martedì 23 marzo 2010

VOGLIA DI BICENTENARIO, UNITÀ E OPERE FARAONICHE

Le opportunità di un anniversario che in America Latina ricorda le guerre di indipendenza dal colonialismo spagnolo. All’orizzonte una quantità stupefacente di iniziative, mentre a Città del Messico spunta l’idea della Torre Bicentenario (300 metri), ispirata alla Piramide del Sole: verrà inaugurata alla fine di quest’anno, diventando l’edificio latinoamericano più alto. Ma a che punto si trova il processo di cooperazione tra i vari Paesi? Quali sono i contrasti che ne impediscono l’ulteriore sviluppo?

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Non c’è terapia migliore per l’unità nazionale della celebrazione di un anniversario eroico, né governanti che rinuncino a utilizzare quegli eventi per rappezzare le divisioni, o risvegliare gli entusiasmi smorti. Tra il 2009 e il 2011 ricorrono i bicentenari delle lotte di indipendenza di otto Paesi latinoamericani (tra cui Ecuador, Cile, Argentina e Bolivia), e da qualche anno quegli Stati si preparano a festeggiare l’anniversario con una quantità stupefacente di iniziative, non solo simboliche. In nome del Bicentenario verranno inaugurati parchi e strade, si inventeranno festival e marce, saranno coniate canzonette e film. Abbonderanno i dibattiti sull’importanza di quell’evento e il suo profondo significato simbolico: cosa vuol dire Bicentenario, al di là del senso letterale, e cosa si festeggia esattamente.
Di quale indipendenza si parla. E a che punto si trova l’integrazione dell’America Latina dopo due secoli in cui questa, smarcatasi dalla Spagna, marcia per la sua strada. Molti analisti si sono chiesti se non sia il caso di definire il futuro invece che celebrare il passato, cercando la strada migliore per cancellare disparità e diseguaglianze, razzismi e intolleranze, studiando un’armonia tra i popoli al di là di quella apparente dei vari Paesi: divisi non solo da posizioni politiche ma spesso, e più crudelmente, da beghe di confine, da piccoli egoismi di territorio, dalla coscienza della propria superiorità (nel caso dei più ricchi), da sciovinismi non risolti e da rancori per ingiustizie mai inghiottite né ripagate, dal senso di estraneità delle etnie emarginate che si sentono, a torto o a ragione, trascurate da quei festeggiamenti.
Eppure, i riconoscimenti del Bicentenario comprendono e riconoscono tutti, e si fanno un dovere di non trascurare nessuna delle tante componenti della “grande famiglia” latinoamericana. Per esempio, l’ex presidente cilena Michelle Bachelet si è prodigata qualche mese fa in un sincero mea culpa e si è scusata per i massacri commessi dai cileni contro le popolazioni indigene. Il Cile (il cui anniversario dell’indipendenza cade il 18 settembre del 2010), ha in calendario uno straordinario assortimento di eventi tra cui (inevitabili) il lancio di canti indigeni e dell’isola di Pasqua: un piccolo contributo in un caleidoscopio che prevede migliaia di iniziative di ben altro appeal che vanno dal completamento del gigantesco Parque Bicentenario (250 ettari di un nuovo polo di sviluppo urbano per migliorare la qualità della vita della capitale) alla recente inaugurazione del Museo della Memoria e dei Diritti Umani, e inoltre pubblicazioni sull’importanza del Bicentenario, progetti di strade e promenade, intere linee dedicate all’indipendenza nelle varie istituzioni di governo.
A coordinare i lavori multilaterali (non solo cileni) sul Bicentenario è il Gruppo Bicentenario, inaugurato dall’ex presidente Ricardo Lagos qualche anno fa a Santiago. La parola Bicentenario è d’altronde, da due anni a questa parte, probabilmente le più pronunciata nei notiziari televisivi e ormai fa parte del linguaggio comune, benché le aspettative della gente non sempre siano in linea con i proclami ufficiali. «Che cosa si aspetta dal Bicentenario? », chiedo a una signora che smanetta in uno stand del mercato centrale di Santiago (ha lunghi capelli stinti e un’espressione incarognita già la mattina presto): «Che finiscano i lavori nella strada davanti a casa mia, che è tutta buchi». Un uomo accanto a lei aggiunge con forza: «Che i transantiago, che sono uno schifo» (i transantiago sono i nuovi, smaglianti autobus che da tre anni hanno sostituito nella capitale le vecchie micro). «Che rimandino a casa loro i peruviani, che rubano”. Spalanco gli occhi. Ma come, il Bicentenario, l’integrazione, i Paesi fratelli? «Non tutti rubano», interviene una signora di mezza età, dall’aria tollerante. «E però molti si, molti di loro rubano».
L’attivismo del Messico hj
“Un miscuglio di noiosa storia ufficiale, opinioni riciclate di storici e di accademici, saluti alla Bandiera e show bicentenari sarà quello che provedremo quest’anno, e non ci tocca che rassegnarci”, ha scritto di recente Fernando Ramón Bossi, presidente della Fundacion Emancipación e direttore del Portale Alba. Ovviamente, il Bicentenario non sfugge ai vizi di eventi simili, e infatti suonano vagamente retorici il poema “Nostalgia de Bolívar”, del venezuelano Eugenio Montejo e il ciclo audiovisivo “Orgullosamente mexicano” lanciato di recente in Messico. Quest’ultimo Paese, che conquistò l’indipendenza dopo una storia lunga e sofferta, è tra i più attivi nel dar risalto all’anniversario: 2.300 eventi tra cui l’apertura di gallerie dedicate al Bicentenario e la consegna, a tutte le famiglie, del libro Viaje por la historia de Mexico. Il presidente Felipe Calderón ha utilizzato l’evento per un appello, piuttosto accorato, all’unità del Paese: «Voglio invitare, in quest’anno del Bicentenario dell’Indipendenza e del centenario della Rivoluzione, sia le messicane sia i messicani di tutti i gruppi, partiti, regioni, religioni, diverse maniere di pensare e di sentire riguardo al nostro Messico. Voglio chiamarvi a dimostrare che siamo capaci di unirci nell’ideale di Paese, intorno a queste commemorazioni. Che queste date così significative superino le nostre legittime discrepanze e differenze». Passerà anche per il Messico la grande carovana automobilistica che, nei prossimi mesi, porterà centinaia di persone dall’Alaska alla Patagonia, una grandiosa peregrinazione simbolica che racchiude in sé il senso più innovativo dell’anniversario: il panamericanismo, la contemporaneità, il progressivo avvicinamento a nuove culture, il faticoso cammino degli immigrati.
«I festeggiamenti per il bicentenario hanno un senso se si staccano dalla pura celebrazione e diventano lo spunto per una riflessione sui risultati raggiunti e si proiettano verso il futuro», ha dichiarato un accademico cileno. E infatti, accanto alle mastodontiche celebrazioni, fioriscono i dibattiti: interi forum sull’integrazione, sulle conquiste fatte nella lotta alla povertà e nei diritti umani, e sul futuro dell’America Latina. Por que camino va?, si chiedono gli analisti le cui risposte sono ovviamente ondivaghe, basate su ipotesi e viziate da troppe variabili. Perfino gli accordi di cooperazione economica della ragione (dalla Aladi al Mercosur, passando per Unasur e Gruppo di Rio) non sono una garanzia e procedono a tentoni. È vero che hanno contribuito a rafforzare l’America Latina come blocco economico e a dare ai Paesi un potere contrattuale maggiore rispetto a quando agivano bilateralmente, ma sono ben lontani dal garantire all’America Latina la coesione che caratterizza l’Unione europea.
Un politico puzzle
A dispetto di trattati e accordi l’intera regione è ancora lacerata da divisioni soltanto in parte ideologiche. Molti Paesi del subcontinente hanno virato verso una sinistra radicale, ma alcuni sono assestati su posizioni di centro-destra (Colombia, Cile e Perù) e altri, come il Brasile, hanno optato per una sinistra moderata di modello europeo. La dipendenza politica della Colombia dagli Stati Uniti crea seri pro blemi tra questa e il Venezuela, che accusa il vicino di cospirare contro il presidente Chávez in combutta con gli States. Anche i rapporti tra Bolivia e Cile corrono su un terreno scivoloso. I due Paesi hanno interrotto le relazioni diplomatiche a causa della perdita dell’accesso al mare della Bolivia durante la Guerra del Pacifico (alla fine del 1800), benché la gestione Bachelet abbia fatto di tutto per avanzare nella risoluzione di quel problema (peraltro, finora irrisolvibile a causa del rifiuto del Cile di restituire il territorio conquistato).
Un altro contenzioso delicato divide da qualche anno Perù e Cile, per la pretesa sovranità peruviana su un tratto di mare di 38.000 chilometri quadrati (al momento territorio cileno) al largo della costa peruviana e cilena: il tribunale dell’Aja dovrebbe decidere sulla questione entro il 2012, e nel frattempo c’è qualche schiarita tra i due Paesi, in seguito all’elezione di Sebastián Piñera alla presidenza del Cile. Mentre gli antichi conflitti tra i vari Paesi si accentuano e si attenuano a seconda dei governanti e delle necessità storiche (gli appelli all’unità nazionale contro i cattivi vicini sono notoriamente la risorsa dei leader che registrano cali di popolarità), la povertà diminuisce, passando nel 2006 a meno di 200 milioni (il 36% della popolazione complessiva), per la prima volta in quindici anni, secondo i dati della Cepal (la Commissione economica per l’Ameria Latina che collabora con l’Onu).
Il Paese più povero è Haiti, ma la diseguaglianza resta un problema anche negli Stati più ricchi come il Cile. Dal tempo delle guerre di indipendenza si sono fatti parecchi passi avanti, a partire dalla conquista della democrazia per quei Paesi che sono passati, quasi in contemporanea e negli anni Settanta, sotto le forche caudine di dittature brutali. L’economia della regione è cresciuta, dal 2004 al 2009, del 5% ogni anni con una caduta recente dovuta alla crisi mondiale ma con incoraggianti segnali di ripresa, stando a molti analisti. Secondo Latinobarómetro, un singolare strumento che realizza studi sull’opinione pubblica in 18 Paesi dell’America Latina, anche la percentuale di latinoamericani felici è aumentata di parecchio rispetto ad alcuni anni fa. Nel 1997, soltanto il 41% si dichiarava felice, il 25% in meno rispetto al 2008. Sembra che la felicità sia associata al maggior benessere ma soprattutto alla crescente libertà democratica.
Il ruolo della Spagna
Uno dei quesiti che ci si è posti per il Bicentenario è stato se, e in che misura, la Spagna potesse partecipare alle celebrazioni, e c’è chi avrebbe posto come condizione che facesse le sue scuse ai Paesi della ex Colonia. Una inchiesta della Bbc ha cercato di capire cosa pensassero al riguardo i cittadini dei vari Paesi latinoamericani e ha collezionato risposte inaspettate come, per esempio, quella di Nicolás, di Aguascalientes: «Chi siamo per meritarci delle scuse? Non siano indigeni, non siano negri, non siano spagnoli, siamo “latinoamericani”. Tra i nostri avi ci sono vittime e carnefici, violentatori e violentati, una parte di me merita le scuse da parte della Spagna e l’altra parte no. Tutti noi portiamo cognomi o una parte dei nostri cognomi spagnoli, coloro che chiedono delle scuse mi sembrano alienati dal processo di formazione della identità....». Sarebbe perfetto, non fosse che la formazione della identità latinoamericana non è stata, per molto tempo, una romantica passegiata di etnie e culture diverse, ma in molti casi un cammino a senso unico che ha tagliato fuori una gran parte di quelle, in generale le cosidette popolazioni originarie.
In ogni caso, nel mondo latinoamericano di oggi, variegato e interessante, quelle etnie e culture hanno trovato a mano a mano uno spazio migliore rispetto a un tempo: 579 milioni di abitanti divisi tra Amerindi, Creoli, Meticci e Afroamericani, la metà ha meno di 25 anni. Ci sono ebrei, abitanti dell’estremo Oriente e balcanici ed europei, giunti a ondate nel corso delle varie immigrazioni. Un macrocosmo diviso tra tendenze ancestrali e aspirazione “globali”. Il simbolo del Bicentenario potrebbero essere le sfilate ufficiali della popolazioni indigene scelte dal governo venezuelano di Hugo Chávez per commemorare l’indipendenza del suo Paese. Ma anche, con uguale diritto, l’avveniristica Torre Bicentenario che verrà inaugurata a Città del Messico alla fine di quest’anno, diventando il palazzo più alto dell’America Latina. Alto 300 metri divisi su settanta piani, è ispirato alla Piramide del Sole e può considerarsi un vero monumento dei nostri tempi, nel senso migliore. Ottimizza i sistemi di aria condizionata, acqua e luce e consumo energetico, in altre parole si sforza di essere, oltre che un edificio scenografico, anche un’opera sostenibile.

Gabriella Saba da Santiago del Cile

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