martedì 31 marzo 2009

IL GIRONE DEI GOLOSI


Le favelas di Rio assomigliano a un inferno, dove si uccide in nome della cocaina, la droga di cui la classe media va ghiotta.
La Rocinha, la più tristemente famosa delle mille e una favelas che costellano Rio de Janeiro, è ancora una volta teatro di una guerra civile. Mercoledì della scorsa settimana, 250 poliziotti hanno occupato ogni angolo delle sue straducole malandate e hanno improvvisato uno scontro a fuoco interminabile con le bande di narcotrafficanti che da giorni avevano messo a ferro e fuoco la zona per contendersene il controllo.

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L'invasione. Già da sabato, si era trasformata in un poligono di tiro persino la chic Copacabana. Un farwest cominciato nelle favelas dei dintorni e poi dilagato in cinque quartieri della zona sud di Rio, la più ricca. Risultato: 5 morti e 7 feriti. Dopo aver tentato in ogni maniera di placare la guerra tra bande mandando sul posto le truppe scelte abituate a sedare ogni tipo di conflitto in quelle aree dimenticate da dio, le forze dell'ordine hanno deciso di programmare una vera e propria invasione della Rocinha, cuore del conflitto.

"Colpa dei consumatori". Una tonnellata di marijuana, laboratori per la preparazione della cocaina, pistole, fucili e mitragliatori. Questo quanto è stato sequestrato dagli agenti, che si somma ai 19 arresti. Ma la violenza è il metodo giusto per placare un conflitto che si fomenta di povertà ed emarginazione e dilaga con il traffico di una droga, la cocaina, che è il principale divertimento della classe media cittadina? Secondo il segretario di pubblica sicurezza di Rio, José Mariano Beltrame, i principali responsabili sono proprio i consumatori di polvere bianca, perché tutto questo sangue viene versato solo in nome del narcotraffico e dei soldi che porta dove alternative lavorative ce ne sono poche.


La transumanza. "Dove si trovano clienti, ci saranno narcotrafficanti", ripete incessantemente Beltrame, e lo dimostra il fatto che molti narcos ricercati a Rio si sono trasferiti a Macaé o Rio das Otras, nella regione de Los Lagos, zone ricche, dove è il petrolio a far circolare i soldi e dove, quindi, si trovano molti benestanti golosi di polvere bianca. E lì operano già a grandi ritmi, esattamente come nella capitale carioca.
Anche se Rio continuerà a far storia a sé. Perché in questa città dalle mille facce, il male si insinua anche nella parte di quelli che dovrebbero essere "i giusti". Le forze dell'ordine, infatti, continuano a essere bersaglio di molti sospetti e critiche e denunce. È ormai noto, anche grazie a film denuncia quali Ciudade de Dios o Tropa de Elite, che poliziotti all'apparenza irreprensibili non disdegnano intascare ingenti mazzette dai capi banda o imporsi usando metodi brutali come le esecuzioni extragiudiziali, ossia omicidi a sangue freddo. Non solo. In alcune favelas, le bande paramilitari che si oppongono ai narcos per il controllo del territorio spesso sono formate da agenti che la sera dismettono la divisa statale e indossano quella "para" per farsi giustizia e arrotondare un magro stipendio.

I sospetti. È di queste ore, infatti, un documento divulgato da alcune associazioni brasiliane in difesa dei diritti umani che critica la liberazione di poliziotti e militari, arrestati dietro il sospetto di aver assassinato persone in favelas e quartieri poveri.
Il documento è firmato dalla Rete delle Comunità e Movimenti contro la Violenza e chiede che la decisione dei giudici di scarcerare quegli uomini in divisa sia rivista. A favore dell'accusa, infatti, si sommano fatti inquietanti: i testimoni oculari che avrebbero potuto incastrare gli agenti e i militari sono stati assassinati. E questo, in quel far west, pare essere una prassi.




IL G20 E LA TRAPPOLA DEL DEBITO

Londra si prepara al summit dei G20 di giovedì in un clima di tensione che ricorda quello che precedeva il tragico G8 di Genova del 2001. Le autorità danno per scontati violenti disordini in occasione delle proteste del movimento no-global e anti-capitalista che scenderà in piazza con lo slogan "Assalta le banche!". Un esercito di almeno 10 mila agenti antisommossa è pronto a fronteggiare i manifestanti che sfileranno nella capitale britannica.


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Usa ed Europa su posizioni diverse. Una vigilia di tensione non solo per il timore di violenze, ma questa volta anche per i profondi dissensi emersi tra gli stessi 'grandi' sulle ricette per uscire dalla crisi. Mentre gli Stati Uniti - assieme alla Gran Bretagna - puntano tutto sui piani statali di stimolo e di salvataggio, l'Europa continentale - Germania in testa - chiede nuove regole per i mercati finanziari e mette in guardia contro i rischi dell'approccio Usa, definito addirittura "una strada per l'inferno" dal presidente di turno dell'Unione europea, Mirek Topolanek. Secondo i leader del vecchio continente, l'enorme indebitamento pubblico necessario a finanziare piani anti-crisi 'all'americana' getta le basi di una futura crisi ancor più catastrofica di quella attuale.

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Il rischio del super-indebitamento. Il trilione e mezzo di dollari che Bush e Obama hanno finora stanziato nei loro piani di stimolo e di salvataggio sono finanziati con l'emissione di titoli di debito pubblico. Poiché nessuno si illude che siano i cittadini a prestare soldi allo Stato comprando questi titoli (il clamoroso fallimento dell'ultima asta di bond inglesi ne è la riprova), il Tesoro Usa prevede di 'monetizzare' questo megadebito, ovvero di venderlo alla banca centrale, la Federal Reserve, che lo acquisterà emettendo moneta nuova di zecca. Il massiccio aumento della massa monetaria produrrà inevitabilmente due effetti: un forte aumento dei prezzi (la cosiddetta 'imposta da inflazione') e una svalutazione del dollaro che ne minaccerebbe lo status di valuta di riserva internazionale.


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La fine dell'era del dollaro? Se l'effetto iper-inflattivo della monetizzazione del debito preoccupa per le sue esplosive conseguenze sociali, il crollo del biglietto verde fa tremare tutti i Paesi che detengono riserve in dollari: in particolare la Cina, nelle cui casse si sono accumulati oltre un trilione di bond Usa che rischierebbero di diventare carta straccia. Da qui la proposta che la Cina, assieme alla Russia (e all'India, al Brasile, alla Corea del Sud e al Sudafrica), presenterà giovedì al G20 di Londra: abbandonare il dollaro, ormai poco affidabile, come valuta di riserva internazionale, e adottare al suo posto una valuta sovranazionale. I banchieri centrali dei Paesi emergenti propongono di usare il vecchio Sdr (Diritto Speciale di Prelievo), usato fin dagli anni '60 solo per regolare le transazioni interne al Fondo monetario internazionale (Fmi), allargando il paniere di monete su cui viene calcolato il suo valore (oggi solo dollaro, euro, sterlina e yen).


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Verso un nuovo ordine mondiale. Il presidente degli Stati Uniti, ovviamente, ha già bocciato questa proposta: "Non credo ci sia bisogno di una valuta globale: il dollaro è ancora straordinariamente forte", ha dichiarato Obama nei giorni scorsi.
Più possibilista è stato il suo ministro del Tesoro, Timothy Geithner: "Gli Usa sono abbastanza aperti a questa proposta", ha detto parlando a una conferenza del Consiglio delle Relazioni Esetere (Cfr) - che assieme ad altre potenti lobby come la Commissione Trilaterale e il Gruppo Bilderberg hanno sempre sostenuto la necessità di una moneta globale come pilastro di un nuovo ordine mondiale.
Forse questa 'rivoluzione' non vedrà la luce già al G20 di Londra di giovedì, ma appare evidente che alla fine di questa crisi economica (o della prossima) molte cose cambieranno.

Enrico Piovesana




lunedì 30 marzo 2009

I RACCONTI DEL TERRORE NELLA CRISI

I professionisti dell’ottimismo cercano di scorgere una ripresa, una luce in fondo al tunnel della Grande Crisi. Noi, che pure non siamo professionisti del pessimismo, ci limitiamo a osservare sgomenti l’inanità degli sforzi dell’amministrazione Obama, tesa a salvare il sistema senza avere soluzioni. Ancora dollari, migliaia di miliardi (ossia milioni di milioni) sono iniettati nel sistema finanziario in un’operazione disperata di costosissimo “mesmerismo”. Come il signor Valdemar descritto da Edgar Allan Poe, il sistema è morto ma la trance degli infiniti “salvataggi” in limine mortis ci fa giungere ancora le sue voci aspre e spezzate, mentre la decomposizione avanza. Il racconto di Poe si conclude così: «di fronte a tutti i presenti, non rimase che una massa quasi liquida di putridume ributtante, spaventoso». Chiameremo così anche l’inflazione?
Nel giro di pochi mesi, gli Stati Uniti hanno incenerito il denaro di un po’ di generazioni a venire. Il problema della solvibilità dell’Impero più potente della Storia si presenterà ormai con un rendiconto ineludibile. A breve.

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L’economista Paul Krugman, ancora fresco di Nobel, è sempre più sconfortato, di fronte alla coazione a ripetere del Tesoro USA. Uno dopo l’altro, i “bailout” senza fondo vanno a beneficio delle banche e delle assicurazioni. I cinesi cominciano a porre come un’urgenza assoluta la questione della valuta di riferimento mondiale. Il dollaro così com’è non ha più credibilità. Gli USA non puntano nemmeno ai prestiti, come hanno fatto nell’ultimo scellerato decennio. Pensano solo a oliare bene le stampatrici della zecca.
Per la Grande Depressione degli anni trenta la soluzione adottata dagli USA fu il “New Deal”, che fece riacquistare fiducia e speranza al grande malato, con un forte ancoraggio a Main Street anziché a Wall Street. Oggi si punta sulla finanza, nell’idea che ripristinando il credito privato tutta la macchina economica ripartirà. Si tratterebbe di bonificare i bilanci delle banche dai veleni, sgonfiare fino in fondo la bolla dei debiti di chi vive al di sopra dei propri mezzi nella classe media, e lasciare però le banche così come sono, perché presto o tardi riattiveranno il credito. Una cifra pari al PIL degli USA è già stata stanziata allo scopo, un quarto di essa è già stato speso, eppure il credito non riparte. La strategia non serve dunque a questo scopo.
Non c’è più nulla che possa essere in grado di puntellare ideologicamente le dottrine del mercato in piedi fino a pochi mesi fa. Appare solo il potere della Superclasse finanziaria globale in tutta la sua brutalità. L’economia, la vita di miliardi di persone, è di fatto sotto gli effetti di una coercizione istantanea e violenta, «extraeconomica». Di norma nel capitalismo sviluppato la classe dominante usa queste brutalità come «stato di eccezione», mentre fu invece uno dei mezzi principali adottati nel periodo della «accumulazione originaria», per dirla con Marx.
Oggi c’è invece una sorta di «decumulazione originaria», un crollo che non tutti affronteranno con gli stessi mezzi. La Superclasse sta già profittando della sua forza extraeconomica per decidere chi salvare e chi sommergere.
Non si vuole salvare l’economia, si vogliono strappare al tracollo – costi quel che costi – rapporti di forza e di potere. Come si tradurrà una parola come democrazia nel linguaggio delle locuste? Il verso che emettono, per ora, è sempre uno: “bonus”, a dispetto di tutto.
Continuano così la loro vita da nababbi a spese anche dei nostri futuri nipoti, in nome della legalità contrattuale, difesa da squadre di avvocati e da terrificanti giornalisti economici, proprio mentre moltitudini di lavoratori rivedono i contratti e accettano decurtazioni per la terribile congiuntura. Per essi, per i loro contratti da onorare, i milioni di milioni non ci sono.
La Superclasse ha stracciato qualsiasi contratto sociale e parla ancora di legalità, intanto che giustifica lo scandalo del permanere dei propri folli status. Il prossimo passo sarà abbattere anche questo ultimo ridicolo paravento. È vero sì che ci sono già un po’ di rivolte. In Europa dell’Est (l’effimera Nuova Europa decantata da Rumsfeld) son già caduti i governi di tre paesi. Ma non è che si parli troppo di queste ribellioni. Il mainstream informativo tronca e sopisce, e comunque le agitazioni non sono ancora all’altezza della crisi. Di questa crisi.
Così come pochi sanno che i primi 25 manager di hedge fund del mondo, nel 2008, alla facciaccia di tutti, hanno incamerato profitti per oltre 11 miliardi di dollari scommettendo sui disastri di questa o quella economia nazionale. Fra gli scommettitori troviamo il solito George Soros, con 1,1 miliardi di profitti in un anno. Equivalgono a 35mila dollari al secondo, anche quando dorme, anche il sabato e la domenica. Buonanotte.
Lo scandalo dei bonus, però, è solo la bistecchina sapientemente usata per ammansire i frodati e sviare la questione vera. I sovrani della grassazione finanziaria, aggrappati al loro «diritto» ai premi e ululanti contro la “caccia alle streghe”, dovrebbero subire ben altro che la perdita dei bonus, perché gli impegni che avevano assunto non avevano copertura e quindi violavano eccome il diritto. Ma per ora in galera c’è solo il capro espiatorio, un caprone bello grosso per la verità, di nome Bernard Madoff.
Giusto scandalizzarci, insomma, ma non perdiamo di vista il fatto che il sistema non è stato riformato. Sebbene banche e assicurazioni importantissime siano ormai a tutti gli effetti nazionalizzate, sono tuttavia dominate dagli stessi soggetti privati che le avevano guidate fin qui e che continuano a ridistribuirsi cifre immani, lasciando che industrie e società intere vadano in malora.
La AIG – la grande assicurazione che prima dei tanti salvataggi consecutivi non aveva copertura per le scommesse perdute dalle banche - ha trasferito denaro pubblico per oltre 150 miliardi a banche del calibro di Goldman Sachs, Société Générale, Deutsche Bank, Barclays, HSBC e cosi via. Si tratta di rimborsi integrali, 100 centesimi per un dollaro.

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Rendiamoci conto dell’abominio: quel che viene pagato a spese della collettività non sono attivi di bilancio, bensì debiti di gioco. Naturalmente molti hanno perso tutto. Ma non certe banche. AIG è il signor Valdemar dei nostri giorni, non muore ma è morto, perché Goldman Sachs non può morire. Si va oltre il mesmerismo.
Vi aspettereste che aumenti la velocità di circolazione della moneta, che si dia respiro alle industrie e ai mutuatari strangolati. Illusi. Ecco invece Goldman Sachs lanciarsi nelle scommesse del momento, speculazioni letali contro monete, riassicurazioni contro il rischio paese di certe economie nazionali. Ecco i banchieri puntare su aspettative di crolli che si autoadempiono, tutto come prima, per spolpare ancora quel che c’è da spolpare.
Obama ha minacciato fuoco e fiamme contro i bonus. Ma non ha reso illegali i terribili meccanismi della speculazione. Quelli rimangono tutti. Per i pescecani della finanza è un’amnistia di fatto, e la festa continua.
Il senatore indipendente Bernie Sanders, del Vermont, si è accorto dell’assurdità di avere parlamenti che si scannano per giorni nel discutere provvedimenti da qualche decina di milioni, rispettando le delicatezze dei bilanciamenti dei poteri, quando invece la Federal Reserve si inventa in un baleno stanziamenti da trilioni di dollari senza far sapere i destinatari. Il sistema bancario ombra beneficia di un vero e proprio governo ombra con un budget di gran lunga superiore a quello amministrato dai poteri costituzionali, ed è gestito con poteri dittatoriali e meccanismi segreti.
Il collasso globale e i piani di salvataggio hanno gli effetti di un golpe rivoluzionario senza precedenti.
Sulle istituzioni si forma una banchisa polare che segue alla lentissima nevicata che adagio, per decenni, ha tolto loro qualsiasi calore democratico: oggi – dice Matt Taibbi su «Rolling Stone» - trova la sua consistenza finale «la conquista graduale del governo da parte di una ristretta classe di complici, che usavano il denaro per controllare le elezioni, comprare capacità d’influenza, e indebolire sistematicamente le regole e i limiti per la finanza». Il re e nudo, e se ne frega. L’usura sta compiendo la sua rivoluzione con ingordigia suicida. Edgar Allan Poe non avrebbe potuto immaginare un “personaggio” altrettanto inquietante, così avido, incapace, sconsiderato e criminale quanto il capitalismo terminale. Un capitalismo così mortifero e ghiacciato da non poterlo ancora fissare in un concetto di “normalizzazione”, perché ci introduce comunque a un’epoca di pericolosa instabilità.
In che mani siamo, dunque? Taibbi è drastico: « Queste persone non sono altro che tizi che trasformano i soldi in soldi, al fine di fare più soldi ancora; tutto sommato sono assimilabili alle persone assuefatte al crack o ai maniaci sessuali che ti entrano in casa per rubare le mutande. Eppure è questa la gente nelle cui mani ora riposa l’intero nostro futuro politico.»

di Pino Cabras - Megachip

PREMIO SYMBELMINE

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Schiavi e Servi è stato premiato da E Carmen Sandiego? con il premio Symbelmine. Questo premio è un modo per riconoscere lo sforzo e il lavoro nell'attività giornalistica di altri blog. Inoltre ci permette di raccomandare la visione degli stessi ai lettori del nostro sito.

Ringrazio per il premio ricevuto.


Come tutti i premi di questo genere, è previsto un regolamento: linkare il blog che ti ha consegnato il premio, premiare altri 7 blog meritevoli di questo riconoscimento e comunicare loro che hanno ricevuto tale premio. Infine, facoltativo, esibire il premio sul blog.
Premiamo i seguenti blog:


· Memoriastorica


· Il Senio mormora


· Il blog di Marco Boschini


· Everyone


· Blog di Il Delfino


· Un posto dove appendere il cappello


· SudTerrae

domenica 29 marzo 2009

LA CRISI FINANZIARIA VISTA DA UN UBRIACONE

Gira in Rete questa divertente storiella che spiega in parole povere cosa sta accadendo nel mondo della finanza. Ve la traduco.
Heidi è la proprietaria di un bar a Berlino. Per incrementare le vendite, decide di offrire ai clienti -per la maggior parte ubriaconi perdigiorno- la possibilità di bere pagando in seguito. Tiene i conti su un taccuino, concedendo in pratica agli avventori un mutuo subprime.
Quando la voce si sparge, i clienti affollano il bar di Heidi. Le vendite esplodono. Approfittando della libertà dei clienti di pagare con comodo, Heidi aumenta il prezzo per vino e birra, le bevande più richieste. I suoi profitti crescono.

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Un giovane e dinamico consulente della banca locale si accorge che i debiti degli avventori sono una garanzia per il futuro, e così aumenta il credito di Heidi presso la banca. Non ha ragioni per preoccuparsi, dato che vede i debiti degli alcolisti come garanzia collaterale.
Nella direzione generale della banca, esperti di finanza trasformano gli asset del cliente in Bevibonds, Alcoolbonds e Vomitbonds. I bonds sono poi piazzati sul mercato globale. Nessuno capisce cosa significhino i nomi, o come i bonds siano garantiti. In ogni caso, il prezzo continua a a salire e si vendono alla grande.
Un bel giorno, malgrado il prezzo sia ancora in salita, un manager del rischio alla banca (che viene poi licenziato perché pessimista) decide che è ora di richiedere il pagamento dei debiti contratti dai beoni al bar di Heidi.
Ma loro non possono.
Heidi non riesce a ripagare il suo debito bancario e fa bancarotta. I Bevibonds e gli Alcoolbonds crollano del 95%. I Vomitbonds hanno una migliore performance, e si stabilizzano dopo una perdita dell'80%.
I fornitori di Heidi, che le avevano garantito pagamenti posticipati, e avevano investito nei bonds, si trovano davanti ad un disastro. Il fornitore di vino fallisce, e quello della birra viene acquistato da un concorrente.
La banca, invece, viene salvata dal governo dopo frenetiche consultazioni dei leader dei vari partiti, e i fondi necessari per l'operazione di salvataggio reperiti grazie ad una nuova tassa pagata dagli astemi.

di Debora Billi - da crisis.blogosfere.it.

CHAVEZ ABBATTE LA STATUA DI CRISTOFORO COLOMBO

Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha elogiato pubblicamente la decisione di rimuovere una statua di Cristoforo Colombo da uno dei più celebri parchi di Caracas esprimendo la sua condanna per il navigatore genovese, che ritiene responsabile dell’«invasione» e del «genocidio» compiuti dagli europei in America latina. «Cosa ci sta a fare lì quella statua? Cristoforo Colombo è stato il capo di un’invasione che ha prodotto il genocidio più grande della storia!» ha detto Chavez, commentando la rimozione della statua dal parco del Calvario, dove si trovava dal 1893, per decisione di Fundapatrimono, organismo municipale che gestisce il patrimonio culturale ed architettonico di Caracas.
Nell’ambito del Piano Caracas Socialista, la Fundapatrimonio ha infatti disposto il restauro di tutte le statue ottocentesche del parco, tranne per quella di Colombo, che è stata rimossa ma non tornerà sul suo piedistallo. «Non possiamo andare avanti con il culto di Colombo: per noi è una vergogna quello che ha fatto alla nostra America», ha detto alla stampa Mercedes Otero, presidente dell’ente. Chavez non solo ha approvato la rimozione della statua ma ha anche suggerito come potrebbe essere sostituita in chiave bolivariana, ossia con una scultura che rappresenti «un indio oppure una india, che ci indichino la strada verso la liberazione dei popoli, la strada verso il socialismo».
Non è la prima volta che il presidente venezuelano si scaglia contro Colombo: nell’ottobre del 2003, in occasione del primo «incontro di resistenza e solidarietà delle popolazioni indigene», accusò gli «storici occidentali» di aver falsificato la storia per coprire i crimi della conquista europea dell’America del Sud «che sono stati peggiori di quelli di Hitler». «A che Tribunale internazionale dovremmo portare quegli assassini di bambini, di bambine, che squartavano e friggevano le teste degli indios?», disse allora Chavez, prima di esclamare «viva Toro Seduto, viva Tupac Amaru!» alludendo a due mitici leader di rivolte indigene nel nord e il sud del continente americano.
A Caracas, però, non tutti la pensano come lui: Hannia Gomez, direttrice della Fondazione per la Memoria Urbana, sostiene che la rimozione della statua di Colombo è ingiustificata, giacchè la scultura fa parte del patrimonio artistico ufficiale della capitale, stilato dall’Istituto Nazionale del Patrimonio.
Da parte sua, lo storico Elias Pino Iturrrieta, intervistato dal giornale `El Universal´, ha sottolineato che «non si può rimuovere la storia», e anche se è stabilito che la conquista «è stata una imposizione cruenta, da quel processo storico veniamo tutti noi americani: perfino i parametri morali che usiamo per condannarlo ci vengono dall’Occidente».
D’altra parte non è la prima volta che un monumento a Colombo viene abbattuto. Il 12 ottobre del 2004 venne abbattuta a furor di popolo la statua che sovrastava la Passeggiata Colombo di Caracas. Di seguito le immagini odierne e del passato.


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Il piedistallo “orfano” della statua di Colombo nel parco el Calvario in una foto scattata il 20 marzo


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La statua di Colombo sovrastava la scalinata del parco El Calvario

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L’abbattimento di un’altra statua di Colombo, sempre a Caracas, in Paseo Colon, il 12 ottobre del 2004

L’ACQUA È UN BISOGNO, MA NON UN DIRITTO


Si sono svolti in contemporanea a Istanbul il Forum Mondiale ufficiale dell’acqua e il contro forum della società civile e dei movimenti per l’acqua. Entrambi hanno discusso dei problemi legati alle risorse idriche, ma le conclusioni sono diverse.
Si è concluso domenica 22 marzo il People's Water Forum organizzato dalla società civile ad Istanbul, in parallelo al quinto Forum Mondiale dell'Acqua. Centinaia di delegati di associazioni, movimenti e sindacati hanno ribadito che l'acqua è un bene comune ed un diritto fondamentale, facendo appello ai governi affinché il forum sia trasferito in sede ONU attraverso un processo partecipativo ed inclusivo. Durante le numerose conferenze, i partecipanti giunti ad Istanbul da 70 diversi paesi, hanno condiviso esperienze di lotta per rendere l’acqua pubblica, buone pratiche di gestione partecipata, e strategie di pressione verso governi ed enti locali che hanno portato alcuni paesi dell'America latina a riconoscere nella Costituzione che l'acqua è un diritto umano, ed una città come Parigi a tornare, a partire dal 2010, ad una gestione pubblica dei servizi idrici.
Un riconoscimento particolare è andato alla società civile turca, che in pochi mesi è riuscita a costruire una nuova fondamentale tappa per il movimento, non senza difficoltà che hanno impedito la creazione di un fronte unico. Sono state infatti due distinte piattaforme ad animare il forum alternativo a causa del mancato accordo sul dirimente tema delle dighe in Turchia, fortemente intrecciato con la questione curda. Il governo turco è infatti deciso a portare avanti un progetto di sfruttamento dei bacini del sud est dell'Anatolia – meglio noto compe progetto GAP- per la produzione di energia elettrica e la creazione di infrastrutture irrigue. Un progetto dagli impatti ambientali e sociali devastanti, che sommergerà siti archeologici antichissimi, provocherà il dislocamento di decine di villaggi curdi, e cambierà radicalmente l'ecosistema della regione.
L’aspetto ambientale è risultato essere un problema comune, condiviso durante i diversi workshop con i rappresentanti delle associazioni africane e dell'America latina, dove il paradigma delle grandi dighe minaccia la sicurezza alimentare e l'accesso all'acqua di numerose popolazioni indigene e persino l'ecosistema dell'incontaminata Patagonia. Su un punto però l'accordo è stato unanime. Il Consiglio Mondiale dell'Acqua, promotore del forum dal 1997, è un organo illegittimo guidato dagli interessi delle multinazionali dell'acqua. Il fatto che il presidente sia Loïc Fauchon, numero uno della Società Idrica di Marsiglia, sussidiaria delle due più grandi multinazionali del settore, Veolia e Suez, la dice lunga sui veri scopi di questa organizzazione: continuare a promuovere i processi di privatizzazione dell'acqua nel nord e nel sud del mondo e la costruzione delle grandi infrastrutture idriche ad opera delle compagnie occidentali. Una lobby molto pericolosa che è riuscita a far confluire ad Istanbul moltissimi governi ed enti locali di tutto il mondo, che nella dichiarazione finale hanno stigmatizzato l'acqua come un bisogno e non come un diritto inalienabile. Pochi gli enti locali che hanno sottoscritto la dichiarazione e molto importante l'iniziativa dei governi latinoamericani presenti al Forum, che hanno guidato la stesura di un documento alternativo che riconosce l'accesso a l'acqua come un diritto umano fondamentale.
Fino ad ora sono venti i paesi che hanno sottoscritto la dichiarazione alternativa ( fra gli europei solo Spagna e Svizzera) ma il consenso potrebbe crescere nei prossimi mesi. Viva preoccupazione sulla dichiarazione interministeriale è stata espressa dal Presidente Generale dell'Assemblea Generale dell'ONU, Miguel d'Escoto Brockmann, che ha criticato aspramente anche il carattere privatistico ed esclusivo del Forum ufficiale. Le parole di d'Escoto sono arrivate ad Istanbul tramite la consigliera Maude Barlow, che ha partecipato anche ai lavori del forum alternativo facendo appello ad un'alleanza trasversale fra istituzioni e società civile per arrestare questo pericoloso processo di mercificazione dell'acqua. Il tema delle alleanze conclude anche la dichiarazione finale dei movimenti, che hanno richiamato alla necessità di unire le forze con le reti contadine e con chi è impegnato sul fronte del cambiamento climatico. E' sempre più evidente che l'appuntamento del prossimo dicembre a Copenaghen, dove si concluderà il negoziato sul clima, rappresenterà per la società civile globale un momento cruciale.

Caterina Amicucci

sabato 28 marzo 2009

PAESI ANDINI: CONTRO L'IMPOSIZIONE DI TRATTATI COMMERCIALI DA PARTE DELL'EUROPA

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Gli indigeni analizzano in Perù gli effetti del Trattato di Libero Commercio con l'Unione Europea - Sotto gli auspici del Movimiento Cumbre de los Pueblos (riunitosi l'ultima volta a nel maggio 208 a Lima), rappresentanti indigeni di diverse organizzazioni si sono riuniti a partire dallo scorso martedì per valutare gli effetti di un’eventuale firma dell'accordo commerciale che stanno negoziando a Lima gli stati di Colombia, Ecuador e Perù insieme all'Unione Europea (UE).

Nell'incontro, le organizzazioni e comunità partecipanti vogliono delineare una proposta “per la vera integrazione dai popoli e per i popoli”, così come illustrare l'impatto del TLC in discussione con l'Unione Europea sui diritti indigeni e sociali. Lo scenario è la capitale peruviana, dove le organizzazioni intendono inoltre studiare gli effetti del riscaldamento globale.
Così ha affermato Roberto Espinoza, coordinatore tecnico del Coordinamento Andino di Organizzazioni Indigene (CAOI), una delle organizzazioni presenti ai lavori, il quale ha criticato il Trattato di Libero Commercio che queste nazioni vogliono discutere.
Espinoza ha sottolineato che le principali obiezioni al TLC derivano dal fatto che “l'UE continua a condizionare il Perù e i paesi andini in temi strategici come investimenti, servizi pubblici, finanze e mercati finanziari. Si tratta di un TLC classico e non di un accordo di associazione”, senza altri obiettivi se non quelli commerciali.
Ha aggiunto che si pretende di costruire un sistema nel quale i paesi “non potranno regolamentare (nei propri ordinamenti giuridici) l'attività delle transnazionali europee perché dovranno assoggettarsi ai tribunali internazionali”.
Uno dei temi di maggiore polemica da parte indigena, tuttavia, è la presunta pretesa dell'UE di rendere più flessibile la disciplina delle licenze industriali fino a “raggiungere il controllo delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali indigene”.
Queste dichiarazioni cadono nel contesto della seconda sessione di negoziati per un accordo commerciale fra europei e Colombia, Ecuador e Perù, cominciata lunedì, nella quale le materie più delicate sono l'accesso ai mercati e la proprietà intellettuale.
Espinoza ha inoltre segnalato che nei giorni di riunione le organizzazioni indigene parleranno anche della petizione contro la criminalizzazione dell'esercizio dei diritti indigeni nei paesi andini, presentata alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani il 20 marzo scorso.

Adital Noticias

Traduzione di Davide Gardina

GLI ALBINI DELL' AFRICA DELL' EST VITTIME DI CACCIATORI

La CNN ha trasmesso un drammatico filmato nel quale illustra il dramma degli albini africani vittime di cacciatori di ''pelle'', che uccidono gli albini per venderne la pelle. Il mondo intero non parla di questo, ignora questa dolorosa vicenda.











Purtroppo i media sono governati da interessi commerciali e si occupano di pettegolezzi. Le notizie vengono nascoste e si evidenziano le non notizie, cioè fatti non avvenuti o usuali o ininfluenti confezionati per dare l' illusione della vera notizia, le iniziative promozionali, la pubblicità, i comunicati di uffici stampa camuffati da notizie. Dove e' l' informazione, cioè la principale produttrice della conoscenza del mondo sociale per la maggior parte delle persone?



venerdì 27 marzo 2009

EARTH HOUR 2009

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Il 28 marzo dalle 20.30 alle 21.30 ora locale. 2.848 città in 83 paesi spegneranno le luci in un gesto di mobilitazione globale. Il numero delle adesioni cresce di ora in ora anche grazie alla rete. Earth Hour si è infatti rivelato uno straordinario evento di comunicazione globale: 1,1 milione di amici nella rete sociale web, ogni 0,8 secondi seguiti online i video di promozione, tra i temi più cliccati su Twitter mentre come termine è apparso nelle ultime 24 ore quasi un milione di volte nel web.
A poche ore dall’evento il WWF ha lanciato un’iniziativa speciale: sarà possibile inviare la propria foto o il video dell'evento: raccontaci anche tu la tua Ora della Terra .
Dalle piccole nazioni insulari del Sud Pacifico alle città più popolose di Asia e America, da Monteriggioni e Loro Piceno a Roma, Milano, Napoli, Venezia e 160 altre in Italia, milioni di persone parteciperanno all’Earth Hour da tutti gli angoli del mondo, dando il loro segnale contro il riscaldamento globale che speriamo i Governi di tutto i mondo accolgano nell’ANNO DEL CLIMA. E già lunedì a Bonn, in Germania, avranno inizio i negoziati che dovranno tracciare l’ossatura e i contenuti del nuovo accordo globale; l’incontro terminerà l’8 aprile, pochi giorni prima di Pasqua. Sarà anche l’esordio del nuovo inviato speciale USA sul Clima, Todd Stern.
66 capitali nazionali e 9 tra le 10 metropoli più popolate del mondo hanno confermato la loro partecipazione all’evento di quest’anno, tra cui: New York, Roma, Sydney, Nairobi, Londra, Atene, Mumbai, Bangkok, Pechino, Il Cairo, Kuala Lumpur, Los Angeles, Parigi, Washington DC, Toronto, Barcellona, Mosca, Rio de Janeiro, Copenaghen, Hong Kong, Singapore, Dubai, Manila, Buenos Aires, Berlino, Città del Messico, Istanbul, Città del Capo.
Icone mondiali come le Piramidi di Giza, il Colosseo, l’Acropoli di Atene, la Cupola di san Pietro si spegneranno per 1 ora insieme a più di 800 monumenti simbolici: la Tour Eiffel a Parigi, la Torre CN a Toronto, lo Stadio Nido d’uccello a Pechino, la Statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro, la Tapei 101 (edificio più alto del mondo), la Torre di Londra e il London Eye – la grande ruota panoramica, lo Stadio del Millennium a Cardiff, l’Empire State Building a New York, l’Acropoli di Atene, le Cascate del Niagara, la Sagrada Famiglia di Gaudì a Barcellona, la Table Mountain a Città del Capo, il Merlion a Singapore, il Golden Gate di San Francisco, l’Arco dello Stadio di Wembley a Londra, l’Arco di Trionfo a Parigi, le Torri Sears a Chicago, il Teatro dell’Opera di Sydney, la Sinfonia di Luci a Hong Kong, le Torri Petronas a Kuala Lumpur, la Strada dei Casinò di Las Vegas, il Castello di Edimburgo. “Spegnendo le luci sabato sera alle 20.30, ovunque voi siate, lancerete un appello fortissimo contro i cambiamenti climatici, che non potrà essere ignorato”, ha detto Andy Ridley, Direttore Esecutivo di Earth Hour.

Gli eventi in Italia


A Roma:

Alle ore 20.30 davanti al Colosseo il Capitano della Roma, Francesco Totti, spegnerà il simbolo della sua città, insieme al Presidente onorario del WWF Italia, Fulco Pratesi, grazie ad un Totem/interruttore che lascerà al buio il monumento per un’ora. Speciali candele Earth Hour verranno distribuite ai presenti. Sarà un’occasione per unire davvero tutti in un grande gesto pacifico a favore del pianeta, dai tifosi alle famiglie e a tutti coloro che vorranno unirsi al festeggiamento. Durante lo spegnimento è previsto un concerto della Stradabanda di Testaccio che intratterrà il pubblico con il suo repertorio di musica tradizional-popolare.

A Venezia:

Una fiaccolata a bordo delle gondole sfilerà davanti al Ponte di Rialto che verrà simbolicamente spento da una delegazione del WWF accompagnata dal Comune della città simbolo dei cambiamenti climatici.





Ringrazio il blog FIGLI DEL VENTO per la segnalazione

PRIMA CONDANNA DI UN BRACCONIERE DI GRANDI SCIMMIE IN CONGO

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Il mondo animalista e ambientalista esulta per la prima condanna ad un anno di prigione di un bracconiere di grandi scimpanzé da parte del Tribunal di grande instance di Brazzaville, la capitale del Congo.
Il trafficante di animali, arrestato nel dicembre 2008, è stato condannato anche al pagamento di una multa da 100.000 franchi Cfa ed al pagamento di danni ed interessi per un ammontare di un milione di franchi Cfa.
Per la Wildlife conservation society (Wcs) e la la Fondation Aspinall «C’è da sperare che questa prima decisione riguardante un trafficante “faunistico” nella Repubblica del Congo apra la strada per numerosi altri procedimenti del genere».
Nel Congo Brazzaville sono infatti pendenti processi per almeno altri 9 trafficanti di grandi scimmie.
Luc Mathot, coordinatore del progetto per la Fondation Aspinall, invita i giornalisti a premere sul governo congolese affinché tenga alta la guardia contro i bracconieri e sottolinea che per la coraggiosa opera di sorveglianza e denuncia di un bracconaggio armato e spregiudicato, «occorre ringraziare soprattutto la Last great ape organization» (un’Ong ambientalistache opera nei Paesi del bacino del Congo, ndr) e in particolare il suo direttore, l’israeliano Ofir Drori ed uno dei suoi assistenti locali: Josias Sipehouo.
Intanto il Projet d’Appui à l’Application de la Loi sur la Faune Sauvage (Palf), gestito dalla Fondation Aspinall e dal Wcs ha ricevuto prima il supporto finanziario del Programma Onu per l’ambiente (15.000 dollari) ed ora dell’United States fish and wildlife Service (circa 50.000 dollari). Il Palf è anche ufficialmente sostenuto dal ministero dell’economia forestale di Brazzaville. Si tratta ora di estenderle il progetto di difesa di gorilla e scimpanzé a tutto il territorio del Congo.

L'Anno del Gorilla è stato lanciato a Roma lo scorso 1 dicembre alla conferenza sul wildlife delle Nazioni Unite da Sua Altezza il Principe Alberto II di Monaco. La campagna vuole contribuire a migliorare la gestione delle popolazioni di primati nazionali e di frontiera, oltre a quelle all'interno dei parchi, rafforzando la cooperazione tra gli Stati e il sostegno ai rangers e agli altri operatori chiave di questo campo.

Dr. Goodall, fondatrice del Jane Goodall Institute e Messaggero di pace per l'ONU, in Asia durante il lancio della Campagna, ha sottolineato l'impatto della povertà sul destino delle grandi scimmie. “Le popolazioni che vivono all'interno o in prossimità delle ultime foreste stanno lottando per sopravvivere,” ha detto Goodall. “Se non potremo aiutare questa gente a trovare un modo di vivere che non costringa a distruggere le foreste, falliremo anche nello sforzo di proteggere queste meravigliose scimmie antropomorfe , gli esseri a noi più simili.”

Esce un anno fa, precisamente il 21 gennaio 2008, su YouTube il documentario di Karl Ammann "Cairo Connection" sul crescente traffico di scimpanzé, gorilla e altre specie a rischio di estinzione per il mercato illegale in Medio Oriente. A distanza di un anno non è cambiato quasi nulla.

GUARDA IL VIDEO (per persone forti di stomaco) http://it.youtube.com/watch?v=j7gsvvzlab8&hl=it

LA CARTA SINTETICA BRASILIANA DI PLASTICA RICICLATA

La notizia era stata data qualche tempo in Brasile da TV Globo ed ora viene confermata da Tierramérica: ricercatori della Universidade Federal de São Carlos Universidad Federal de São hanno realizzato una carta sintetica prodotta con plastica riciclata che potrebbe essere utilizzata per prodotti che richiedono resistenza e durevolezza, come cartelli, etichette, bandiere, imballaggi, quaderni e libri scolastici.
La “scoperta” è il frutto di un lavoro durato 6 anni e che prevede non l’utilizzo di plastica “vergine” (come già avviene per la realizzazione di banconote in alcuni Paesi) ma la plastica per uso domestico che fino ad oggi in America latina viene, quando va bene, avviata in minima parte al riciclo e in gran parte finisce in discarica. Uno dei ricercatori di Brasilia, Oswaldo Danella Júnior, ha spiegato a Tierramérica: «Utilizziamo propilene e polietilene, impiegati su vasta scala come componenti nei contenitori di shampoo, yogurt, margarina, contente nitori per la cucine, ecc. Oltre al vantaggio economico, visto che si consuma meno energia e materia prima, ne beneficia l’ambiente, dato che si riciclano residui che inondano le discariche».
La carta artificiale, attualmente in fase di produzione in un impianto sperimentale avviato nel 2005, può essere stampata con qualunque tipo di inchiostro e pigmenti industriali finora utilizzati nella stampa tradizionale. La fase di sperimentazione sembra ormai finita e il nuovo prodotto è già pronto per una produzione semi-industriale e secondo i suoi realizzatori richiede meno acqua ed energia della produzione della carta da cellulosa: «Dato che il procedimento praticamente non necessita di acqua, se non per lavare i rifiuti plastici, occorre meno acqua. Mentre nel caso della pasta da carta, l’acqua entra nel processo sia nel funzionamento delle segherie, per rimuovere la terra dai tronchi, per il taglio e lo sbiancamento…»
Non tutte le plastiche sono utilizzabili e il progetto esclude esplicitamente nailon, policarbonati ed altri prodotti di sintesi che pure finiscono in discarica, ma che sono meno comuni. Quello a cui si ripunta è il riciclaggio e riuso dei bottiglie di plastica e recipienti per alimenti e prodotti per l’igiene personale.
Secondo quanto scrive il giornale El Comercio «Questa carta resiste di più all’azione del tempo ad all’umidità e può salvare molti alberi. Con 850 chili di plastica riciclata si produce una tonnellata di carta sintetica. Per la carta tradizionale sono necessari 30 alberi». Il brevetto del procedimento produttivo è stato registrato ed ora l’università sta valutando diverse proposte industriali per mettere in produzione il materiale, la gara sembra vinta però dalla Vitopel, che aveva già opzionato il progetto, se non riuscirà a mettere in produzione la carta sintetica, si aprirà una gara tra aziende brasiliane e anche statunitensi.
Il processo sembra semplice: la plastica recuperata viene ripulita triturata e poi mischiata con un «particolare minerale» che da alla carta la lucentezza la bianchezza e l’assorbimento della luce necessari. Altre sostanze danno alla carta sintetica sia la resistenza ai piegamenti che la morbidezza necessarie, poi il tutto viene sottoposto ad alte temperature, raffreddato e macinato finemente. Dai granuli ottenuti viene prodotta la carta sintetica. Resta da capire se anche la “carta sintetica” potrà essere riciclata e riusata…

giovedì 26 marzo 2009

LE AZIENDE ALIMENTARI CONFONDONO I GENITORI

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Secondo un recente rapporto della British Heart Foundation (BHF) , le strategie di vendita adottate dalle industrie del settore alimentare - che, ricorrendo a scappatoie legali, lanciano messaggi ingannevoli sulla salubrità di certi prodotti ad elevato contenuto di grassi, zuccheri e sodio - risultano ingannevoli nei riguardi dei genitori.
Il rapporto, redatto dalla Food Commission per conto della BHF e primo nel suo genere, illustra nello specifico le modalità con cui i prodotti per la colazione e la merenda dei bambini vengono proposti ai genitori.
Questo studio rivela le cinque principali tecniche utilizzate dalle aziende alimentari per far breccia nelle paure e nelle aspirazioni dei genitori, manipolandone la capacità di operare le scelte più idonee per la salute dei figli. Eccole elencate:
- Dichiarare la qualità per nascondere i reali valori nutrizionali. Ad esempio alcune barrette di cereali e cioccolata sono definite "la scelta migliore per uno spuntino leggero" e sulla confezione l'immagine dell'uva e di un sandwich integrale rafforza l'idea di uno snack sano. In realtà le barrette hanno un elevato contenuto di zuccheri - 41g per 100g di prodotto - ma per meglio depistare i genitori viene riportato il fabbisogno nutrizionale giornaliero di un adulto.
- Dichiarare un singolo principio nutrizionale onde distrarre il genitore dal quadro completo. Ad esempio, sulla confezione di un formaggio da spalmare si legge "senza coloranti, conservanti e aromi artificiali" ma con un morso si arriva a coprire quasi un terzo della quota massima giornaliera di grassi saturi prevista per un bambino.
- Dichiarare un singolo beneficio per la salute è un altro sistema ingannevole. La pubblicità di alcuni cereali apparsa sulla rivista Sainsburys sosteneva che tali prodotti contribuiscono a "mantenere sane e forti le ossa dei [vostri] bambini", regalando loro un "risveglio pieno di energia". Non veniva fatto alcun riferimento ai 58,9 g di zucchero nascosti in 100 g di prodotto.
- Far presa sulle emozioni empatizzando con le difficoltà normalmente incontrate dalle madri nella gestione di una famiglia. Nella pubblicità di alcuni filetti di pollo impanati, l'azienda fa leva sul problema delle mamme che chiedono il contributo dei figli nelle faccende domestiche, mostrando alcuni bambini che riordinano volontariamente dopo aver consumato il pasto in questione.
- Utilizzare immagini simboliche per far presa sul genitore ed ingannarlo più facilmente. La pubblicità di un burger al formaggio mostra l'immagine di una mamma possente che dichiara "la battaglia per il pranzo è terminata". L'energica madre, ricoperta di utensili da cucina, invia il messaggio di un pasto sano come quelli fatti in casa, ma in realtà quel burger al formaggio contiene più di un quinto della quota massima giornaliera di grassi saturi prevista per un bambino.
Il rapporto redatto dalla Food Commission fa parte della campagna "Food 4 Thought" [nutrirsi con intelligenza] promossa dalla BHF per combattere l'obesità infantile, allarme sanitario a lungo termine oggi sempre più stringente. Secondo le ultime statistiche, si prevede che entro il 2050 i due terzi della popolazione infantile sarà in sovrappeso o obesa, e che le attuali giovani generazioni saranno le prime ad avere un'aspettativa di vita inferiore a quella dei genitori (1).
Il rapporto inoltre denuncia come le aziende del settore alimentare sfruttino le incongruenze insite nella normativa, per cui se i prodotti ad elevato contenuto di grassi, zuccheri e sodio non dovrebbero essere pubblicizzati durante la messa in onda di programmi per l'infanzia, solo una delle venti trasmissioni più seguite dai bambini si attiene al divieto. Genitori e figli in giovane età sono costantemente bombardati da messaggi pubblicitari fuorvianti messi in onda durante i programmi di prima serata seguito da un pubblico giovane (2).
La BHF ha così presentato al governo la proposta di vietare la messa in onda di spot che promuovano cibo-spazzatura prima delle 21, onde non esporre bambini e genitori a messaggi ingannevoli. Ha inoltre insistito sulla necessità di una normativa più coerente riguardo la promozione del cibo-spazzatura attraverso i media, e sull'obbligo di etichettatura dei prodotti alimentari onde consentire ai genitori di conoscere il valore nutrizionale dei prodotti acquistati per i propri figli.
Peter Hollins, Direttore Generale della BHF, commenta: "È chiaro che le aziende alimentari, per la vendita di prodotti ad elevato contenuto di grassi, zuccheri e sodio, fanno leva sui genitori ricorrendo ad ogni possibile scappatoia legale onde inventare tattiche sempre nuove per allettare bambini e genitori stessi. "Ci siamo rivolti direttamente al governo affinché venga rigorosamente limitata la vendita di prodotti insalubri e perché si adotti un'etichettatura chiara e coerente; abbiamo altresì invitato i genitori ad unirsi a noi nella campagna promossa contro le strategie di mercato che consentono alle aziende di prenderli in giro. Un bambino obeso sarà quasi sicuramente un adulto obeso, con gravi ripercussioni sul futuro tasso di patologie cardiovascolari. Sta a tutti noi fare qualcosa perché ciò non avvenga".
Natasha Hamilton, cantante della nota girl band Atomic Kitten e testimonial della campagna per il 2008 rivela: "Come mamma, sto sempre molto attenta alla salute e al benessere dei miei bambini. Abbiamo una grossa responsabilità nella costruzione del futuro dei nostri figli, ecco perché ho insegnato loro sin da piccolissimi l'importanza di una dieta equilibrata e che il cibo-spazzatura è concesso solo in rare occasioni. Sta a noi genitori mobilitarci sin da subito per la tutela della salute e del benessere dei nostri figli".
L'esempio inglese vale anche per l'Italia

Note
(1) Tackling Obesities: Future Choices, Foresight Report, ottobre 2007
(2) Government must switch on to TV ad failings, says Which?, comunicato stampa del 19 settembre 2008: http://www.which.co.uk/press/press_topics/campaign_news/food/barb_571_156546.jsp
Fonte: http://www.bhf.org/ e http://www.bambinonaturale.it/

IL PRESIDENTE RAJAPAKSA APRE A COLLOQUI CON I POLITICI TAMIL

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Previsto per oggi un incontro con i parlamentari della Tamil National Alliance. Rajapaksa dichiara di essere “interessato a conoscere i punti di vista di tutti i partiti politici”. Intanto il ministro per l’integrazione nazionale afferma che i ribelli tamil hanno ormai perso oltre il 90% dei loro soldati.
Colombo (AsiaNews) – “Il presidente Mahinda Rajapaksa intende discutere una soluzione politica dei conflitti etnici nel nord con i parlamentari della Tamil National Alliance (Tna)”. I colloqui tra i membri del partito vicino alle Tigri tamil e il presidente Rajapaksa sono previsti per domani, 26 marzo, presso la Temple Trees di Colombo, residenza del primo ministro.

La notizia della proposta di incontro giunge mentre l’esercito continua ad affermare che lo scontro con il Liberation Tigers of Tamil Eelam è ormai alla “fase finale” e il neo ministro per l’integrazione nazionale, l’ex comandante ribelle Vinayagamoorthy Muralitharan, dichiara che le Tigri hanno ormai perso più del 90% dei loro soldati.

Rajapaksa ha rivolto l’invito ai politici tamil e musulmani presenti nel parlamento di Colombo e per oggi si attende la loro risposta che, nel caso in cui fosse positiva, riaprirebbe uno spiraglio verso i colloqui di pace tra le due forze in conflitto, dopo il cessate il fuoco del gennaio 2008.

Il comunicato con cui Colombo ha dato notizia della proposta di colloqui, afferma che il presidente “è interessato a conoscere i punti di vista di tutti i partiti politici per arrivare ad un consenso su ogni ipotesi di proposta”.

Rajapaksa intanto ha rivolto a tutti i cittadini un appello a impegnarsi nella ricostruzione del nord dell’isola. In occasione della presentazione del progetto per l’estensione della ferrovia che unisce la capitale Colombo a Jaffna, Rajapaksa ha affermato che “ogni singolo traversina di questa ferrovia può dimostrare l’amore per un Paese unito. Tutti coloro che amano la nazione dovrebbero impegnarsi nella costruzione di questa tratta”.

di Melani Manel Perera

Ma non dimentichiamoci che, a fronte del sorriso del presidente Mahinda Rajapaksa , l'agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef) ha dichiarato che tra i 2.800 civili tamil uccisi negli ultimi due mesi (fonte Ohchr) ci sono "centinaia di bambini" e che "altre migliaia rischiano di morire per mancanza di cibo, acqua e medicine" se non verrà "urgentemente garantito il regolare accesso delle agenzie umanitarie alla zona dei combattimenti". "La situazione umanitaria dei civili tamil peggiora di giorno in giorno", ha dichiarato la Croce Rossa Internazionale (Icrc). "La 'zona di sicurezza' è bombardata quotidianamente, non c'è cibo e la mancanza di acqua e igiene rischia di provocare epidemie".


mercoledì 25 marzo 2009

PENA DI MORTE 2008 : PRIMATO CINESE

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"La pena di morte è la punizione estrema. È crudele, inumana e degradante. Nel XXI secolo non dovrebbe esserci più posto per decapitazioni, sedie elettriche, impiccagioni, iniezioni letali, fucilazioni e lapidazioni"

Secondo il rapporto di Amnesty International, "Condanne a morte ed esecuzioni nel 2008", tra gennaio e dicembre dello scorso anno sono state messe a morte almeno 2390 persone in 25 paesi e sono state emesse almeno 8864 condanne alla pena capitale in 52 paesi. Il 93% delle esecuzioni interessa cinque Paesi. Oltre alla Cina nell’elenco figurano l’Iran (346), l’Arabia Saudita (102), gli Usa (37) e il Pakistan (36).

Il rapporto dell'organizzazione per i diritti umani segnala i paesi in cui sono state emesse condanne a morte al termine di processi iniqui, come Afghanistan, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Nigeria, Sudan e Yemen; l'uso spesso sproporzionato della pena di morte nei confronti di persone povere o appartenenti a minoranze etniche o religiose in paesi come Arabia Saudita, Iran, Stati Uniti d'America e Sudan; il costante rischio che vengano messi a morte innocenti, come dimostrato dal rilascio di quattro prigionieri dai bracci della morte statunitensi. Molti prigionieri subiscono condizioni di detenzione particolarmente dure e sono sottoposti a forte stress psicologico. Ad esempio, in Giappone l'ordine d'impiccagione viene notificato ai prigionieri solo la mattina stessa dell'esecuzione, mentre i familiari vengono informati dopo che questa ha avuto luogo.

"La pena capitale non è solo un atto ma un processo, consentito dalla legge, di terrore fisico e psicologico che culmina con un omicidio commesso dallo stato. A tutto questo dev'essere posta fine" - ha sottolineato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International.

La maggior parte dei paesi del mondo si sta avvicinando all'abolizione della pena di morte: solo 25 dei 59 paesi che ancora la mantengono hanno eseguito condanne nel 2008. Amnesty International ammonisce tuttavia che, nonostante questa tendenza positiva, centinaia e centinaia di condanne a morte continuano a essere emesse in tutto il mondo.

Questi progressi sono stati anche sminuiti dalla ripresa delle esecuzioni a Saint Christopher e Nevis (le prime nel continente americano, esclusi gli Stati Uniti d'America, dal 2003) e dalla reintroduzione della pena di morte in Liberia per i reati di rapina, terrorismo e dirottamento.

"La buona notizia è che le esecuzioni hanno luogo in un piccolo numero di paesi. Questo dimostra che stiamo facendo passi avanti verso un mondo libero dalla pena di morte. La brutta notizia, invece, è che centinaia di persone continuano a essere condannate a morte nei paesi che ancora non hanno formalmente abolito la pena capitale" - ha concluso Khan.

Sommari regione per regione

Il maggior numero di esecuzioni nel 2008 è stato riscontrato in Asia, dove 11 paesi continuano a ricorrere alla pena di morte: Afghanistan (17), Bangladesh (5), Cina, Corea del Nord (15), Giappone (15), Indonesia (10), Malaysia, Mongolia, Pakistan (36), Singapore e Vietnam. Tokyo ha registrato nel 2008 il numero più alto di esecuzioni dal 1975. Solo in Cina hanno avuto luogo quasi tre quarti delle esecuzioni su scala mondiale, 1718 su 2390, dati che si teme potrebbero essere più elevati poiché le informazioni sulle condanne a morte e le esecuzioni restano un segreto di stato. A questi numeri vanno poi aggiunte le sentenze di morte non ancora eseguite, che portano a 8864 il numero accertato delle persone colpite dalla pena capitale. Nella sola Cina tuttavia il numero dei detenuti in attesa di esecuzione è stimato in almeno 7mila persone, cifra che Pechino condivide con Islamabad.

Il secondo maggior numero di esecuzioni, 508, è stato registrato nella regione Africa del Nord - Medio Oriente. In Iran sono state messe a morte almeno 346 persone, tra cui otto minorenni al momento del reato, con metodi che comprendono l'impiccagione e la lapidazione. In Arabia Saudita, le esecuzioni sono state almeno 102, solitamente tramite decapitazione pubblica seguita, in alcuni casi, dalla crocifissione.

Nel continente americano solo gli Stati Uniti d'America hanno continuato a ricorrere con regolarità alla pena di morte, con 37 esecuzioni portate a termine lo scorso anno, la maggior parte delle quali in Texas. Il rilascio di quattro uomini dai bracci della morte ha fatto salire a oltre 120 il numero dei condannati alla pena capitale tornati in libertà dal 1975 perché riconosciuti innocenti. L'unico altro stato in cui sono state eseguite condanne a morte è stato Saint Christopher e Nevis, il primo dell'area caraibica ad aver ripreso le esecuzioni dal 2003.

L'Europa sarebbe una "zona libera dalla pena di morte" se non fosse per la Bielorussia, dove l'uso della pena di morte è avvolto dalla segretezza. Le condanne vengono eseguite con un colpo di pistola alla nuca e non vengono fornite informazioni sulla data dell'esecuzione né sul luogo di sepoltura. Le esecuzioni nell'ex repubblica sovietica sono state quattro.

Nell'Africa sub-sahariana, secondo dati ufficiali, sono state eseguite solo due esecuzioni ma le condanne a morte sono state almeno 362. Quest'area ha registrato un passo indietro, con la reintroduzione della pena di morte in Liberia per i reati di rapina, terrorismo e dirottamento.

Ulteriori informazioni sulla pena di morte nel 2008, tra cui i dati sulle condanne a morte e le esecuzioni, sul numero di paesi abolizionisti e mantenitori e sugli sviluppi dell'ultimo anno, sono disponibili on line.

martedì 24 marzo 2009

MANIFESTO ECOSOCIALISTA

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L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!” In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in modo sostanziale – o meglio ancora, rimpiazzato – se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.

Il secolo XXI è iniziato in toni catastrofici, con un livello senza precedenti di degrado ambientale e di “ordine” mondiale caotico, assediato dal terrore e dai focolai della guerra a bassa intensità (disintegrante) che si estendono come una cancrena lungo vaste aree del pianeta – Africa Centrale, Medio Oriente e nord-est dell’America Meridionale – e si riverberano in tutte le nazioni.

La crisi ecologica e la crisi sociale sono profondamente correlate e vanno viste come manifestazioni distinte delle stesse forze strutturali. In termini generali, la prima è il risultato della industrializzazione galoppante che supera la capacità della Terra di ammortizzare e contenere la destabilizzazione ecologica. La seconda deriva da quella forma di imperialismo, conosciuta come globalizzazione, con i suoi effetti disaggreganti sulle società. Inoltre, queste forze soggiacenti sono, nella loro essenza, aspetti differenti di uno stesso impulso che deve essere identificato come il fattore dinamico centrale che tende alla totalità, cioè all’espansione mondiale del sistema capitalistico.

Rifiutiamo tutti gli eufemismi o la riduzione propagandistica della brutalità di questo regime: tutto l’intento di colorare di verde i suoi costi ecologici, tutta la mistificazione dei costi umani nel nome della democrazia e dei diritti umani. Insistiamo, al contrario, sulla necessità di guardare al capitale dalla prospettiva di ciò che ha realmente provocato.

Per quel che concerne la natura e il suo equilibrio ecologico, questo regime, con il suo imperativo di costante espansione della redditività, espone gli ecosistemi ad agenti contaminanti e destabilizzanti; danneggia gli habitat che si sono evoluti nel corso di milioni di anni permettendo la nascita di organismi; consuma le risorse e riduce la vitalità sensuale della natura al freddo scambio che richiede l’accumulazione del capitale.
Dal punto di vista dell’umanità, con le sue richieste di autodeterminazione, di comunità e di un’esistenza piena di senso, il capitale riduce la maggior parte della popolazione mondiale ad un mero serbatoio di forza-lavoro, mentre scarta la popolazione restante come fastidio inutile. Ha invaso ed eroso l’integrità delle comunità attraverso la sua cultura di massa del consumismo e della spoliticizzazione. Ha esteso le disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fino a livelli senza precedenti nella storia dell’umanità. Ha lavorato in stretto contatto con una rete di stati servili e corrotti, le cui élites locali esercitano la repressione e ne liberano l’infamia. Inoltre ha messo in moto una rete di organizzazioni transnazionali sotto la supervisione generale delle potenze occidentali e della superpotenza degli Stati Uniti, per minare l’autorità della periferia e legarla all’indebitamento, mentre mantiene un enorme apparato militare per garantire l’accordo con il centro capitalista.
L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!” E non è in grado di risolvere la crisi generata dal terrore o da altre forme di ribellione violenta perché, per farlo, dovrebbe abbandonare la logica imperiale, cosa che imporrebbe limiti inaccettabili alla crescita e a tutto il modo di vivere sostenuto dall’esercizio del potere imperiale. La sua unica opzione è ricorrere alla forza bruta, incrementando così l’alienazione e piantando i semi del terrorismo…e dell’ulteriore contro-terrorismo, sviluppandosi fino ad una variante nuova e perversa di fascismo. Insomma, il sistema capitalistico mondiale si trova in una bancarotta storica. Si è trasformato in un impero incapace di adattarsi, il cui gigantismo finisce per lasciare allo scoperto la sua debolezza interna. In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in maniera sostanziale – meglio ancora, rimpiazzato - se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.
In questo modo, ci troviamo di nuovo davanti all’alternativa prospettata una volta da Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie! In questa occasione, il volto della barbarie riflette il marchio del secolo che inizia e assume le sembianze della eco-catastrofe, del terrore e del contro-terrore e della sua degenerazione fascista.

Tuttavia, perché il socialismo, perché rivivere questa parola in apparenza destinata all’immondezzaio della storia, a causa dei fallimenti delle sue interpretazioni nel XX secolo? Solo per una ragione: per quanto sia colpita e lontana dalla realizzazione effettiva, la nozione di socialismo continua ad esprimere il superamento del capitale. Se il capitalismo deve essere superato, compito che in questo momento ritorna urgente per la sopravvivenza della civiltà stessa, il risultato sarà per forza di cose socialista, perché tale è la conclusione che indica l’avanzamento verso una società post-capitalistica. Se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e si frammenta nelle barbarie appena descritte, allora affermiamo anche che è necessario costruire un socialismo capace di superare le crisi che il capitale ha provocato nel tempo. E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, se scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere. Allo stesso modo in cui la barbarie è cambiata in modo da rispecchiare il secolo trascorso dal momento che Luxemburg ha espresso la sua speranzosa alternativa, il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo.
Per questi motivi chiamiamo ecosocialismo una nostra interpretazione del socialismo e abbiamo deciso di dedicarci alla sua realizzazione. Vediamo l’ecosocialismo non come la negazione, ma come la realizzazione dei socialismi del primo periodo del XX secolo, nel contesto della crisi ecologica. Come quei socialismi, il nuovo si costruisce a partire dalla percezione del capitale come lavoro oggettivato e si fonda sul libero sviluppo di tutti i lavoratori o, per dirlo in altre parole, sulla fine della separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione. Comprendiamo che questo obiettivo non ha potuto essere realizzato dai socialismi del primo periodo per ragioni che, sebbene risultino troppo complesse per essere trattate qui, possono riassumersi nei diversi effetti del sottosviluppo in un contesto dominato dall’ostilità dei poteri capitalistici. Questa congiuntura ha avuto numerosi effetti negativi sui socialismi realmente esistenti, in particolar modo per quel che riguarda la negazione della democrazia interna mediante l’emulazione del produttivismo capitalista, e ha finito per condurre al collasso di queste società e alla rovina dei loro ambienti naturali.
L’ecosocialismo mantiene gli obiettivi di emancipazione del socialismo del primo periodo e rifiuta tanto gli scopi riformisti – attenuati – della socialdemocrazia quanto le strutture produttive delle varianti burocratiche del socialismo. Invece insiste nel ridefinire tanto il modo quanto l’obiettivo della produzione socialista in un ambito di riferimento ecologico. Lo fa in maniera specifica per quanto riguarda i limiti della crescita, essenziali per la sostenibilità della società, limiti che, tuttavia, non sono adottati nel senso di imporre scarsità, bassa qualità della vita e repressione. L’obiettivo, al contrario, consiste in una trasformazione delle necessità e in un cambiamento profondo verso la dimensione qualitativa, prendendo le distanze da quella quantitativa. Dal punto di vista della produzione delle merci, questo si traduce in una valorizzazione dei valori d’uso piuttosto che dei valori di scambio – un progetto di vasto significato, basato sull’attività economica immediata.
La generalizzazione della produzione ecologica sotto condizioni socialiste può fornire la base per superare la crisi attuale. Una società di lavoratori liberamente associati non si ferma alla sua democratizzazione. Al contrario, deve insistere sulla liberazione di tutti gli esseri umani come sostegno e come obiettivo. In questo modo supera l’impulso imperialista tanto nell’obiettivo quanto nel soggettivo. Nel raggiungere questa meta, lotta per superare ogni forma di dominazione incluse, in modo particolare, quelle basate sul genere e sulla razza. Supera le condizioni che danno origine alle distorsioni fondamentaliste e alle loro manifestazioni terroristiche.
Nessuno può leggere queste idee senza pensare, in primo luogo, a quanti problemi pratici e teorici possono sorgere da esse e, subito e in maniera scoraggiante, a quanto lontane esse siano rispetto all’assetto attuale del mondo sia per quel che riguarda le istituzioni sia per le forme in cui è presente nella coscienza. Il nostro progetto non consiste né nel delineare ogni passo di questo percorso né nel cedere davanti all’avversario a causa del carattere opprimente del potere che ostenta, ma piuttosto consiste nello sviluppare la logica di una trasformazione sufficiente e necessaria dell’ordine attuale e nell’iniziare a sviluppare le tappe intermedie in direzione di questo obiettivo. Facciamo questo con il proposito di pensare con maggior profondità a queste possibilità e, a tempo debito, cominciare il lavoro del progetto insieme a coloro che condividono queste stesse preoccupazioni.
di Michael Lowy e Joel Kovel tratto da: Ambien-tico

lunedì 23 marzo 2009

LO ZAMPINO D’ISRAELE IN DARFUR

Il mandato di arresto per crimini di guerra e contro l'umanità in Darfur emanato il 4 marzo dalla Corte penale internazionale dell'Aja nei confronti del presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir ha riportato l'attenzione mediatica mondiale sul Paese africano, ricchissimo di petrolio ma ostile all'Occidente. Un'attenzione che però sembra non riguardare i legami tra i ribelli sudanesi del Darfur (anch'essi accusati di crimini di guerra dalla Cpi) e Israele.

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Abdel Wahid al-Nur e il Mossad. Poche settimane prima del clamoroso annuncio della Cpi, Abdel Wahid al-Nur, leader del Movimento di Liberazione del Sudan (Slm) - uno dei due principali gruppi ribelli darfurini - era in Israele per partecipare all'annuale Conferenza di Herzliya sulla sicurezza d'Israele e per incontrare due alti ufficiali del Mossad, i servizi segreti dello Stato ebraico. Oggetto della riunione riservata, secondo il Jerusalem Post, sarebbe stato il contributo dell'Slm alla lotta al contrabbando di armi verso la Striscia di Gaza che, a detta del Mossad, passerebbe proprio dal Sudan. Secondo quotidiano Haaretz, invece, le autorità israeliane si sono rifiutate di rivelare il contenuto della discussione.

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Ufficio Slm a Tel Aviv da un anno. Abdel Wahid al-Nur, che dal 2007 vive in esilio a Parigi, era già venuto in Israele esattamente un anno fa, nel marzo 2008, per inaugurare un ufficio di rappresentanza del suo movimento ribelle a Tel Aviv per aiutare le centinaia di rifugiati politici che hanno trovato protezione in Israele. "Dobbiamo forgiare nuove alleanze, non più basate sulla razza o la religione, bensì sui valori condivisi di libertà e democrazia", dichiarò in quell'occasione Al-Nour. "Il Sudan che sognamo consentirà l'apertura di un'ambasciata d'Israele a Khartoum".


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Armi israeliane al Jem via Francia-Ciad? Negli stessi giorni di febbraio in cui il leader dell'Slm era a colloquio con il Mossad, l'altro gruppo ribelle del Darfur, il Movimento per la Giustizia e l'Eguaglianza (Jem), veniva accusato dal governo sudanese di aver ricevuto ingenti quantitivi di armi da Israele attraverso il governo di Parigi e il contingente militare francese schierato in Ciad (Eufor). Secondo Khartoum, solo grazie alle armi israeliane i ribelli del Jem sono stati in grado di conquistare a gennaio la città di Muhageriya.

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L'altro fronte caldo: il Sud Sudan. Ma la guerra in Darfur, che dal 2003 ha provocato quasi mezzo milione di morti, non è l'unico problema interno del Sudan.
Sotto la cenere cova anche il conflitto in Sud Sudan, finito nel 2005 dopo ventidue anni e quasi due milioni di morti, ma che rischia di riesplodere in occasione del referendum indipendentista del 2011. In vista di questa eventualità, gli ex ribelli cristiani dell'Esercito di Liberazione Popolare del Sudan (Spla) che oggi governano la regione di Juba ma non i suoi giacimenti petroliferi (l'85 percento di quelli sudanesi), si stanno riarmando.


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Armi della 'Faina' agli indipendentisti. A loro, secondo la Bbc, era destinato il carico d'armi (33 carri armati, 150 lanciarazzi e 6 sistemi missilistici antiaerei) che il 12 febbraio la nave cargo ‘MV Faina' ha scaricato al porto di Mombasa, in Kenya, dopo essere stata sotto sequestro da parte dei pirati somali per quattro mesi. Il carico era stato riscattato con il pagamento di 3,2 milioni di dollari da parte del proprietario della nave: l'imprenditore ucraino-israeliano Vadim Alperin, sospettato di essere un ex agente del Mossad.
Attraverso questo stesso canale, il Governo del Sud Sudan (Goss) avrebbe ricevuto altri rifornimenti bellici negli ultimi mesi. Il che non costituisce una novità rispetto al passato: durante la guerra civile lo Spla, oltre ad essere assistito dalle forze speciali Usa, veniva rifornito di armi da Israele, via Etiopia e Uganda.

La corsa all'oro nero del Sudan. Non è un mistero che l'Occidente punti a un cambio di regime a Khartoum per avere un governo sudanese ‘amico' che riveda i contratti petroliferi con la Cina firmati dal presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir. Le leve che Stati Uniti, Europa e Israele stanno usando per rovesciare il suo regime sono il Darfur e il Sud Sudan, le regioni dove si concentrano i principali giacimenti petrolferi.


Enrico Piovesana

domenica 22 marzo 2009

RATZINGER GUARISCE I MALATI!

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Il papa ha deciso di intervenire decisamente, dopo l’illuminazione africana, per debellare finalmente tutte le pandemie mondiali che negli anni hanno ucciso milioni di innocenti.
Perché passare sette interi giorni nei panni della nostra nazione potrebbe essere più faticoso di quanto pensiate.
LUNEDI - Lo staff del Papa suggerisce di iniziare la pratica medica dalle basi, per potersi meglio approcciare al nuovo corso del Vaticano. Ratzinger pertanto si guarda attorno e guardando Padre George starnutire ha l’illuminazione.

Si affaccia al balcone con convinzione e dichiara che ha trovato finalmente la cura per il raffreddore. Alla folla urlante di fedeli che lo acclama, il pontefice esplica la sua teoria medica nel particolare: basterà debellare il freddo. Niente più medicine, anche perché sono contrarie alla legge naturale delle cose in quanto se sei raffreddato o hai preso freddo o lo vuole Dio. Quindi basta eliminare il primo caso, e nel secondo, pazientare e avere fede. E tanti kleenex.

MARTEDI - La sfida di Ratzinger alla dittatura laico oscurantista dei vili batteri non si ferma. Seguendo i consigli del suo staff, il pontefice alza il tiro rivolgendosi alle malattie sessualmente trasmissibili, onde prendere due piccioni con una fava. E’ giunta l’ora di dire basta a sporche sconcezze come sifilide, gonorrea, pidocchi, e candida, tanto per dirne qualcuna, e alla stregua dell’Aids basta solo un’attenta prevenzione. Ma per prevenzione però non si deve intendere la semplice astensione dai rapporti sessuali, non si cada in questo tranello! Queste malattie, laiche e perfide, sono subdole! Quindi, per essere ancora più sicuri, quando si incontra un esponente del sesso opposto sarebbe ancora meglio cambiare marciapiede. O strada. O città.

MERCOLEDI - Esaltato dai primi grandissimi successi, il dottor Ratzinger decide che la sua strada è ormai segnata dall’illuminazione. Egli salverà il mondo dai malanni, è chiaramente il suo compito. Il suo staff compra da un rappresentante porta a porta l’intera enciclopedia medica, che Ratzinger subito inizia a sfogliare come un bambino scarta i regali di Natale. Con gioia crescente



il Papa scopre le malattie una per una, e subito dopo anche la cura adeguata: ad esempio, per l’acroparestesìa basterà che le donne non vadano più in menopausa. A saperlo, che ci voleva così poco.

GIOVEDI - E’ ora di alzare il tiro: il Papa, saputo dell’emergenza TBC che minaccia l’Italia, decide che prevenire è meglio che curare e si dedica con passione alla questione. Studia approfonditamente sintomi e trasmissione della malattia, addirittura su wikipedia, e poi dal balcone sentenzia alla folla in delirio: la cura contro la tubercolosi è semplicissima. Financo elementare. Infatti, teorizza il papa, se non la si è ancora detta è solo per le pressioni della lobby laico-oscurantista dei produttori di farmaci. Ma veniamo a noi: per debellare per sempre la TBC dal mondo basta prevenire. E quindi, nel caso specifico, evitare di starnutire. Per sempre.

VENERDI - Visti gli impegni del fine settimana, è il Venerdì il giorno in cui Raztinger dovrà occuparsi del male peggiore di tutti: il cancro. La sfida è


delicata e complessa, il pontefice pertanto si chiude nelle sue stanze con l’enciclopedia, wikipedia e financo medicopedia. Osserva le particelle malate, le scruta, chiede consiglio a Dio e al suo staff. Dopo ore e ore di analisi, finalmente, come un lampo, la soluzione. Come si muore di cancro? Quando questo si espande nel proprio corpo. E come fa a espandersi nel corpo? Perché lo si “prende” per colpa di alcune cellule impazzite. E qui, proprio qui, nel principio, si annida la soluzione. Non per niente la filosofia medica di Ratzinger è improntata sulla prevenzione totale. E infatti la cura per il cancro è una, e una soltanto.

Non prenderselo.

Maddalena Balacco (loska)




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