mercoledì 30 giugno 2010

L’ITALIA È CAMBIATA

“Cinquant'anni dopo il 30 giugno 1960, il giorno della rivolta di Genova contro il governo Tambroni e il suo alleato Msi, a Genova una serie di inziative ricoderanno una pagina di storia che ha cambiato l'Italia - In fondo alla pagina, le foto degli scontri.

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Piazza De Ferrari, 30 Giugno 1960, la rivolta dei "centomila": la Resistenza continua

Genova, ancora una volta, protagonista principale della storia di piazza. I ragazzi dalle magliette a strisce sono diventati un'icona dell'Italia. Quella mattina d'Estate un oggetto di cultura di massa, un vestito alla moda è diventato il segno di una nuova generazione nata dalla resistenza partigiana. E' la prima rivolta moderna, drammatica e consapevole. Raccontare Genova è anche un'archeologia di un campo di battaglia. 
Piazza De Ferrari brucia, quel 30 giugno del 1960. La protesta dei lavoratori, degli studenti, dei ragazzi con le "magliette a strisce", è esplosa. Non vogliono che il Msi, alleato del governo Tambroni, tenga il suo congresso a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. 
L'insurrezione è preparata da tempo, da almeno un mese, la Camera del Lavoro tiene contatti non ufficiali con i partiti dell'opposizione; si vuole capire, come dice la voce fuori campo "qual è la verità". Che cosa ha in mente di fare il governo guidato da Mario Tambroni che per restare in sella si è scelto il Msi, dove hanno trovato casa gli ex fascisti, come alleato.
Il clima in città è teso, via via che arrivano le notizie dalla capitale, via via che si diffondono all'Università, in porto, nelle fabbriche, già duramente provate, in quel primo dopoguerra, da una serie di scioperi, all'Ansaldo, come alla San Giorgio. Al loro fianco si schiera la Camera del Lavoro e dalla Prefettura arriva l'ordine di scioglimento. E' l'ultima scintilla. Viene proclamato lo sciopero generale, per il 30 giugno. ..continua
Due giorni prima la protesta, ha come protagonista, in piazza della Vittoria, il futuro presdidente della Repubblica, Sandro Pertini. Con quello che passerà alla storia come il discroso de "u bricchettu", il fiammifero, Pertini incita alla ribellione. Si deve difendere la Resistenza e i suoi valori, dice Pertini " e noi faremo il nostro dovere fino in fondo". Il 30 giugno la città è sotto assedio, la polizia è schierata in forze, c'è un primo corteo che si sciglie in piazza della Vittoria, di fronte al luogo scelto per il congresso missino. Da lì i manifestanti risalgono fino a piazza De Ferrari. 
Tra loro, ex partigiani, politici, ragazzi. Inziano gli scontri, durissimi, una camionetta dalla "Celere" viene rovesciata. Saranno gli uomni del servizio d'ordine, molti ex combattenti del Cln, il Comitato di Liberazione nazionale, a far desistere quelli che, davvero, vorrebbero andare fino in fondo. Il congresso salta, la rivolta si estende: a Reggio Emilia, ci saranno dei morti, come a Licata, in Sicilia e poi ancora rivolte a Roma e Palermo. Un mese dopo Tambroni si dimette. Finisce il centrismo, si apre l'epoca dei governi di centrosinistra con il Psi alleato della Dc. Genova, ancora una volta, è stata la prima, in Italia a ribellarsi. A vincere una battaglia di popolo.

- IL PORTUALE, IL SINDACALISTA, LA FEMMINISTA: La rivolta di Genova nelle parole di chi c'era.

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Camalli in porto

Il "camallo" (Il portuale) - Paride Batini, entrato in porto giovanissimo come lavoratore occasionale e più volte eletto console della Compagnia Unica dei portuali, nel 1960 aveva 26 anni e partecipò a tutte le manifestazioni.
- Come nacque la mobilitazione?
«Nacque già molto tempo prima del 30 giugno, settimane prima, e in modo del tutto spontaneo. Quando si diffuse la notizia che a Genova ci sarebbe stato questo congresso fascista, tutte le forze democratiche incominciarono a mobilitarsi. L’organizzazione della protesta non era in mano ad un partito o a un gruppo specifico, per tutta la città si diffondevano
gli inviti a mobilitarsi affinché fosse chiara l’opposizione di tutti alla decisione di tenere qui a Genova il congresso dell’MSI. Noi portuali dopo il lavoro ci fermavamo sempre in piazza Banchi a discutere.
(...) E via via che la data del congresso si avvicinava, il nostro coinvolgimento cresceva e gli incontri in piazza Banchi diventavano il punto di riferimento dell’intera giornata. (...) E spesso partivamo in corteo, con destinazioni che sceglievamo al momento. Ci furono molte scaramucce con la polizia, anche perché noi non sapevamo che si dovesse chiedere l’autorizzazione per fare un corteo, e i poliziotti a volte ci lasciavano passare, a volte volevano impedircelo.
Ma se è vero che ci comportavamo in maniera spontanea e magari ingenua dal punto di vista organizzativo, è altrettanto vero che avevamo, invece, ben chiara la nostra motivazione e il nostro obiettivo: non volevamo che il congresso si tenesse a Genova e avevamo tutte le intenzioni di far sentire la nostra protesta».
- E arriviamo alla grande manifestazione del 30 giugno...
«Il 30 giugno era stato proclamato sciopero generale. Siamo scesi tutti in piazza e dopo il comizio è scattata una scintilla. C’era la famosa Celere di Padova, che era considerata una specie di corpo speciale ed era composta da picchiatori, e il loro capitano all’improvviso ha suonato la tromba e sono partiti i primi caroselli. Si è subito aperto un conflitto fortissimo.
Le camionette, lanciate alla massima velocità, ci venivano addosso fin sotto i portici per disperderci (...). I più giovani di noi non sapevano come comportarsi nel caos dei tafferugli, anch’io ero molto confuso e per fortuna (...) un amico del mio quartiere, che era stato un partigiano di montagna, si è preso cura di me e mi suggeriva come muovermi e dove nascondermi. (...) La guerriglia andò avanti fino al tardo pomeriggio e questi caroselli della polizia, che erano partiti alla grande contando sull’effetto sorpresa, piano piano hanno dovuto ridurre la velocità e l’intensità perché erano circondati da ogni parte, finché si sono dovuti fermare del tutto». 
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Piazza De Ferrari, sfilano i comandanti partigiani, i leader sindacali e politici della Sinistra

Il sindacalista - Giordano Bruschi, è stato uno dei protagonisti del giugno 1960. Già partigiano, all’epoca aveva 35 anni ed era segretario del sindacato dei marittimi e componente della commissione esecutiva della CGIL. Oggi, sempre molto impegnato, è un membro del comitato nazionale di Rifondazione Comunista.
- Lei avvicina quei giorni lontani del giugno 1960 a quelli più recenti del G8, che hanno visto di nuovo Genova protagonista delle prime pagine...
«Sì perché nel Sessanta, così come oggi col movimento no global, ma senz’altro anche ai tempi della Resistenza e nel ‘68, ci fu l’azione congiunta di una vecchia generazione di militanti e di un movimento di giovani. E nella storia del nostro paese tutti i grandi passi avanti si sono compiuti in momenti di saldatura fra due generazioni. Il 30 giugno 1960 portò in piazza la forza operaia che aveva fatto la Resistenza, molto antifascista anche perché a Genova fra il ‘43 e il ‘45 si erano verificati episodi di una crudeltà inaudita, con stragi, fucilazioni e deportazioni, insieme ai giovani con le magliette a strisce - che erano un po’ la divisa, il simbolo della nuova generazione - i quali si affacciavano alla politica».
- Cosa succedeva prima di quel giorno?
«La situazione politica italiana in quel periodo registrava una svolta a destra: il governo Tambroni era sostenuto dal voto determinante dei fascisti. Alcuni ministri democristiani non vollero mescolarsi con la destra e si dimisero, Tambroni che pur proveniva dalle file della sinistra democristiana, rimase. In cambio dell’appoggio fornito al governo, il Movimento Sociale, che era in cerca di legittimità, chiese di tenere il proprio congresso nazionale a Genova e scelse come Presidente proprio il "boia" Basile. Ovviamente era una provocazione per la città, medaglia d’oro alla Resistenza, che da quel Basile aveva patito violenza».
- Lei era già in politica all’epoca?
«Facevo parte della commissione esecutiva della Cgil, l’organismo composto da 22 membri che decise lo sciopero per il 30 giugno 1960. Segretario della CGIL all’epoca era Bruno Pigna e vicesegretari erano Fulvio Cerofolini, uno dei protagonisti di quei giorni, e Giuseppe Sulas».
- Cosa accadde?
«Il primo segnale di protesta risale al 2 giugno del 1960, nel bosco di Pannesi, dove si teneva tutti gli anni il raduno dei Partigiani in ricordo della Resistenza. In quell’occasione si sparse la voce inaccettabile: "Tornano i fascisti".
Il 5 giugno apparve su "l'Unità" una lettera accorata scritta da un partigiano operaio, Giulio Bana, deceduto un paio di anni fa, che era stato mio compagno di lavoro alla San Giorgio, una grande fabbrica di Sestri Ponente, e poi era stato licenziato nelle vicende dell’occupazione della fabbrica nel 1950. Egli scrisse un bellissimo appello per una mobilitazione, che fu raccolto in tutta la città, non solo nelle fabbriche (...)».
- Poi ci fu il famoso comizio di Pertini...
«Sì, poi ci fu la grande manifestazione del 28 giugno col comizio di Sandro Pertini in piazza Della Vittoria. Nel frattempo il mio sindacato proponeva a Cisl e Uil un’azione antifascista unitaria, ma Cisl e Uil risposero di no, e noi dovemmo decidere da soli di fare uno sciopero che destava preoccupazione, anche nelle forze politiche e nello stesso partito comunista a Genova, perché si temevano moti violenti a seguito delle previste provocazioni.
Tambroni, per ricambiare i voti che gli venivano dai fascisti, disse che il congresso si sarebbe tenuto ad ogni costo e mobilitò i reparti di polizia più duri dell’epoca, in modo particolare il reparto Celere di Padova. Vennero da fuori a migliaia e migliaia e fu un’anteprima del G8 (abbiamo le foto, siccome c’erano dei cantieri a Piccapietra, la zona fu chiusa, allora non utilizzarono le grate o i container, ma filo spinato)»...
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Corteo femminista sfila nelle vie di Genova

La femminista - Francesca Busso, nata nel 1926 e laureata in sociologia, si è sempre occupata di politica, come funzionario del Pci, consigliere comunale e regionale, assessore e vicepresidente del consiglio regionale. 
Quali questioni le stavano più a cuore?
«Le tematiche sociali e soprattutto il movimento delle donne, le quali all’epoca, all’interno del Partito Comunista, erano molto numerose e anche ben organizzate. C’erano le commissioni femminili, i gruppi delle donne e naturalmente c’era l’UDI (l’Unione Donne Italiane), che era nata nel periodo dell’antifascismo, nel 1943, e poi aveva continuato la sua attività in favore delle donne con rivendicazioni molto elementari e concrete, come quella diventata famosa del bicchiere di latte per i bambini, poi della mensa e del doposcuola.
Negli anni Sessanta si iniziò ad eleborare una politica che riguardava maggiormente i processi di emancipazione della donna, le possibilità nel mondo del lavoro e la parità salariale. Una delle prime battaglie è stata per una legge sulla tutela della
maternità».
Quale ruolo giocarono le donne nelle manifestazioni del giugno 1960?
«Le donne, che avevano già avuto modo di affermare concretamente il loro antifascismo alla fine della guerra, nel 1960 tornarono in piazza e costituirono anche un comitato unitario che si opponeva al congresso dell’Msi. Del resto la loro partecipazione non era certo una novità: nelle lotte operaie sono sempre state molto presenti. C’erano le mogli dei lavoratori che difendevano il posto del marito oppure le manifestazioni di sole donne davanti alla Prefettura, che cercavano di ottenere migliori condizioni di vita. Comunque dietro alla partecipazione così vasta al movimento del 30 giugno, oltre all’antifascismo, c’è anche un fattore sociale. L’Italia in quegli anni stava cambiando velocemente. (...) A Genova poi la trasformazione era stata più pesante che altrove, con la fine dell’industria di guerra e la perdita di centralità della città, che in quegli anni vede scomparire anche tutta una serie di industrie leggere, dove erano occupate molte donne. Chiude infatti una rete di aziende tessili, dell’abbigliamento, anche un’industria chimica come la Mira Lanza...
Cosa soprattutto vi spinse in piazza il 30 giugno?
«La partecipazione delle donne, insieme a quella dei lavoratori, che intervennero in massa, di tanti giovani, che portavano avanti anche le loro rivendicazioni, e di rappresentanti di tutti i ceti sociali, si spiega senz’altro con la motivazione profonda dell’antifascismo, il collante generale che ha portato tutta la popolazione in piazza. Il Movimento Sociale era visto come erede del fascismo e Genova certamente ricordava ancora le deportazioni e i disastri della guerra».

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25 giugno 1960 - Docenti e studenti manifestano alla Casa dello studente di C.so A.Gastaldi

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25 giugno 1960 - Piazza Banchi (centro storico-angiporto) durante il comizio dei movimenti giovanili

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30 giugno 1960 - pomeriggio- Il corteo dei «centomila» sfila in Via xx Settembre (centro della città)

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30 giugno 1960 - posti di blocco della celere nel centro della città

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30 giugno 1960 - piazza De Ferrari - I reparti celere di Tambroni

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30 giugno 1960- piazza De Ferrari- La folla dei manifestanti antifascisti si disperde: successivamente la polizia entrerà in azione ed esploderà la rabbia popolare. I giovani antifascisti e i partigiani risponderanno colpo su colpo alle provocazioni poliziesche ordinate dal ministro degli interni del governo Tambroni.

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30 giugno 1960 - Piazza De Ferrari - I reparti Celere entrano in azione

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30 giugno 1960 - Primi scontri tra Piazza De Ferrari e Via XX Settembre

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30 Giugno 1960 - La rivolta in Piazza De Ferrari

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Fuggiti i fascisti da Genova, l'antifascismo genovese conferma la continuità della lotta antifascista del 30 giugno con la Resistenza Partigiana.”

Scritto da Laura Cipo

MA........
  VISTA LA SITUAZIONE IN CUI CI TROVIAMO, ABBIAMO IMPARATO MOLTO POCO DALLA NOSTRA STESSA STORIA.

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