anni di età e agli iscritti all’Associazione DO-RE-MiUSIC e all’Associazione Bandistica “Giuseppe Verdi” di Busseto.

giovedì 19 febbraio 2009

CARNEVALE ATTO 3°

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22 FEBBRAIO 2009


Lo spettacolo



GRUPPO FOLKLORISTICO MUSICALE ITALIANO
Musica e folclore italiano
di Palazzuolo Sul Senio (FI)
Formato da circa 28 esecutori musicali e da 5 S'ciucaren (persone che "schioccano la frusta" a tempo di musica).
Il repertorio musicale del gruppo è formato da brani marciabili e folcloristici: gli S'ciucaren fanno schioccare le loro fruste sottolineando ritmicamente le musiche eseguite dalla banda creando in questo modo uno spettacolo unico nel suo genere e apprezzato in tutto il mondo;


GLI S'CIUCAREN (SCHIOCCATORI DI FRUSTA A TEMPO DI MUSICA)
Facendo roteare le fruste, il punto terminale supera e "sfonda" il muro del suono (oltre 1.200 Km orari).
E' l'unico caso in cui, con la sola forza umana, si riesce a far superare ad un oggetto tale velocità.
Il punto terminale è chiamato, in dialetto romagnolo, "schiocchino" e di conseguenza coloro che fanno "schioccare" la frusta vengono definiti "sciucaren"

Il gruppo folcloristico ZUM ZUM
proviene da Manaus, capitale dello stato di Amazzonia Brasiliana,
situata nel pieno centro della foresta pluviale equatoriale.
Il gruppo è formato da 14 artisti tra percussionisti,
ballerini e splendide ballerine che si esibiscono
nei loro scintillanti e coloratissimi costumi tipici.


La Corrida mascherata
Paolo ed Elena Show
Sfidano i tempi con le loro attrazioni antiche,
regalando a tutti i bambini palloncini colorati


Musica dal vivo
SLIDE A di Collecchio (PR)
Rock e cover varie
Scuola di Musica
DO RE MIUSIC
Busseto (PR)
con la partecipazione di Stefano Capelli

MALI, SCOCCA L'ORA DELLA PACE

Centinaia di guerriglieri Tuareg abbandonano le armi in una cerimonia a Kidal

In centinaia si sono presentati stamani, alle porte della città di Kidal. Hanno deposto le loro armi e, a bordo di pick-up, sono giunti nel centro della città, dove una folla festante li ha accolti inneggiando alla pace riconquistata. Così circa 700 guerriglieri Tuareg, protagonisti di una rivolta che negli ultimi anni ha insanguinato la parte nordorientale del Mali, hanno sancito simbolicamente la loro entrata nel processo di pace, già sposato negli anni scorsi da altre formazioni armate. Un passo in avanti importante, anche se alcuni uomini rimasti fedeli al leader ribelle Ibrahim Ag Bahanga hanno deciso di continuare la lotta.


Soldato maliano

Maggiori investimenti nelle regioni da loro abitate, più autonomia politica e maggiore peso decisionale a livello regionale. Così si possono riassumere le richieste dei ribelli Tuareg, le cui insurrezioni armate hanno interessato i territori di Mali e Niger dagli anni Sessanta fino ad oggi. Ribellioni volta per volta conclusesi con accordi di pace che, secondo i guerriglieri Tuareg, sarebbero stati sistematicamente disattesi dai rispettivi governi. L'ultima rivolta in Mali, costata la vita a centinaia di persone, ha impiegato severamente l'esercito maliano per due anni, nonostante nelle ultime settimane le sorti del conflitto siano girate decisamente dalla parte delle Forze Armate.
In base agli accordi di pace, buona parte dei guerriglieri Tuareg verrà integrata nelle Forze Armate e nell'amministrazione civile. A supervisionare l'implementazione corretta degli accordi ci sarà l'Algeria, già mediatrice tra Tuareg e rispettivi governi durante le rivolte degli anni Ottanta e Novanta e presente oggi alla cerimonia di Kidal. A questo punto, in armi rimangono solamente gli uomini facenti parte a Ibrahim Ag Bahanga, già in passato ribellatosi contro il governo, e che al momento si ritiene possa essere fuggito all'estero. L'ex-leader della guerriglia sembra comunque aver perso molta dell'influenza di cui un tempo godeva tra i ribelli.


Il monumento alla pace a Timbuctù

Se in Mali la situazione volge al meglio, non così si può dire del Niger, dove una serie di gruppi armati Tuareg continuano a combattere contro l'esercito di Niamey. Una ribellione più pericolosa di quella maliana, anche perché interessa un'area più sensibile dal punto di vista economico, che ospita ricchi giacimenti di uranio dati in concessione alla francese Areva e ad una serie di compagnie cinesi. Le due ribellioni, nonostante in alcuni casi abbiano condotto delle operazioni congiunte, sono generalmente rimaste separate. Perciò la fine dell'insurrezione maliana non necessariamente avrà effetti su quella ancora attiva in Niger.
Matteo Fagotto

SRI LANKA, IL MASSACRO CONTINUA

A differenza della stampa internazionale, che nelle ultime settimane ha dato conto sia delle stragi di civili tamil causate dagli indiscriminati bombardamenti governativi che delle accuse alle Tigri tamil di impedire la fuga dei civili usandoli come 'scudi umani', la stampa italiana ha sistematicamente ignorato i gravi crimini di guerra commessi dal governo 'amico' dello Sri Lanka, dando risalto solo alle accuse contro i ribelli.



Onu: due pesi e due misure. Le Nazioni Unite, dopo aver ripetutamente denunciato - assieme alla Croce Rossa Internazionale - i bombardamenti sui campi profughi e sugli ospedali, pur senza accusare esplicitamente il governo di Colombo, nei giorni scorsi ha ufficialmente accusato i guerriglieri dell'Ltte di sparare sui civili che cercano di scappare dalla zona dei bombardamenti e di reclutare minorenni per combattere.
"Come mai - abbiamo chiesto al portavoce dell'Onu in Sri Lanka, Gordon Weiss - denunciando i bombardamenti sui civili non avete mosso accuse contro il governo, pur essendo chiare le sue responsabilità, mentre ora siete così fermi nel denunciare i crimini dei ribelli?". "Purtroppo non posso dare una risposa ufficiale a questa domanda - ha dichiarato Weiss a PeaceReporter - ma penso che potete trarre da soli le vostre conclusioni".
"Possiamo dire che avete scelto di non criticare il governo per non rischiare di essere costretti a interrompere le vostre attività nel Paese".
"Mmmmh... qualcosa del genere", ha detto Weiss.





Ancora bombardamenti sui civili. Secondo il sito Internet filo-ribelle TamilNet, oggi i caccia-bombardieri 'Kfir' dell'aviazione governativa avrebbe sganciato decine di bombe a grappolo su un accampamento di sfollati a Iranaipalai, a ridosso della nuova zona di sicurezza costiera dichiarata dal governo a nord di Mullaitivu, dove si sono ammassati oltre 100 mila sfollati, senza assistenza medicine e senza nemmeno acqua potabile. L'artiglieria governativa avrebbe poi bombardato la stessa 'no fire zone'.
Secondo i medici del piccolo ospedale da campo di Puthumathalan - che si trova all'interno della zona di sicurezza - questi bombardamenti avrbbero causato almeno 100 morti civili e centinaia di feriti. Vittime che si andrebbero ad aggiungere ai 160 morti civili di martedì e agli altri 275 registrati tra sabato e lunedì.
Sarasi Wijeratne, portavoce della Croce Rossa Internazionale in Sri Lanka, ha dichiarato a PeaceReporter che il loro personale sta cercando di verificare queste informazioni - finora i bilanci delle vittime civili riportati da TamilNet sono sempre stati confermati sia dall'Onu che dall'Icrc.
Una cosa è certa: sulla stampa italiana non ci sarà una riga su tutto questo.

Enrico Piovesana





DA CIUDAD DEL ESTE


Un caos infernale. Solo così si può descrivere Ciudad del Este, cittadina di frontiera con Brasile e Argentina a circa 350 chilometri a est di Asuncion. Siamo nel pieno della famosa Tripla Frontera, conosciuta al mondo perché crocevia dei più schifosi affari del pianeta.

Questa è una città totalmente dedicata al commercio: apre alle 6 del mattino e chiude alle 16. Solo alle 16.01 si svuota completamente assumendo il volto di paesone normale. Incredibilmente, però da quest'ora fino alla mattina seguente si vedono per le strade solo cambiavaluta e mototaxi che effettuano il trasporto fino a Foz de Iguacu, in Brasile, collegato al Paraguay da un ponte, il Ponte de la Amistad. Ciudad del Este è un porto franco e proprio per questo i prezzi di computers, videocamere, macchine fotografiche digitali, telefoni cellulari, abbigliamento e cd musicali, sono molto più bassi rispetto a tutto il resto del Paese e del continente.

In questa località arrivano turisti da tutto il Sudamerica. Intere famiglie cariche di borsoni contenenti i più disparati oggetti tecnologici sgomitano lungo la strada per aprirsi varchi. C'è talmente tanta gente e tanto traffico che i taxi nel centro città non possono passare, tantomeno sarebbe pensabile sostare. Ma Ciudad del Este è anche il paradiso del falso. Qui tutto (praticamente) è falso: abbigliamento, calzature delle più prestigiose marche, cd musicali e dvd.

Quasi nessuno dei commercianti della città dichiara al fisco i suoi proventi: in questo modo molti "importanti personaggi" si sono arricchiti in modo esagerato. E si sono costruiti ville da sogno con parchi enormi e guardie private armate fino ai denti.
In questa località arriva dalla Scozia un'infinità quantità di whiskey. Si ferma qualche giorno, giusto il tempo per falsificare i documenti di viaggio o qualche fattura, e poi via verso il brasile. In Paraguay si dice che ogni bambino nasce con in mano 3 litri di questo forte liquore. E non è difficile vedere lungo il ponte dell'Amistad contrabbandieri gettare dal ponte stesso enormi pacchi destinati a piccole imbarcazioni ferme nel fiume sottostante: un modo come un altro per far passare tanta merce che alla dogana brasiliana avrebbe un enorme costo d'ingresso. E poliziotti che vedono tutto cosa dicono? Non dicono nulla, assolutamente nulla. Anche questa complicità fra delinquenti e autorità, rende Ciudad del Este il paradiso del contrabbando.



I CONTRASTI DI MOMBAY

contrastiA sinistra, interni del nuovo palazzo di Mukesh Ambani. A destra, lo slum di Dharavi

In questi giorni, grazie anche al successo del film Slumdog Millionaire, si parla molto delle condizioni di estremo disagio in cui versa gran parte della popolazione di Bombay. Secondo gli ultimi dati ufficiali forniti dal Comune, nella capitale finanziaria dell’India il 47% della popolazione (circa 9,5 milioni di persone) vive negli slums. Nel più grande (ma non il più povero) di essi, Dharavi, si stima siano ammassate, in poco più di un chilometro quadrato, oltre 600 mila persone, quasi il doppio della popolazione dell’intera Firenze. Altre autorevoli stime parlano di almeno 1 milione di persone. Gran parte di questi slums sono ufficiali (le relative “case” sono quindi registrate al catasto), ma altre decine di migliaia di persone - non censite - versano in condizioni ancora più disagiate, non possedendo praticamente nulla, e sono quindi costrette a dormire sui marciapiedi.

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Il progetto della "casa" da 2 miliardi di dollari di Mukesh Ambani in costruzione a Bombay. Mukesh Ambani é l’uomo più ricco dell’India e dell’intera Asia, con un patrimonio stimato recentemente da Forbes di 50 miliardi di dollari (il quarto al mondo). E’ famoso, oltre che la clamorosa rottura con il fratello Anil alla morte del padre con conseguente divisione del gruppo Reliance, anche per i costosissimi regali alla moglie Tina: l’ultimo, in ordine di tempo, uno yatch di 100 metri costato 35 milioni di euro.

Mukesh Ambani, che attualmente divide un palazzo di 17 piani con il fratello nella zona di Cuffe Parade, qualche anno fa decise di costruirsi una magione all’altezza del suo standing. Comprato un antico orfanotrofio in una delle strade più eleganti ed esclusive di South Bombay, l’allora tranquilla Altamount Road, e rasolo al suolo (nonostante lo status di heritage building), ha fatto iniziare la costruzione della sua nuova casa, Antilia, un grattacielo il cui costo complessivo é stimato, secondo quanto riportato dal Times of India, in 2 miliardi di dollari. La casa più costosa del pianeta.

Il progetto di Antilla, quasi ultimato, ha caratteristiche faraoniche: 600 persone di servizio (per una famiglia di 5 persone), 27 piani soltanto ma con soffitti da 8 metri (equivalenti all’altezza di un palazzo di 60 piani), 3 eliporti, sei piani di garage interno per 170 autovetture, 3 piani dedicati a cinema, teatro, piscina e health club.

L’attuale Primo Ministro indiano, Manmohan Singh, ha più volte caldamente suggerito ai milionari del Paese (dei dieci uomini più ricchi al mondo 4 sono indiani) di adottare stili di vita austeri e moderati, anche per evitare contrasti sociali con la maggioranza della popolazione, tuttora relegata ai margini della vita economica del Paese.





SUDAN: MANCATA PROTEZIONE DEI CIVILI IN DARFUR

Questa immagine di esseri umani vaganti nel nulla serve, da sola, a descrivere la condizione di disumanità in cui è precipitata la vita in Darfur. Ma, come sempre, tante promesse di aiuto e poche azioni concrete.
Amnesty International ha criticato la comunità internazionale per la mancanza di passi avanti nella protezione dei civili in Darfur a oltre un anno, ormai, dall'invio della forza congiunta di peacekeeping Onu-Unione africana (Unamid). L'organizzazione per i diritti umani ha rinnovato la richiesta che l'Unamid riceva truppe e risorse essenziali, come gli elicotteri, per poter svolgere il proprio mandato.
"La promessa fatta alla popolazione del Darfur, che sarebbe stata protetta grazie alla presenza della forza di peacekeeping, è risultata vuota: le risorse a disposizione dell'Unamid sono cronicamente inadeguate e gli attacchi contro i civili, comprese le uccisioni, proseguono" - ha denunciato Tawanda Hondora, vicedirettore del programma Africa di Amnesty International. "Le donne sono ancora esposte al rischio di stupri e altri atti di violenza sessuale. Il clima d'insicurezza e d'impunità resta dominante".
"I recenti combattimenti di Muhajeriya sono stati solo gli ultimi di una serie di scontri tra forze governative e i gruppi armati di opposizione che hanno provocato decine di morti e costretto migliaia di persone alla fuga" - ha proseguito Hondora.
Amnesty International ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di garantire che l'Unamid riceva le risorse essenziali che erano state promesse quando la forza congiunta di peacekeeping subentrò, alla fine del 2007, all'Amis, la Missione dell'Unione africana in Sudan.
"Le parole, da sole, non bastano. Non serve a niente deplorare la violenza in Darfur e dispiegare una forza di peacekeeping mal equipaggiata. L'Unamid dev'essere messa in grado di proteggere tanto sé stessa quanto la popolazione del Darfur. È semplicemente inaccettabile che a oltre un anno dal suo dispiegamento, i civili vivano ancora in pericolo" - ha concluso Hondora.
Amnesty International ha chiesto ai paesi che si sono impegnati a mettere a disposizione dell'Unamid truppe e altro personale, di garantire che questi ricevano addestramento adeguato e siano tempestivamente inviati in Darfur. L'organizzazione per i diritti umani ha poi chiesto a tutti i paesi della comunità internazionale, in particolar modo agli stati membri del gruppo "Amici dell'Unamid", alla Cina, al Sudafrica e all'Egitto, di usare la propria influenza per garantire che l'Unamid riceva immediatamente l'equipaggiamento militare di cui vi è urgente bisogno. Usa, Cina, Russia, Giappone, Australia, Egitto, Sudafrica e Unione europea, tra gli altri, devono impegnarsi a inviare elicotteri e altre forniture militari essenziali.

MESSICO: SANGUE E COCA

E' una guerra feroce e dimenticata quella dei Narcos nel Messico. Migliaia di morti, cartelli della droga sempre più forti. E la mafia espande il suo potere anche all'estero .


mercoledì 18 febbraio 2009

STOP SEXUAL TOURISM

turismo

Alcuni dati sul turismo sessuale nel mondo

PAESE: Meta turistica

N. baby prostitute/i

Minori sfruttati sessualmente in Thailandia

300.000

Minori sfruttati sessualmente in Brasile

500.000

Minori sfruttati sessualmente nelle Filippine

100.000

Minori sfruttati sessualmente in Nepal

150.000

Minori sfruttati sessualmente in Cina

600.000

Minori sfruttati sessualmente in India

575.000

Minori sfruttati sessualmente nella Rep. Dominicana

30.000

Minori sfruttati sessualmente in Pakistan

40.000

Minori sfruttati sessualmente in Russia

50.000

Minori sfruttati sessualmente nello Sri Lanka

30.000

Minori sfruttati sessualmente in Taiwan

60.000

Minori sfruttati sessualmente in Vietnam

40.000

Minori sfruttati sessualmente in Europa/ Africa

300.000

“Quanto prendi?” “How much?” Non è necessaria la conoscenza delle lingue locali per fare del turismo sessuale. Bastano poche frasi e, in molti paesi, pochi dollari, per avere un incontro sessuale con un minorenne. Sono circa ottantamila gli italiani che si recano in paesi in via di sviluppo per incontri a luci rosse, senza troppi “convenevoli” riguardo all’età di chi si prostituisce. E se il loro numero è in crescita l’età media del turista sessuale invece diminuisce, ed è intorno ai 25-30 anni. Sono stime e dati forniti dall’associazione “legale nel sociale“, che riunisce avvocati impegnati nella cooperazione. Attenzione, il fenomeno include anche i viaggi dei pedofili, che però in percentuale sono una piccola parte, circa il 3 per cento. Il fatto però è che nei paesi in via di sviluppo la maggior parte delle ragazze\i che si prostituiscono ha un’età comunque inferiore ai diciott’anni, ma o ne dichiara di più o comunque il turista “non si pone il problema”. Godere dell’attenzione di un minore costa mediamente 20 dollari. Ma in alcuni paesi, come il Brasile e le Filippine, le tariffe scendono addirittura a cinque dollari. In Thailandia, si arriva anche a 40 dollari mentre nella Repubblica Domenicana si spende al massimo 30 dollari. Cifre del tutto insignificanti per i paesi ricchi ma che rappresentano un’entrata preziosa e ambita nelle comunità povere e disagiate dei paesi in via di sviluppo.

Il legame tra povertà è prostituzione è alta, circa il 90% delle bambine, che entrano nel giro della prostituzione, sono spinte dalla fame, della miseria e della mancanza di lavoro dei loro genitori. A volte molte di queste bambine vengono violentate dentro le loro case e dicono che allora è meglio stare per le strade a fare “sesso” con uno sconosciuto, che essere violentate da uno dei membri della famiglia. Quindi la strada diventa per loro un posto quasi più sicuro delle loro case. Senza parlare poi delle persone che stanno dietro a questi giri, quelli che guadagnano dal loro sfruttamento.

es.: in Brasile, da anni, sono migliaia i ragazzini sfruttati. E altrettanti gli adulti europei implicati. La maggior parte sono italiani. Secondo la Segreteria del Turismo del Rio Grande do Norte, lo stato di cui Natal è capitale, la maggior parte dei turisti che ogni anno arrivano dal Vecchio Continente proviene dal Bel Paese, così come sono italiani coloro che praticano in maggior numero il turismo sessuale, sia con adulti che con minori.Le ultime statistiche della Segreteria speciale dei Diritti Umani della Presidenza della Repubblica del Brasile dicono che 22 municipi del Rio Grande do Norte sono fra i 937 del Paese in cui è praticato lo sfruttamento sessuale di minori con fini commerciali. L’espressione abbraccia un ampio arco di crimini: traffico internazionale di minori per il loro inserimento in reti di prostituzione; sfruttamento di adolescenti all’interno di bordelli; uso di minori per la produzione di film pornografici. Quest’ultimo crimine, nel Rio Grande do Norte, è praticato quasi esclusivamente a Natal e dintorni e in alcune altre località della zona costiera, dove si riversa la stragrande maggioranza dei turisti stranieri. Una buona parte delle adolescenti coinvolte nel turismo sessuale, tuttavia, proviene da municipi dell’interno dove, generalmente, sono già passate per lo sfruttamento in bordelli o per produrre pornografia.

E se fosse tuo figlio?




Articoli collegati: 1) Pedofilia on line 2) La vergogna del Pianeta 3) Contro lo sfruttamento minorile

P.S.: grazie a Sussurri obliqui per lo stimolo a questo post che si inserisce in una catena di post di bloggers uniti per dire No al turismo sessuale





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