Nell'ultimo mese, la Cina ha firmato accordi con aziende di materie prime russe, brasiliane, australiane e venezuelane. In Australia, per 19,5 miliardi di dollari Pechino ha concluso l'acquisto - in attesa del nulla osta delle autorità di Canberra - del 18 percento della Rio Tinto, un colosso minerario appesantito dal debito contratto per l'acquisizione di un'altra compagnia quando i prezzi erano troppo alti; altri 1,7 miliardi sono stati investiti per il controllo di un'altra società australiana, la Oz Minerals, che potrà così cancellare del tutto il suo debito. Con Rosneft e Transneft (Russia), Petrobras (Brasile) e Pdvsa (Venezuela), inoltre, i leader cinesi in persona hanno firmato nelle ultime settimane diversi accordi "loan-for-oil", cioè prestiti in cambio di forniture di petrolio. Le aziende in questione - scottate dal crollo del prezzo del greggio - riceveranno subito miliardi di dollari da Pechino, che ripagheranno con milioni di tonnellate di petrolio nei prossimi decenni.
Con riserve valutarie stimate in 2.000 miliardi di dollari e un sistema bancario solido, non contaminato dai derivati tossici di cui sono pieni i bilanci delle banche occidentali, Pechino sembra aver deciso che questo sia un buon momento per comprare. Il prezzo del petrolio è sceso da 147 a 40 dollari in otto mesi, le altre materie prime hanno anche visto scoppiare la loro bolla, e il valore in Borsa di molte aziende del settore è sceso di conseguenza. Ma la spesa di Pechino non si esaurisce nel settore delle commodities. Una delegazione commerciale cinese di 300 membri è tuttora in Europa, nel corso di un tour che la porterà a toccare Germania, Svizzera, Spagna e Gran Bretagna. La preoccupazione della Cina è anche quella che il commercio internazionale si blocchi, con gravi ripercussioni sulle sue aziende esportatrici, migliaia delle quali hanno già chiuso a causa della crisi. Anche per questo, Pechino ha usato parole critiche contro le tentazioni protezionistiche europee e americane, in particolare contro la disposizione sul "comprare americano" contenuta - e poi annacquata - nel programma di stimoli fiscali lanciato dall'amministrazione Obama.
Sembra così rafforzarsi l'ascesa "globale" del gigante asiatico. Gli investimenti diretti cinesi all'estero sono passati dai miseri 700 milioni di dollari del 2001 a 40,5 miliardi l'anno scorso, e gli analisti prevedono che la cifrà aumenterà nonostante la crisi. Ma se gli accordi appena firmati sembrano saggi, negli anni Pechino ha comunque commesso clamorosi errori di tempistica. Il fondo sovrano cinese è entrato nel capitale di società finanziarie come Morgan Stanley, Barclays e Blackstone dopo i primi scossoni dell'attuale crisi, vedendo il suo investimento ormai svalutato di circa due terzi. Non sempre, poi, le acquisizioni vanno a buon fine: nel 2005 l'azienda petrolifera Cnooc era sul punto di comprare la californiana Unocal, ma le reazioni anti-cinesi al Congresso di Washington convinsero Pechino a ritirare l'offerta. Con i tempi che corrono, però, dire di no a chi si presenta con denaro contante sembra essere più difficile.
3 commenti:
Ciò che mi spaventa della cina, oltre a quel governo che stringe la corda sui diritti umani, è il fatto che semplicementi i maschi cinesi si ritroveranno senza una donna. Il che si può anche pensare, che alla fine, proveranno a smuovere guerra. La storia insegna ancora è che non vogliamo capirlo.
@Le Favà
Le troveranno: già da circa un decennio, ad esempio, i cinesi vanno a procurarsi mogli russe nelle località di confine.
Per il resto, vorrei rettificare un po' le conclusioni che riporti.
La Cina non ha grnchè intenzione di comprare in occidente, perchè non ha bisogno della tecnologia occidentale: ha la propria. Gli esempi che tu citi sono infatti verso paesi emergenti piuttosto che i più sviluppati, e tu non riporti il maggior mercato dei cinesi, che è costituito dall'Africa.
Quindi, il pericolo non sta nel fatto che i cinesi si comprino le nostre cose, ma che non se li comprino, ma che sostituiscano l'occidente nello sfruttamento delle aree sottosviluppate.
@Vincenzo
Hai ragione. Ho dimenticato i grandi investimenti della Cina in Africa, sia in campo minerario che in quello agricolo, di fatto sostituendosi al nostro datato sfruttamento. Grazie della correzione.
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