mercoledì 30 giugno 2010

L’ITALIA È CAMBIATA

“Cinquant'anni dopo il 30 giugno 1960, il giorno della rivolta di Genova contro il governo Tambroni e il suo alleato Msi, a Genova una serie di inziative ricoderanno una pagina di storia che ha cambiato l'Italia - In fondo alla pagina, le foto degli scontri.

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Piazza De Ferrari, 30 Giugno 1960, la rivolta dei "centomila": la Resistenza continua

Genova, ancora una volta, protagonista principale della storia di piazza. I ragazzi dalle magliette a strisce sono diventati un'icona dell'Italia. Quella mattina d'Estate un oggetto di cultura di massa, un vestito alla moda è diventato il segno di una nuova generazione nata dalla resistenza partigiana. E' la prima rivolta moderna, drammatica e consapevole. Raccontare Genova è anche un'archeologia di un campo di battaglia. 
Piazza De Ferrari brucia, quel 30 giugno del 1960. La protesta dei lavoratori, degli studenti, dei ragazzi con le "magliette a strisce", è esplosa. Non vogliono che il Msi, alleato del governo Tambroni, tenga il suo congresso a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. 
L'insurrezione è preparata da tempo, da almeno un mese, la Camera del Lavoro tiene contatti non ufficiali con i partiti dell'opposizione; si vuole capire, come dice la voce fuori campo "qual è la verità". Che cosa ha in mente di fare il governo guidato da Mario Tambroni che per restare in sella si è scelto il Msi, dove hanno trovato casa gli ex fascisti, come alleato.
Il clima in città è teso, via via che arrivano le notizie dalla capitale, via via che si diffondono all'Università, in porto, nelle fabbriche, già duramente provate, in quel primo dopoguerra, da una serie di scioperi, all'Ansaldo, come alla San Giorgio. Al loro fianco si schiera la Camera del Lavoro e dalla Prefettura arriva l'ordine di scioglimento. E' l'ultima scintilla. Viene proclamato lo sciopero generale, per il 30 giugno. ..continua
Due giorni prima la protesta, ha come protagonista, in piazza della Vittoria, il futuro presdidente della Repubblica, Sandro Pertini. Con quello che passerà alla storia come il discroso de "u bricchettu", il fiammifero, Pertini incita alla ribellione. Si deve difendere la Resistenza e i suoi valori, dice Pertini " e noi faremo il nostro dovere fino in fondo". Il 30 giugno la città è sotto assedio, la polizia è schierata in forze, c'è un primo corteo che si sciglie in piazza della Vittoria, di fronte al luogo scelto per il congresso missino. Da lì i manifestanti risalgono fino a piazza De Ferrari. 
Tra loro, ex partigiani, politici, ragazzi. Inziano gli scontri, durissimi, una camionetta dalla "Celere" viene rovesciata. Saranno gli uomni del servizio d'ordine, molti ex combattenti del Cln, il Comitato di Liberazione nazionale, a far desistere quelli che, davvero, vorrebbero andare fino in fondo. Il congresso salta, la rivolta si estende: a Reggio Emilia, ci saranno dei morti, come a Licata, in Sicilia e poi ancora rivolte a Roma e Palermo. Un mese dopo Tambroni si dimette. Finisce il centrismo, si apre l'epoca dei governi di centrosinistra con il Psi alleato della Dc. Genova, ancora una volta, è stata la prima, in Italia a ribellarsi. A vincere una battaglia di popolo.

- IL PORTUALE, IL SINDACALISTA, LA FEMMINISTA: La rivolta di Genova nelle parole di chi c'era.

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Camalli in porto

Il "camallo" (Il portuale) - Paride Batini, entrato in porto giovanissimo come lavoratore occasionale e più volte eletto console della Compagnia Unica dei portuali, nel 1960 aveva 26 anni e partecipò a tutte le manifestazioni.
- Come nacque la mobilitazione?
«Nacque già molto tempo prima del 30 giugno, settimane prima, e in modo del tutto spontaneo. Quando si diffuse la notizia che a Genova ci sarebbe stato questo congresso fascista, tutte le forze democratiche incominciarono a mobilitarsi. L’organizzazione della protesta non era in mano ad un partito o a un gruppo specifico, per tutta la città si diffondevano
gli inviti a mobilitarsi affinché fosse chiara l’opposizione di tutti alla decisione di tenere qui a Genova il congresso dell’MSI. Noi portuali dopo il lavoro ci fermavamo sempre in piazza Banchi a discutere.
(...) E via via che la data del congresso si avvicinava, il nostro coinvolgimento cresceva e gli incontri in piazza Banchi diventavano il punto di riferimento dell’intera giornata. (...) E spesso partivamo in corteo, con destinazioni che sceglievamo al momento. Ci furono molte scaramucce con la polizia, anche perché noi non sapevamo che si dovesse chiedere l’autorizzazione per fare un corteo, e i poliziotti a volte ci lasciavano passare, a volte volevano impedircelo.
Ma se è vero che ci comportavamo in maniera spontanea e magari ingenua dal punto di vista organizzativo, è altrettanto vero che avevamo, invece, ben chiara la nostra motivazione e il nostro obiettivo: non volevamo che il congresso si tenesse a Genova e avevamo tutte le intenzioni di far sentire la nostra protesta».
- E arriviamo alla grande manifestazione del 30 giugno...
«Il 30 giugno era stato proclamato sciopero generale. Siamo scesi tutti in piazza e dopo il comizio è scattata una scintilla. C’era la famosa Celere di Padova, che era considerata una specie di corpo speciale ed era composta da picchiatori, e il loro capitano all’improvviso ha suonato la tromba e sono partiti i primi caroselli. Si è subito aperto un conflitto fortissimo.
Le camionette, lanciate alla massima velocità, ci venivano addosso fin sotto i portici per disperderci (...). I più giovani di noi non sapevano come comportarsi nel caos dei tafferugli, anch’io ero molto confuso e per fortuna (...) un amico del mio quartiere, che era stato un partigiano di montagna, si è preso cura di me e mi suggeriva come muovermi e dove nascondermi. (...) La guerriglia andò avanti fino al tardo pomeriggio e questi caroselli della polizia, che erano partiti alla grande contando sull’effetto sorpresa, piano piano hanno dovuto ridurre la velocità e l’intensità perché erano circondati da ogni parte, finché si sono dovuti fermare del tutto». 
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Piazza De Ferrari, sfilano i comandanti partigiani, i leader sindacali e politici della Sinistra

Il sindacalista - Giordano Bruschi, è stato uno dei protagonisti del giugno 1960. Già partigiano, all’epoca aveva 35 anni ed era segretario del sindacato dei marittimi e componente della commissione esecutiva della CGIL. Oggi, sempre molto impegnato, è un membro del comitato nazionale di Rifondazione Comunista.
- Lei avvicina quei giorni lontani del giugno 1960 a quelli più recenti del G8, che hanno visto di nuovo Genova protagonista delle prime pagine...
«Sì perché nel Sessanta, così come oggi col movimento no global, ma senz’altro anche ai tempi della Resistenza e nel ‘68, ci fu l’azione congiunta di una vecchia generazione di militanti e di un movimento di giovani. E nella storia del nostro paese tutti i grandi passi avanti si sono compiuti in momenti di saldatura fra due generazioni. Il 30 giugno 1960 portò in piazza la forza operaia che aveva fatto la Resistenza, molto antifascista anche perché a Genova fra il ‘43 e il ‘45 si erano verificati episodi di una crudeltà inaudita, con stragi, fucilazioni e deportazioni, insieme ai giovani con le magliette a strisce - che erano un po’ la divisa, il simbolo della nuova generazione - i quali si affacciavano alla politica».
- Cosa succedeva prima di quel giorno?
«La situazione politica italiana in quel periodo registrava una svolta a destra: il governo Tambroni era sostenuto dal voto determinante dei fascisti. Alcuni ministri democristiani non vollero mescolarsi con la destra e si dimisero, Tambroni che pur proveniva dalle file della sinistra democristiana, rimase. In cambio dell’appoggio fornito al governo, il Movimento Sociale, che era in cerca di legittimità, chiese di tenere il proprio congresso nazionale a Genova e scelse come Presidente proprio il "boia" Basile. Ovviamente era una provocazione per la città, medaglia d’oro alla Resistenza, che da quel Basile aveva patito violenza».
- Lei era già in politica all’epoca?
«Facevo parte della commissione esecutiva della Cgil, l’organismo composto da 22 membri che decise lo sciopero per il 30 giugno 1960. Segretario della CGIL all’epoca era Bruno Pigna e vicesegretari erano Fulvio Cerofolini, uno dei protagonisti di quei giorni, e Giuseppe Sulas».
- Cosa accadde?
«Il primo segnale di protesta risale al 2 giugno del 1960, nel bosco di Pannesi, dove si teneva tutti gli anni il raduno dei Partigiani in ricordo della Resistenza. In quell’occasione si sparse la voce inaccettabile: "Tornano i fascisti".
Il 5 giugno apparve su "l'Unità" una lettera accorata scritta da un partigiano operaio, Giulio Bana, deceduto un paio di anni fa, che era stato mio compagno di lavoro alla San Giorgio, una grande fabbrica di Sestri Ponente, e poi era stato licenziato nelle vicende dell’occupazione della fabbrica nel 1950. Egli scrisse un bellissimo appello per una mobilitazione, che fu raccolto in tutta la città, non solo nelle fabbriche (...)».
- Poi ci fu il famoso comizio di Pertini...
«Sì, poi ci fu la grande manifestazione del 28 giugno col comizio di Sandro Pertini in piazza Della Vittoria. Nel frattempo il mio sindacato proponeva a Cisl e Uil un’azione antifascista unitaria, ma Cisl e Uil risposero di no, e noi dovemmo decidere da soli di fare uno sciopero che destava preoccupazione, anche nelle forze politiche e nello stesso partito comunista a Genova, perché si temevano moti violenti a seguito delle previste provocazioni.
Tambroni, per ricambiare i voti che gli venivano dai fascisti, disse che il congresso si sarebbe tenuto ad ogni costo e mobilitò i reparti di polizia più duri dell’epoca, in modo particolare il reparto Celere di Padova. Vennero da fuori a migliaia e migliaia e fu un’anteprima del G8 (abbiamo le foto, siccome c’erano dei cantieri a Piccapietra, la zona fu chiusa, allora non utilizzarono le grate o i container, ma filo spinato)»...
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Corteo femminista sfila nelle vie di Genova

La femminista - Francesca Busso, nata nel 1926 e laureata in sociologia, si è sempre occupata di politica, come funzionario del Pci, consigliere comunale e regionale, assessore e vicepresidente del consiglio regionale. 
Quali questioni le stavano più a cuore?
«Le tematiche sociali e soprattutto il movimento delle donne, le quali all’epoca, all’interno del Partito Comunista, erano molto numerose e anche ben organizzate. C’erano le commissioni femminili, i gruppi delle donne e naturalmente c’era l’UDI (l’Unione Donne Italiane), che era nata nel periodo dell’antifascismo, nel 1943, e poi aveva continuato la sua attività in favore delle donne con rivendicazioni molto elementari e concrete, come quella diventata famosa del bicchiere di latte per i bambini, poi della mensa e del doposcuola.
Negli anni Sessanta si iniziò ad eleborare una politica che riguardava maggiormente i processi di emancipazione della donna, le possibilità nel mondo del lavoro e la parità salariale. Una delle prime battaglie è stata per una legge sulla tutela della
maternità».
Quale ruolo giocarono le donne nelle manifestazioni del giugno 1960?
«Le donne, che avevano già avuto modo di affermare concretamente il loro antifascismo alla fine della guerra, nel 1960 tornarono in piazza e costituirono anche un comitato unitario che si opponeva al congresso dell’Msi. Del resto la loro partecipazione non era certo una novità: nelle lotte operaie sono sempre state molto presenti. C’erano le mogli dei lavoratori che difendevano il posto del marito oppure le manifestazioni di sole donne davanti alla Prefettura, che cercavano di ottenere migliori condizioni di vita. Comunque dietro alla partecipazione così vasta al movimento del 30 giugno, oltre all’antifascismo, c’è anche un fattore sociale. L’Italia in quegli anni stava cambiando velocemente. (...) A Genova poi la trasformazione era stata più pesante che altrove, con la fine dell’industria di guerra e la perdita di centralità della città, che in quegli anni vede scomparire anche tutta una serie di industrie leggere, dove erano occupate molte donne. Chiude infatti una rete di aziende tessili, dell’abbigliamento, anche un’industria chimica come la Mira Lanza...
Cosa soprattutto vi spinse in piazza il 30 giugno?
«La partecipazione delle donne, insieme a quella dei lavoratori, che intervennero in massa, di tanti giovani, che portavano avanti anche le loro rivendicazioni, e di rappresentanti di tutti i ceti sociali, si spiega senz’altro con la motivazione profonda dell’antifascismo, il collante generale che ha portato tutta la popolazione in piazza. Il Movimento Sociale era visto come erede del fascismo e Genova certamente ricordava ancora le deportazioni e i disastri della guerra».

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25 giugno 1960 - Docenti e studenti manifestano alla Casa dello studente di C.so A.Gastaldi

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25 giugno 1960 - Piazza Banchi (centro storico-angiporto) durante il comizio dei movimenti giovanili

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30 giugno 1960 - pomeriggio- Il corteo dei «centomila» sfila in Via xx Settembre (centro della città)

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30 giugno 1960 - posti di blocco della celere nel centro della città

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30 giugno 1960 - piazza De Ferrari - I reparti celere di Tambroni

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30 giugno 1960- piazza De Ferrari- La folla dei manifestanti antifascisti si disperde: successivamente la polizia entrerà in azione ed esploderà la rabbia popolare. I giovani antifascisti e i partigiani risponderanno colpo su colpo alle provocazioni poliziesche ordinate dal ministro degli interni del governo Tambroni.

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30 giugno 1960 - Piazza De Ferrari - I reparti Celere entrano in azione

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30 giugno 1960 - Primi scontri tra Piazza De Ferrari e Via XX Settembre

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30 Giugno 1960 - La rivolta in Piazza De Ferrari

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Fuggiti i fascisti da Genova, l'antifascismo genovese conferma la continuità della lotta antifascista del 30 giugno con la Resistenza Partigiana.”

Scritto da Laura Cipo

MA........
  VISTA LA SITUAZIONE IN CUI CI TROVIAMO, ABBIAMO IMPARATO MOLTO POCO DALLA NOSTRA STESSA STORIA.

martedì 29 giugno 2010

IL DOCUMENTARIO FOOD INC.

Food, inc. di Robert Kenner.


‘Quanto sappiamo realmente del cibo che arriva sulla nostra tavola?‘: è questa la domanda da cui Kenner è partito, nel tentativo di svelare ciò che avviene nelle grandi industrie alimentari e che ci viene tenuto deliberatamente nascosto, con il consenso delle istituzioni.

È una denuncia feroce, mirata al mercato statunitense ma che si può tranquillamente estendere al resto del mondo: il profitto ignora i rischi per la salute pubblica e fa della produttività il suo unico credo.

Un titolo che ha vinto il premio come miglior documentario al 2009 Indipendent Gotham Awards di New York e la “Chiocciola d’oro” come miglior documentario allo Slow Food On Film , il Festival Internazionale di cinema e cibo di Bologna.

“Più efficace dei film-denuncia di Michael Moore”, ha scritto Time Magazine, “più che un film impressionante, un film importante” è l’opinione di Entertainment Weekly: due pareri su cui non abbiamo nulla da ridire.

Da: http://cinefestival.blogosfere.it/2010/03/food-inc-in-dvd-il-documentario-sul-cibo-candidato-alloscar.html

Documentario sottotitolato da Clara Ferri.

martedì 22 giugno 2010

L'UOMO DELL'ACQUA DI HAITI

 I terremoti rappresentano una catastrofe anche per quanto riguarda l'approvvigionamento in acqua. L'ultimo paese ad averne fatto l'amara esperienza è Haiti. Malgrado mille difficoltà, Harry Zehnder, un imprenditore svizzero stabilito a Port-au-Prince attivo proprio in questo settore, non ha abbassato le braccia.

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Harry Zehnder davanti ad uno dei negozi «Eau Miracle», con una cliente che ha appena acquistato quattro galloni d'acqua (Erwin Dettling)

Chi attraversa con gli occhi ben aperti la capitale semidistrutta di Haiti non può non imbattersi nella presenza di Harry Zehnder. Incastonata tra le file di umili case, l'insegna blu "Eau Miracle" è visibile non meno di 250 volte nella sola Port-au-Prince.
Harry Zehnder ha avuto l'idea di lanciarsi nel commercio di acqua nel 2001: «Da anni vedevo che molte persone, soprattutto bambini, si ammalavano perché la loro famiglia non poteva permettersi di acquistare acqua potabile e doveva perciò accontentarsi di acqua contaminata», spiega a swissinfo.ch.
L'imprenditore svizzero, che vive da 25 anni sull'isola, ha perciò cercato – e trovato – il modo per sbaragliare la concorrenza in questo settore. «Mi sono chiesto: come posso vendere acqua potabile e nello stesso tempo diminuire i prezzi?». La risposta stava nell'imbottigliamento.
Ridurre i costi di produzione del 50%
Riempiere delle bottiglie di plastica alla fonte e in seguito trasportarle nei quattro angoli del paese costava troppo. «Rinunciando a portare le bottiglie al consumatore ho potuto ridurre i costi di produzione del 50%», spiega Harry Zehnder.
La soluzione è stata la creazione di piccoli punti vendita per la sua «Eau Miracle» e di installare sui tetti delle grandi cisterne, nelle quali pompare acqua resa potabile grazie a un sistema di filtrazione ad osmosi inversa e trasportata da autocisterne.
I proprietari dei negozi dell'«Eau Miracle» vendono l'acqua ai privati, che arrivano con le loro bottiglie e bidoni vari. «Io sono responsabile di tutto ciò che concerne gli aspetti tecnici di questi negozi, i proprietari delle botteghe si occupano invece della vendita.» Cinque galloni (circa 19 litri) di Eau Miracle costano 25 Gourdes, che corrispondono a circa 75 centesimi di franco. L'acqua venduta da Zehnder costa la metà di quella della concorrenza.
Non tutti i concorrenti si sono resi conto dell'offensiva portata avanti da Harry Zehnder. «Uno dei tre grossi venditori del paese ha dovuto cessare le attività», osserva l'imprenditore elvetico.
Terremoto, etica ed affari
Il sisma del 12 gennaio scorso ha naturalmente colpito Harry Zehnder. Circa 20 punti vendita sono andati distrutti o sono rimasti danneggiati. La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (l'ente governativo svizzero che si occupa di aiuto allo sviluppo) ha aiutato l'«Eau Miracle», versando 1'800 franchi per ogni negozio danneggiato dal terremoto. A patto, però, che dopo il ripristino del negozio l'acqua venisse venduta per un certo tempo a un prezzo più basso.
Ma dopo una catastrofe come quella che ha colpito Haiti, non è indecente monetizzare un bene come l'acqua? Harry Zehnder non lo ritiene per nulla immorale: «Siamo i soli ad aver mantenuto costante il prezzo dell'acqua negli ultimi cinque anni. Tutti hanno guadagnato grazie al nostro commercio».
L'imprenditore svizzero è pure convinto che il sistema da lui ideato per distribuire l'acqua contribuisca allo sviluppo sostenibile di Haiti. Piuttosto che essere gettate nei greti dei fiumi per poi finire in mare durante la stagione delle piogge, le bottiglie di plastica vengono infatti riutilizzate.
Il fatto di essere straniero non costituisce un ostacolo insormontabile. « Non ho problemi, poiché i venditori nei negozi sono haitiani e do lavoro a diverse persone nello stabilimento dove viene purificata l'acqua ».
Nuovi settori
Dopo il terremoto, la vendita di acqua è aumentata. Il sisma ha lasciato senza tetto moltissime persone e l'approvvigionamento idrico è diventata una delle principali priorità delle organizzazioni d'aiuto umanitario. «Posso garantire una qualità ineccepibile dell'acqua, trattata con sistemi che ne garantiscono la stabilità e permettono di prevenire la proliferazione dei batteri», assicura Zehnder.
L'imprenditore svizzero intende inoltre esplorare nuovi campi d'attività. I negozi «Eau Miracle» fino ad oggi vendevano esclusivamente acqua. «Ciò potrebbe però cambiare», afferma Harry Zehnder. I punti vendita disseminati in tutto il paese potrebbero infatti servire anche per smerciare derrate alimentari e beni di uso quotidiano.
Erwin Dettling, Port-au-Prince, swissinfo.ch
(traduzione di Daniele Mariani)
Fonte

lunedì 21 giugno 2010

LA FOTOGRAFIA DEL BAMBINO SCHIAVO

Sulla "Repubblica" on line, un documento straordinario, che testimonia di un epoca buia della storia degli Stati Uniti d'America: "Da una soffitta del North Carolina, è spuntata una foto ritenuta dagli storici un documento unico dell'era della guerra civile americana. Nell'immagine, risalente al 1860 circa, un bambino di colore di nome John posa senza scarpe e con dei vestiti logori seduto su una botte insieme ad un altro bambino (...) Insieme all'immagine è stato rinvenuto il documento di vendita del piccolo John: il bambino era stato ceduto per 1150 dollari".

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Storie di un tempo che fu, ma neanche tanto. Dalle pagine web del Paese dei bambini che sorridono: "Nell'Africa di oggi il mercato degli schiavi è ancora fiorente, ma la merce è cambiata perché le vittime sono soprattutto i bambini. (...) I piccoli schiavi vengono trasportati nelle piantagioni della Costa D'Avorio, del Gabon e del Brasile.
Oppure sbarcano in Europa, dove sono costretti alla prostituzione, sono preda dei pedofili, vengono sottoposti alle angherie dei padroni che li comprano come domestici.
La tratta coinvolge più di 200 mila bambini all'anno tra i cinque e i quindici anni. Vengono prelevati soprattutto dal Benin, dal Togo, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Camerun, dal Burkina Faso. Gli "adulatori", come vengono chiamati gli uomini ben vestiti che convincono le famiglie a cedere i loro figli, li comprano a circa 14 dollari l'uno e li rivendono ad un prezzo almeno dieci volte superiore".
E il mondo continua a girare la testa dall'altra parte!
Fonte

venerdì 18 giugno 2010

ADEUS JOSÉ

Addio ad un Nobel militante della letteratura portoghese

Oggi, venerdì 18 Giugno, José Saramago è spirato alle 12,30 nella sua casa di Lanzarote, all’età di 87 anni, a seguito di un cedimento multiplo degli organi, dopo una lunga malattia.

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“Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono.”

LA DEVOZIONE DI UNA MADRE




 195 milioni di casi di malnutrizione


È ora di riscrivere la storia

Medici Senza Frontiere/Médecins Sans Frontières (MSF) e VII Photo presentano "Starved for Attention", una campagna multimediale di sensibilizzazione sulla malnutrizione infantile, un problema spesso ignorato e non adeguatamente considerato.

"Starved for Attention" ha un obiettivo preciso: riscrivere la storia della malnutrizione, attraverso una serie di documentari multimediali che uniscono le testimonianze video e fotografiche di alcuni dei fotoreporter contemporanei più prolifici e acclamati.

Marcus Bleasdale, Jessica Dimmock, Ron Haviv, Antonin Kratochvil, Franco Pagetti, Stephanie Sinclair e John Stanmeyer, fotoreporter di VII Photo, hanno attraversato il mondo, visitando i luoghi in cui il problema della malnutrizione è più grave, dalle zone di guerra ai paesi in via di sviluppo, puntando i riflettori sulle cause alla base della malnutrizione e sugli approcci innovativi alla risoluzione di questo problema.

"Starved for Attention" è una raccolta di testimonianze sulla malnutrizione vissute in prima linea, provenienti da Bangladesh, Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Gibuti, India, Messico e Stati Uniti.

Secondo le stime, 195 milioni di bambini in tutto il mondo, dei quali il 90% vive in Africa subsahariana e in Asia meridionale, soffrono le conseguenze della malnutrizione. Di fatto, la malnutrizione causa un terzo degli 8 milioni di decessi che si registrano ogni anno fra i bambini al di sotto dei 5 anni.

Molte famiglie non sono in grado di garantire ai propri figli un'alimentazione adeguata, che comprenda in particolare alimenti di origine animale come latte, carni e uova, indispensabili per la loro crescita e la loro salute. Al contrario, questi bambini lottano per la sopravvivenza, lontano dai riflettori dei media, cibandosi perlopiù di bolliti a base di mais o riso: una dieta che equivale ad un'alimentazione a pane e acqua.

Firmando la petizione online "Starved for Attention", anche tu potrai contribuire a riscrivere la storia della malnutrizione, chiedendo che i 195 milioni di bambini malnutriti ricevano l'attenzione che meritano e di cui hanno bisogno per uscire dal letale ciclo della malnutrizione.

mercoledì 16 giugno 2010

MAL D'AFRICA...

Detto africano:
"Il sol mangia le ore
beato lui che mangia tutti i giorni"

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Il sogno di molti bambini africani?
Essere condannati... a pane e acqua!

martedì 15 giugno 2010

MANOVRA DI GUERRA

Tagli agli stipendi e comprano armi

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Fuori dai ministeri, tra gli statali che da qui ai prossimi tre anni dovranno sacrificare i loro stipendi per versare allo Stato 5 miliardi di euro contro la crisi, il grido pacifista si è già fatto largo: «Vendessero i cacciabombardieri di La Russa». In realtà più che di vendere si tratterebbe di non acquistarne di nuovi. Idea tutt’altro che peregrina. È quello che sta decidendo di fare la Germania in queste ore, per dire. Il Pd stima che si potrebbero risparmiare almeno 2 miliardi l’anno. Ovvero sei miliardi nei tre anni su cui opera la manovra. Una stima prudenziale, visto che la spesa in armamenti si aggira intorno ai 3,5 miliardi l’anno.
Nella manovra finanziaria di Tremonti, però, di tagli agli armamenti non ne troverete traccia. E sì che in programma il governo italiano non ha solo l’acquisto di nuovi cacciabombardieri. Sul bilancio dello stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d’arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Tutti passati inosservati sotto lo sguardo vigile del ministro dell’Economia.
Cifre astronomiche
Eppure parliamo di cifre astronomiche, che il governo si è impegnato a versare all’industria bellica per acquistare una varietà incredibile di nuove armi. La lista è lunga. Prendiamo solo qualche esempio. Partiamo proprio dai cacciabombardieri. Programma di ammodernamento numero 65. Un piano faraonico, che impegna l’Italia a comprare dagli Usa 131 cacciabombardieri F-35.

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Aerei progettati per essere invisibili ai radar (solo che nel frattempo i radar si sono evoluti). Roba da guerra fredda. Solo nel triennio interessato dalla manovra appena varata l’acquisto programmato sulle casse dello stato per circa 2,5 miliardi di euro. Totale della spesa prevista da qui al 2026: 15 miliardi.

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Che si sovrappone per altro alla spesa per l’acquisto, già programmato, di 121 Eurofighter (80 sono stati già comprati e c’è ancora un’ultima tranche). Ma andiamo oltre. Al programma numero 67, per esempio. Si chiama «Forza Nec»: serve a dotare le forze armate di terra e da sbarco di un sistema assai sofisticato di digitalizzazione. Roba da Vietnam, ovvero da conflitti ad alta intensità – la guerra in Iraq era considerata a media intensità. Per ora siamo alla fase di progettazione, che da sola costa circa 650 milioni di euro. L’esborso finale, non ancora formalizzato, si aggirerà intorno agli 11-12 miliardi. Ma andiamo oltre. Passiamo ai sommergibili. Difficile prevedere una battaglia navale nel Mediterraneo che li richieda, eppure nella lista dei futuri armamenti non mancano due sommergibili di nuova generazione. Costo stimato: circa 915 milioni. Più della metà da versare già nei tre anni della manovra. Una cifra minore ma non per questo più sensata sarà spesa invece per comprare nuovi sistemi di contracarro di terza generazione: 120 milioni di euro. Cifre da capogiro.
Tanto che lo stato italiano fa fatica a stare dietro agli impegni presi. E l’industria bellica è costretta a ricorrere alle banche. Con il risultato che l’indebitamento fa lievitare ulteriormente i costi. Negli ultimi tre anni, l’Italia ha speso in armamenti circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra destinata a lievitare, tanto più che nemmeno la manovra prova a scalfirla.
Una cifra molto opaca, secondo il Pd, che domani in Commissione difesa del senato presenterà una risoluzione per chiedere che il governo inizi a fare i conti con le armi e con i miliardi che i 71 fatidici programmi continuano a sottrarre al bilancio dello Stato. Sono tutti così indispensabili? Il Pd chiede di verificarne utilità, tempi d’attuazione e costi. E di adottare quella che definisce una «moratoria ragionata». Obiettivo: ottenere risparmi consistenti. E costringere il governo ad adeguare la spesa ai costi della crisi. E al modello di difesa adottato alla luce della Costituzione.
L’Italia ripudia la guerra, appunto. E però continua a buttare miliardi in armi, oltretutto (per fortuna) inutili. Negli ultimi 15 anni infatti le forze armate italiane sono state impegnate in 35 missioni di peacekeeping. «Ma se dobbiamo portare la pace, che ce ne facciamo dei bombardieri F-35?», osserva il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, primo firmatario della risoluzione, che illustrerà domani al senato: «Semmai – aggiunge – abbiamo bisogno di addestrare i militari, di provvedere alla manutenzione dei mezzi di trasporto che utilizzano».
Ecco appunto, di quelli invece la manovra si occupa: un taglio di quasi un miliardo in tre anni, che si aggiunge agli 1,5 miliardi di risparmi sul bilancio di esercizio già programmati dalla prima finanziaria del governo Berlusconi. Forse anche per questo quel grido d’allarme lanciato dal dipendente statale pacifista ormai comincia a diffondersi anche tra le forze armate. «Il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l’industria non può imporre ciò che vuole», ha denunciato pubblicamente lo stesso sottocapo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Maurizio Ludovisi.
«Fin qui il governo non ha ancora risposto: quale è il modello di difesa a cui finalizza la spesa?», osserva Roberta Pinotti, appoggiando l’iniziativa del capogruppo. «Non è che da domani debbano rientrare gli uomini in missione – spiega Achille Serra, vicepresidente della Commissione -, ma spendiamo soldi per armi inutili ed è doveroso tagliare davanti alla crisi è doveroso».
Mariagrazia Gerina
Fonte

lunedì 14 giugno 2010

CASSAVA A RISCHIO

Un virus sta divorando a crescente velocità le coltivazioni di cassava nell'Africa Centrale. Lo hanno chiamato «brown streak», per le tracce di colore bruno che lascia nella candida pasta del tubero, rendendolo immangiabile.

image  Tyler Hicks/The New York Times

La cassava, altrimenti conosciuta come yucca o manioca, è un tubero a pasta bianca dalle lunghe radici, che riveste un ruolo chiave nell'alimentazione dei contadini africani e non solo. Più di 800 milioni di persone se ne servono come alimento principale in 3 continenti, e in Paesi come Angola, Repubblica democratica del Congo, Ghana, Tanzania, il consumo supera i 200 chili l'anno pro capite. In certe zone è pressoché l'unico alimento reperibile. Resiste bene alla siccità, non è difficile da coltivare, e anche se non particolarmente nutriente, riempie molto bene lo stomaco. Per le sue virtù questa pianta è coltivata come «cibo di riserva» in diverse aree dell'Africa equatoriale: può essere estratta dal terreno in un periodo che va dagli 8 ai 24 mesi, il che la rende l'alimento perfetto per compensare le frequenti carestie che si abbattono sulla zona. Il Programma alimentare mondiale e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, agenzie della galassia Onu, hanno investito ingenti risorse, negli ultimi anni, nella promozione della cassava come strumento di lotta alla fame, e anche alla povertà.

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La maggior parte dei coltivatori di questo tubero, infatti, sono piccoli contadini che consumano solo una minima parte del raccolto per le proprie esigenze, vendendo il resto al mercato.
La cassava è un alimento jolly. Dalla lavorazione delle sue radici si ottiene una farina molto utilizzata nella preparazione di alimenti molto diffusi come il «lafun» nigeriano, strisce di radice essiccate al sole, o il «chickwange», ottenuto con l'impasto delle radici fermentate, e poi intinto nell'olio di palma. Con il suo amido si producono colla, medicinali, dolcificanti. E da qualche anno, con la corsa al rialzo nel prezzo del petrolio, la cassava è diventata materia prima promettente per la produzione di bio-carburanti.
Attualmente il virus, che rende inservibile la cassava anche per l'alimentazione animale, ha colpito più della metà delle coltivazioni sulla costa della Tanzania e nella zona attorno al lago Vittoria. Se dovesse attraversare il bacino del fiume Congo e diffondersi in Nigeria, principale produttore, le conseguenze potrebbero essere gravissime. La fondazione di Bill e Melinda Gates ha appena investito 22 milioni di dollari per promuovere una campagna di informazione ai contadini, con l'obiettivo di convincerli a tagliare le piante infette e bruciarle. Il commercio di radici, infatti, è la principale via di diffusione del virus, al quale per il momento nessuna varietà di cassava sembra essere immune.
Dal 2004 la pandemia si è diffusa ad una velocità sempre crescente, e non si può escludere il rischio di una sua diffusione anche al di fuori del continente africano, trasportata via aereo dalla mosca bianca, riconosciuta come portatrice del virus. Lo scenario è dei peggiori, e viene paragonato alla carestia che colpì la coltivazione di patate in Irlanda alla metà dell'Ottocento, conducendo alla morte per fame circa un milione di persone e costringendone all'emigrazione un numero ancora maggiore. Una bomba umanitaria che rischia di esplodere, aggravando le già precarie condizioni di vita di milioni di abitanti dell'Africa rurale.
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domenica 13 giugno 2010

L’EMIGRAZIONE È NELLA NATURA (NON SOLO UMANA)

Dall’Himalaya a Osiglia: il viaggio di un’oca

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Dall’Himalaya ad Osiglia? Sembrerebbe proprio così. Protagonista del viaggio è questa oca indiana, “scovata” sulle rive del lago dell’entroterra savonese.
L’oca a testa barrata (o Oca Indiana) è originaria delle montagne dell’Himalaya (India e Tibet) ma si trova anche in alcune zone montane dell’Afghanistan, della Cina e del Pakistan. Ama le zone aperte vicino a pozze, stagni e laghetti montani. Gregaria, curiosa, si adatta bene alla vita in cattività ed è facilmente addomesticabile. In natura compie lunghi spostamenti. Il numero di animali presente in natura è in continua diminuzione.
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mercoledì 9 giugno 2010

L'ITALIA AFFONDA NELLE FOSSE SCAVATE PER CHI MUORE SUL LAVORO

A ogni funerale di quella guerra che è il lavoro vada una alta carica dello Stato

Tempo fa il ministro La Russa aveva dichiarato che avrebbe mandato i militari nei cantieri per verificare il rispetto delle normative vigenti sul lavoro. Non è successo.
Non solo non abbiamo visto nessun militare in alcun cantiere o fabbrica o campo agricolo. Ma vediamo, nel rispetto delle strazianti sofferenze e con un qualche fastidio per la loro ipocrisia, l'affollarsi delle istituzioni e delle alte cariche dello Stato ai funerali di ragazzi che loro stessi hanno mandato a morire, e lì piangere lacrime di coccodrillo
.
L'anno 2008 si è chiuso con 874.940 infortuni sul lavoro e 1.120 casi mortali.

In netto calo rispetto all'anno precedente, e questo è positivo. Ma si tratta sempre di una strage di proporzioni enormi, inaccettabili. Una guerra. E il calo, come dice l'Inail, è dovuto piuttosto al fatto che il periodo di riferimento è stato un momento particolarmente negativo per l'economia italiana sia sul versante dell'occupazione (diminuita dello 0,9% nel primo trimestre e dell'1,6% nel secondo) sia su quello della produzione industriale, calata di oltre il 20%. Se a questo si aggiunge il massiccio ricorso alla Cassa integrazione, appare chiaro come al sostenuto calo della quantità di lavoro effettuata corrisponda, ovviamente, una considerevole flessione dell'esposizione al rischio di infortunio.
E' una situazione che non può essere accettabile per un Paese civile, moderno, chiamatelo come volete. Ma soprattutto è inaccettabile e incompatibile con l'Articolo 1 della nostra Costituzione: L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Oggi l'Italia è una repubblica che affonda nelle fosse entro le quali vengono ogni giorno calate tre bare e mezzo.
E allora chiediamo che a ogni funerale di quella guerra che è il lavoro vada una alta carica dello Stato. Sono tre: un funerale al giorno cadauno, riuscirebbero quasi a coprirli tutti.
Scusate il cinismo, ma magari in questo modo, avendo tutti i giorni impegnati per lavoro, finalmente si decideranno ad affrontare il problema.

Maso Notariann

martedì 8 giugno 2010

I 15 POSTI PIÙ TOSSICI DEL PIANETA

Con la popolazione mondiale che si avvicina ai 7 miliardi di individui, è sempre più difficile trovare un posto sulla Terra in cui immagazzinare efficacemente i rifiuti. Senza contare che inquinamento dei mari, delle acque e degli ecosistemi più svariati sembra ben poco risolvibile.
Ma il problema dei rifiuti non è sempre risolto in modo relativamente efficace come accade nei Paesi occidentali: in alcuni posti del mondo i rifiuti vagano liberi per fiumi e mari, l'inquinamento è talmente elevato che si fa fatica a respirare, e le scorie radiattive hanno reso l'ambiente invivibile e letale.

clip_image001Citarum River, Indonesia
Il fiume Citarum è stato soprannominato "il fiume più inquinato del mondo. Circa 5 milioni di persone vivono sulle sponde del fiume, e molti di essi si appoggiano su questa risorsa idrica per ottenere acqua ad uso domestico e da bere.

clip_image002Chernobyl, Ucraina

Chernobyl è la città in cui si è verificato il famoso disastro del 1986, il peggior incidente nucleare civile della storia. Una volta ospitava 14.000 residenti, ma ora è del tutto disabitata e pericolosa per chi abbia intenzione di avventurarsi al suo interno.

clip_image003Linfen, Cina
Linfen ha il tasso di inquinamento atmosferico più elevato del mondo. Si trova nel bel mezzo di una nube di carbone che provengono dalle miniere locali. Si dice che se si stendono i propri panni all'aria aperta, saranno completamente neri prima ancora che si siano asciugati.

clip_image004L'isola di plastica del Pacifico
L'isola è già stata trattata in un altro post, e vaga per l'Oceano Pacifico occupando una vastissima area ed estendendosi fino a 10 metri sotto la superficie.

clip_image005Rondônia, Brasile
Rondônia è uno stato settentrionale del Brasile nei pressi del Mato Grosso e di Parà, ed è una delle regioni più deforestate della foresta amazzonica. Migliaia di acri di foresta vengono distrutti e bruciati, soprattutto per far spazio all'allevamento di bestiame.

clip_image006Yamuna River, India
Il fiume Yamuna è il più grande affluente del Gange. Nella sua parte che attraversa Delhi, si stima che circa il 58% della popolazione della città scarichi la propria spazzatura ed i propri liquami dentro il fiume. Milioni di indiani continuano ad utilizzare questo corso d'acqua per lavarsi, fare il bucato e bere acqua.

clip_image007La Oroya, Perù
La Oroya è una città mineraria sulle Ande peruviane. Il 99% dei bambini che vivono nella città hanno tassi di piombo nel sangue che superano di gran lunga il limite di pericolosità, per via del fatto che la città ospita una miniera di piombo di proprietà americana fin dal 1922.

clip_image008Lago Karachay, Russia
Secondo il Worldwatch Institute on Nuclear waste, il lago Karachay è la località più inquinata da scorie nucleari della Terra. E' stato utilizzato dall' ex Unione Sovietica come sito di stoccaggio delle scorie, ed ora i livelli di radiazione sono tali che la dose letale si raggiunge in una sola ora di esposizione all'area attorno al lago.

clip_image009Haiti
Una volta Haiti era ricoperta per il 60% da foreste. Oggi, solo il 2% del Paese ha ancora alberi. L'immagine qui sopra mostra il confine tra Haiti e la Repubblica Dominicana, confine su cui sono stati eliminati tutti gli alberi.

clip_image010Kabwe, Zambia
Piombo e cadmio riempiono le colline di Kabwe dopo decadi di estrazione mineraria. I bambini hanno concentrazioni di piombo 10 volte superiori rispetto ai livelli consentiti dalla Environmental Agency americana, ed il suolo è così contaminato che niente cresce più.

clip_image011Appalachi, West Virginia
I monti Appalachi sono stati plasmati dall'attività mineraria, una delle più distruttive dell'intero Nord America. I picchi delle montagne sono stati completamente distrutti per estrarre carbone, il che ha contribuito all'erosione del suolo ed alla diffusione di agenti inquinanti, avvelenando l'intera regione.

clip_image012Dzerzhinsk
Il Libro dei Guinness dei Primati ha definito Dzerzhinsk come la città più inquinata da agenti chimici del mondo, e nel 2003 il numero delle morti superava il numero delle nascite del 260%. Più di 300.000 tonnellate di rifiuti chimici sono stati scaricati nella zona dal 1930 al 1998
.
clip_image013Riachuelo Basin, Argentina
Il Riachuelo Basin è un fiume estremamente inquinato. Più di 3500 fabbriche scaricano di continuo i rifiuti di lavorazione, senza contare che lungo il corso del fiume si possono trovare numerosissimi scarichi fognari abusivi e 42 discariche a cielo aperto.

clip_image014Vapi, India
La città di Vapi è il luogo di scarico per ogni sostanza chimica. I livelli di mercurio nell'acqua sono 96 volte superiori ai livelli di sicurezza, e sono presenti nell'aria metalli pesanti e inquinanti derivanti dalle discariche a cielo aperto della zona.

clip_image015L'orbita della Terra
Che ci crediate o no, lo spazio è uno dei luoghi più inquinati in assoluto. Per lo meno lo spazio attorno alla Terra. Circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti spaziali orbitano attorno al nostro pianeta, da micro-aghi di rame a resti di razzi, minacciando costantemente i satelliti per le telocomunicazioni e gli astronauti.

Fonte

Da ultimo il Golfo del Messico con la sua marea nera di petrolio

lunedì 7 giugno 2010

NUOVA RECESSIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE NEL 2011?

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Mentre le grandi economie mondiali stanno dando i primi segnali di ripresa, diversi esperti ed analisti già avvertono che l’anno prossimo potrebbe giungere una nuova grande crisi economica globale.
L’economia mondiale potrebbe cadere in una nuova grande depressione nel 2011? Nonostante i segni di ripresa dalla recessione si stiano consolidando nei vari paesi, diversi analisti economici ed autorità governative di tutto il mondo sostengono che nuovi ed inquietanti segnali d’allarme sono all’orizzonte e che bisogna prestare loro molta attenzione.

I due pericoli principali sono, manco a dirlo, ancora una volta i debiti e la paura, che come sappiamo oggi abbondano nel mondo finanziario.

LA PIÙ GRANDE CRISI DEI DEBITI SOVRANI - In risposta alla crisi finanziaria globale del 2007 e 2008, i governi di tutto il mondo hanno speso somme di denaro senza precedenti e, allo stesso tempo, contratto enormi debiti. All’estero, in particolare, queste ingenti somme hanno permesso il salvataggio del sistema bancario. Dopo quanto è accaduto in Grecia, tuttavia, appare sempre più evidente che in tutto il mondo c’è un numero crescente di governi che hanno bisogno di salvare innanzitutto se stessi. Che cosa succederà, allora? Nelle passate settimane abbiamo già visto quale paura si è generata nei mercati finanziari, quando un paese piccolo come la Grecia ha rischiato – e probabilmente rischia ancora – di scivolare sul suo pesante debito. Il problema è che agli occhi dei mercati (e non solo degli speculatori) diversi altri paesi appaiono incapaci di gestire il loro indebitamento. Questa incertezza, potrebbe trasformarsi in vera e propria tensione e percorrere i mercati finanziari da un capo all’altro del mondo. La verità è che ci troviamo di fronte alla più grande crisi dei debiti sovrani della storia moderna. Non c’è una via d’uscita indolore da questo pasticcio finanziario. Molti paesi saranno costretti a tagliare le loro spese ed i loro investimenti, con inevitabili ricadute e contraccolpi sulle loro stesse popolazioni.

LA STRETTA VIA TRA AUSTERITY E CRESCITA - Alcune delle massime autorità finanziarie del mondo ci stanno avvertendo che se non verrà fatto qualcosa di sostanziale da parte dei singoli governi, le incertezze del 2010 rischiano di trasformarsi in nuove bruciati ricadute nel 2011. La via più semplice, quella che ci accingiamo a percorrere pure noi con la manovra varata in fretta e furia dal governo, è quella del taglio e dell’austerity. Questa via, suggerita in primis dal Fondo monetario internazionale (FMI). che impone certamente sacrifici apre il varco a successive pressioni deflazionistiche, ossia la riduzione generalizzata dei prezzi (e quindi del valore dei beni) e soprattutto quando non è affiancata da opportune misure di “stimolo” – come appunto oggi ha rilevato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi – può avere pesanti ripercussioni sulla crescita economica. L’Italia, come sappiamo, porta sulle sue spalle il pesantissimo fardello del debito pubblico (il terzo più grande nel mondo) ma, allo stesso tempo, cresce poco o niente. Secondo le previsioni dello stesso governo, nel biennio 2010-2011 la nostra crescita dovrebbe attestarsi intorno al 2%. Nel solo 2009 invece, il nostro Pil è crollato del 5,1%. Quindi con un differenziale negativo del 3%. Ovviamente le politiche di “stimolo” costano, e se gli effetti sono scarsi o comunque poco soddisfacenti – in termini di crescita di Pil - i problemi nel lungo termine rischiano di aggravarsi ulteriormente. Proprio questa difficile prospettiva, apre scenari a tinte fosche che molti analisti già scorgono – in chiave mondiale – per il 2011.

LA PAROLA AGLI ESPERTI - In proposito, un apprezzato blog economico americano ha raccolto le opinioni di molti importati esperti finanziari ed economici che qui abbiamo provato a riassumere. Secondo il famoso economista Nouriel Roubini: “Siamo ancora nel mezzo di questa crisi, anche se c’è una ripresa in atto. Durante la “Grande Depressione” tra il 1929 e il 1933, ci fu l’inizio di una ripresa, ma poi seguì una seconda recessione a cavallo degli anni1937-1939. Se non si affrontano i problemi, si rischia di avere una recessione ancora peggiore della prima“. Per Mervyn King, governatore della Banca d’InghilterraPilotare una crisi bancaria è stato abbastanza difficile, ma almeno ci siamo potuti appoggiare ai bilanci del settore pubblico. Una volta che la crisi tocca il debito sovrano invece, non c’è una risposta, poiché manca ogni riferimento“. Mentre la cancelliera tedesca, Angela Merkel sostiene che “l’attuale crisi che ha di fronte l’euro è la prova più grande che l’Europa ha affrontato da decenni, dall’epoca del Trattato di Roma, firmato nel 1957“, Paul Donovan, senior economist presso UBS ribatte che a seguito di questa stessa crisi è lecito chiedersi “Se l’euro esisterà ancora tra tre anni“. Michael Pento, capo economista presso il Delta Global Advisors prevede invece che “La crisi in Grecia sta per diffondersi in Spagna e diventerà molto difficile da affrontare. Si somma debito a debito“. Questo, tuttavia, ritiene sempre PentoE’ uno scenario meraviglioso per il mercato dell’oro“. A loro volta, i ricercatori di LEAP/E2020 ritengono che “la crisi sistemica globale subirà un nuovo contraccolpo a partire dalla primavera 2010 [...] A quel punto occorreranno nuove misure di sostegno per l’economia a causa del fallimento dei vari stimoli del 2009, tuttavia le dimensione raggiunte dai vari deficit di bilancio, escludono qualsiasi nuova e significativa spesa“. Che è, guarda caso, proprio quello che si rimprovera alla manovra correttiva di Tremonti già oggi.

IPSE DIXIT – Peter Morici, professore di economia all’Università del Maryland: “Lo tsunami finanziario sta per spostarsi in America“. Bob Chapman, del Forecaster Internazionale si lancia in una metafora dal sapore botanico: “I germogli verdi di ripresa si stanno trasformando in edera velenosa. Abbiamo più debito e monte più volatili. In questo processo la Fed e la BCE hanno ora perso ogni credibilità“. Ambrose Evans-Pritchard, editorialista del Telegraph: “La massa monetaria negli Stati Uniti si sta contraendo ad un tasso di accelerazione che corrisponde a quella che si ebbe negli anni tra il 1929 e il1933, nonostante i tassi di interesse vicini allo zero“. Jonas Iliana, editorialista della Reuters: “Secondo uno studio del Real Capital Analytics, il tasso di insolvenza per i mutui commerciali detenute dalle banche, nel primo trimestre ha raggiunto il suo livello più alto almeno dal 1992 e si prevede che crescerà ancora entro la fine dell’anno raggiungendo il picco nel 2011“. Per Paul Krugman, economista e premio Nobel: “L’economia appare debole, il Giappone che sembra essere uscito dalla crisi prima degli altri adesso si avvicina alla deflazione“. Stan Humphries, capo economista per Zillow.com punta il dito sul mercato immobiliare americano: “Chiunque si attende un robusto rimbalzo del mercato immobiliare sarà amaramente deluso“. Per Bloomberg, infine, anche i bond del Tesoro americano nel 2011 rischiano di finire sotto pressione. “L’agenzia di rating Moody’s potrebbe rivedere la sua “triple A“. Che i Maya abbiano sbagliato di un anno la loro catastrofica previsione della “fine del mondo“?
di Pietro Salvato

giovedì 3 giugno 2010

PIEZO SHOWER, LA DOCCIA AUTORISCALDANTE

Non ha bisogno del boiler nè dell’energia solare

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Sta facendo il giro del web Piezo Shower, la doccia autoriscaldante che assicura un getto tiepido e confortevole senza bisogno di collegamento ad un boiler o ad un impianto solare termico. Più ecologica di così…
Premiata un mese fa al Salone Internazionale del Mobile di Milano, la Piezo Whower è un’idea dei designers Natalie Weinman, Victor Stelmasuk, Sebastian Jansson e Fernanda Piza.
L’acqua si scalda grazie all’energia prodotta dal suo stesso movimento nei tubi. Solo che di tubi ce ne vogliono proprio tanti, per raggiungere il risultato. E infatti…
Prima di uscire dal bulbo, l’acqua deve compiere un lunghissimo cammino attraverso una ragnatela assemblata in una forma che ricorda vagamente una foglia. Quest’immagine, tratta dal blog di Piezo Shower, dà un’idea della situazione.

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I tubi sono percorsi da dispositivi piezoelettrici, analoghi a quelli che raccolgono ad esempio energia dai passi e che a Tolosa servivano per accendere l’illuminazione pubblica.
In risposta alle sollecitazioni meccaniche, essi generano una piccola quantità di energia elettrica: che nel caso della Piezo Shover viene appunto impiegata per scaldare l’acqua.

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La doccia autoriscaldante è per ora un’idea lontana dall’approdare nei negozi di articoli per bagno. Ha vinto il secondo premio a SaloneSatellite, un evento del salone Internazionale del Mobile di Milano dedicato ai giovani designer.
Il blog di Piezo Shover
Piezo Shower su Red Ferret
Piezo Shower su Treehugger
Piezo Shower su Mocoloco
Il comunicato stampa di SaloneSatelite
Fonte

mercoledì 2 giugno 2010

“GAZA VOLEVA ACCOGLIERVI COME VINCITORI”

Continuano a diffondersi in tutto il Medioriente [it] - e nel resto del mondo - lo shock e l'indignazione alla notizia delle uccisioni a bordo della Freedom Flotilla [en] avvenute lunedì mattina.
Ecco alcune reazioni dei blogger palestinesi subito dopo aver appreso dell'attacco [en] israeliano alle navi cariche di aiuti dirette a Gaza.

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La Freedom Flotilla lungo la rotta (foto di FreeGaza, su licenza Creative Commons)

Gli studenti autori di Life on Bir Zeit Campus (Birzeit [en] è un università in Cisgiordania) si mostrano impotenti davanti all'intervento [en] di Israele:
Quanto commesso nelle prime ore di oggi è incomprensibile. Non ha nessun senso. È orribile, inutile e brutale. […] La sensazione peggiore è quella di sentirsi desolatamente disperati, sapendo di non poter fare nulla, mentre quelle brave persone sulla flottiglia sono state ferite o uccise o hanno dovuto subire momenti di terrore a causa di uno Stato mentalmente disturbato.
Mutasharrid è un blogger di Gaza che attualmente studiando in Cisgiordania, e riflette sui passeggeri della flottiglia [ar]:
أحرار العالم، أيها الارهابيون بتصريح الجيش، لا لم تكسروا الحصار، ولم تتعمّد أناملكم برمال شاطئ طُهرها المخضّب بدموع هُدى وبدماء أخوتها ولا بنيتم قلعة الحريّة الرمليّة هناك، لكنكم كسرتم – روحي فداكم – شيئاً أكثر عصياناً، كسرتم الصورة الكريستاليّة للدولة القائمة على الماكياج والتزييف، نزعتم ورميتم عرضَ البحر قناعها المزوّر، كشرتم عن أنياب أسطول حربي كامل يقف في مواجهة علبة دواء وكرسي مُتحرك!
Gente libera da tutto il mondo. Terroristi con un ordine dall'esercito. No, non siete riusciti a rompere l'assedio. I vostri piedi non hanno raggiunto le spiaggie, rese fertili dalle lacrime di Huda [en] e dal sangue delle sue sorelle. Non avete potuto costruire il castello di sabbia della libertà. Ma siete riusciti a rompere - possa la mia anima essere sacrificata per voi - qualcosa di più grande. Avete rotto l'immagine di cristallo di uno Stato costruito sull'imbroglio e la falsità. Dal mare avete svelato la maschera, e mostrato gli artigli e le zanne di una flotta di navi che era in pieno allarme per una scatola di medicine e una sedia a rotelle.

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La Bandiera della Freedom Flotilla

Ola, che scrive su From Gaza, aggiunge quanto segue in un post intitolato Pirati del Mediterraneo [ar]:

لمن كان يعتقد أن عصر القراصنة قد ولّى ..
أو انه اصبح مقصورا على الخيال في أفلام هوليوود
فكر مرة أخرى !
أما أنتم يا شهداء أسطول الحرية ..
أردات غزة ان تستقبلكم كفاتحين .. فاستقبلتكم السماء كشهداء
تبكيكم امواج البحر والنوارس وشمس الغروب ..
Per coloro che pensavano che l'era dei pirati fosse finita…
O che rimanesse confinata alla fantasia dei film di Hollywood…
Ripensateci!
Voi, i martiri della Flotta della Libertà…
Gaza voleva accogliervi come vincitori…ma il paradiso vi riceverà come martiri…
Le onde del mare e i gabbiani e il tramonto piangono tutti per voi…
di Mays Dagher · tradotto da Davide Galati
Fonte

martedì 1 giugno 2010

NATURA CONTRO…

Guatemala City, la voragine ...
 clip_image001 Associated Press
Le piogge tropicali portate dalla tempesta Agatha hanno messo in ginocchio il Guatemala. Questa immensa voragine si è aperta nel centro di Guatemala City, tra le città più colpite. In quel punto sorgeva una palazzina di tre piani, risucchiata completamente dal crollo della sede stradale.

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Copyright © 2010 Associated Press - Tutti i diritti riservati.

Nell'incidente è morto un uomo. Le cause dell'incredibile voragine sono ancora dubbie e i geologi stanno analizzando il terreno per capire cosa sia successo in quella particolare area.

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Copyright © 2010 Associated Press - Tutti i diritti riservati.

Una tragedia che a Guatemala City non è nuova: nella stessa area si era aperta una voragine altrettanto impressionante tre anni fa

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Copyright © 2010 Associated Press - Tutti i diritti riservati.

In quell'episodio erano morte tre persone e la causa era stata attribuita al sistema di drenaggio, incapace di far defluire l'acqua portata dagli uragani.
foto: AP Photo/Guatemala's Presidency, Luis Echeverria
Fonte

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