sabato 19 dicembre 2009

DEFORESTAZIONE E TRAFFICO ILLEGALE DI LEGNAME

DOSSIER. Una denuncia dell’Ispra: negli ultimi venti anni 250 milioni di ettari di foreste tropicali sono andati distrutti. Un’area otto volte più grande dell’Italia. Circa un decimo del commercio internazionale viene da tagli non autorizzati.

Distrutti negli ultimi venti anni 250 milioni di ettari di foreste tropicali, un’area grande otto volte l’Italia. è quanto emerge dall’ultimo rapporto Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sulla deforestazione, intitolato “Deforestazione e processi di degrado delle foreste globali”, presentato ieri a Roma alla presenza di esperti e associazioni. Il rapporto indaga il fenomeno in profondità e analizza le risposte italiane a una piaga che è di scala globale. Il contesto entro cui si consuma la deforestazione, però, ci indica che è il Sud del mondo a patirla particolarmente. La scomparsa di alberi, infatti, interessa quasi 13 milioni di ettari l’anno e per l’85% è concentrata nei Paesi tropicali.
Sembrerebbe il caso di un ennesimo “scambio ineguale” fra Paesi ricchi e poveri, con i primi a trarne i benefici e i secondi a pagare i costi: ma questa volta, è la Terra a pagare il conto. Le foreste pluviali che stanno scomparendo, infatti, sono il vero grande polmone del pianeta; capaci di immagazzinare fino a 200 tonnellate a ettaro di CO2/l’anno, restituendoci quell’ossigeno che ci serve per vivere, anche qui, nel “profondo Nord”. La scomparsa dei biomi forestali è una causa rilevante dell’aumento dei gas serra e del cambiamento climatico. Le emissioni dovute alla trasformazione d’uso del suolo come la deforestazione, infatti, hanno raggiunto addirittura i 5,8 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, rappresentando il 18% di tutte le emissioni legate ad attività umane. D’altronde, evidenzia il rapporto Ispra, con un ettaro di foresta salvata si taglia l’emissione anche di 900 tonnellate di anidride carbonica/l’anno.
La cosa più grave, come emerge dai dati, è che la stessa deforestazione non è semplicemente legata all’industrializzazione, ma all’economia criminale. Circa 1/10 del commercio internazionale di legname proviene, infatti, da tagli illegali, effettuati, per la maggior parte, nelle foreste pluviali. Enormi danni ambientali globali sono generati da un’economia criminale che trasforma il Sud del mondo nel fornitore coatto delle pregiate essenze tropicali utilizzate dai mobilifici di lusso occidentali. I dati Ispra, d’altronde, indicano che, dal 2000 al 2005, i tassi netti più alti di deforestazione si sono registrati in Sudamerica (4,3 milioni di ettari l’anno), in Africa (4,4) e nell’Asia del Nordest (2,8 ). «Le foreste asiatiche vengono rase al suolo per far posto alle coltivazioni di olio di palma », sostiene Giovanni Bianchi, esperto di questioni agroforestali e membro del Comita to scientifico di Terra. Con la deforestazione, quindi, si attiva un vero circolo vizioso con effetti domino e ripercussioni di ordine anche economico, politico e sociale.
La foresta viene riconvertita per usi speculativi a causa della pressione politica esercitata sui Paesi dipendenti dai prestiti del Fondo monetario internazionale o dagli investimenti delle multinazionali interessate allo sfruttamento delle risorse. Intere foreste in Africa o Amazzonia vengono privatizzate per favorire la localizzazione di impianti destinati allo sfruttamento del petrolio, del gas, dell’oro, dell’uranio, del silicio. Inoltre, gli espropri a danno degli indigeni, estraniati dal contatto con le città, generano un mare di disperati che aggravano il debito pubblico dei loro Paesi, indebolendone i governi, o che si riversano in Europa come migranti. Ambiente, società, politica: le implicazioni della deforestazione sono molteplici. In tutti i negoziati sui cambiamenti climatici attualmente in atto, infatti, l’implementazione di politiche di riduzione della deforestazione gioca un ruolo fondamentale. Ma è in questo paradosso che si situano le responsabilità occidentali e dell’Italia. I governi dei Paesi ricchi, infatti, hanno realizzato delle politiche di riforestamento, in Europa e Nord America. Ma il saldo del rapporto fra il riforestamento (dell’Occidente) e il depauperamento (del Sud) è negativo.
«Mentre da una parte l’Italia si mostra virtuosa, incrementando il proprio patrimonio forestale - racconta a Terra Vincenzo Ferrara, climatologo dell’Enea - dall’altra, con l’importazione di legname di provenienza illegale, è indiretta mente responsabile di fenomeni gravi e preoccupanti, come la deforestazione e il degrado progressivo del patrimonio forestale di molti Paesi in via di sviluppo. La deforestazione è attuata non per ricavare pascoli o terre da coltivare, ma per il commercio illegale del legno». L’Italia, infatti, nota Ferrara, è una nazione leader nel commercio illegale di legno. E, leggendo i dati Ispra, emerge che, anche nel settore legale, l’Italia importa e consuma più legno di quanto ne restituisca al pianeta attraverso le politiche di salvaguardia del proprio patrimonio arboreo. «è il caso di puntare sempre e solo sulle politiche di salvaguardia delle foreste - pungola Bianchi -. La salvaguardia di un ettaro di bosco, da parte di un Comune, non può servire da alibi per inquinare di più di quanto la Terra possa sostenere».

Alessio Postiglione

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