L'immigrazione ne era una logica conseguenza: chi mangia un pugno di riso al giorno ha solo da guadagnare trasferendosi nei Paesi "sviluppati". Lo sfruttamento consente salari comunque ottimi rispetto ai Paesi di provenienza, e la guerra tra poveri fa sì che i governi, se da una parte tuonano contro l'immigrazione selvaggia, dall'altra la favoriscano per compiacere le imprese.
Ora il meccanismo si è inceppato. Non c'è più consumo, né produzione: non servono più neanche gli sfruttati. Cosa fareste voi, al loro posto? A casa un pugno di riso è garantito, e la crisi non colpisce chi vive di autoproduzione o di piccolo commercio locale. Inoltre, quando si è ridotti alla sopravvivenza, è sempre molto più prudente nuotare nel proprio mare anziché in quello altrui, dove si è anche malvisti. In fin dei conti, erano qui per guadagnare e non per farci dispetto.
Il Wall Street Journal conferma appunto l'inversione di tendenza: gli immigrati tornano a casa. I messicani tornano in Messico dagli USA, i bengalesi fanno le valigie e lasciano l'inferno di Dubai, i vietnamiti abbandonano Singapore, gli indonesiani salutano per sempre la Corea e la Malesia. E in Europa? Dati e cifre alla mano, il WSJ testimonia un crollo del 55% dell'emigrazione interna (dall'Europa Orientale a quella Occidentale). Alcuni Paesi, come Spagna e Giappone, offrono addirittura incentivi per tornare a casa agli immigrati rimasti senza lavoro. Incentivi accettati più che volentieri: probabilmente sarebbero partiti lo stesso.
Molti si rallegreranno di tale tendenza. Sarà la fine del "problema immigrati", i pochi posti di lavoro rimasti dovremo contenderceli solo fra di noi, e anche i politici avranno un'arma demagogica in meno per ottenere il nostro voto. Quello che rimane, però, è un sottile amaro in bocca e la sensazione di assistere ai topi che abbandonano la nave che affonda.
Resta però il problema dei milioni di rifugiati ambientali.
Chi sono i rifugiati ambientali?
Persone che non possono più vivere sul proprio territorio a causa della siccità, erosione del suolo, desertificazioni, deforestazione o innalzamento del livello del mare.
Nel 2000 erano circa 25 milioni. Questo numero potrebbe raddoppiare entro il 2010, dal momento che in molti paesi si stanno già sentendo gli effetti dei cambiamenti climatici.
Nel 2050 i rifugiati potrebbero raggiungere i 200 - 250 milioni. La stima è fornita dall'IOM (International Organization for Migrations) e da Christian Aid.
Secondo uno studio dell'ONU presentato nei giorni scorsi, le cause principali di migrazioni ambientali sono soprattutto tre:
1. Riduzione della piovosità in America Centrale e in Africa Occidentale: l'immagine sopra mostra ad esempio la situazione centroamericana. Nella maggior parte dei territori la disponibilità di acqua si potrebbe ridurre almeno del 25% nella seconda metà del secolo.
2. Riduzione dei ghiacciai in Asia: questo porterà a inondazioni nel breve periodo e a siccità estive nel medio-lungo periodo. E' appena il caso di ricordare che lungo i fiumi che scendono dall'Himalaya vivono 1,4 miliardi di persone.
3. Innalzamento dei mari, con conseguente riduzione della terra abitabile e salinizzazione. Un metro in più farebbe muovere oltre 23 milioni di persone nel delta del Nilo, Gange e Mekong, con una perdita di 1,5 milioni di ettari di terreni agricoli.
Secondo l'ONU, la maggior parte dei futuri migranti non riuscirà a fuggire abbastanza lontano da evitare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. I luoghi raggiunti potrebbero essere precari come quelli lasciati. Per questo, l'ONU fornisce una serie di raccomandazioni in cui in sostanza si dice che occorrerebbe aiutare di più chi è più a rischio. Semplice e sensato, ma ci sarà qualche governo a raccogliere la sfida?
Sembrerebbe di no, dal modo in cui Nature ha dato la notizia. Secondo la celebre rivista, lo studio dell'ONU "smonterebbe il mito" secondo cui i rifugiati busserebbero alle porte dei paesi ricchi. Peccato che nel documento non si dica nulla di tutto questo, ma anzi si specifchi che "The report does not attempt to indicate specific geographical destinations for migrants in the future." Sembra che Nature voglia più che altro tranquillizzare i suoi lettori che la vita continuerà business as usual.
2 commenti:
Notizia interessante, ma a me sembra piuttosto che l'esodo di immigrati verso le terre d'origine non rappresenterà l'unico effetto sull'occupazione. Penso tuttora che la crisi sia sottovalutata, e che siamo ben lungi dall'uscirne, dovendoci aspettare ulteriori cadute occupazionali, che coinvolgerebbero ora anche le popolazioni dei paesi sviluppati.
Sono d'accordo con te sulla sottovalutazione della crisi, che penso durerà ancora per qualche anno. Le ingannevoli notizie che ci sono segnali di ripresa sono solo segnali di fumo per gli stolti e gli sprovveduti, che purtroppo in Italia sono molti.
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