martedì 20 luglio 2010

U.S.A. PREMIANO DOMENICANO ANTI-SCHIAVITÙ

Il Dipartimento di Stato della Clinton elogia l'impegno contro la tratta di fratel Zavier Plassat nel Nordest .

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Ogni anno il «ministero degli Esteri» del governo americano – ora diretto da Hillary Clinton – assegna un riconoscimento a personalità internazionali che si sono distinte nella lotta al turpe traffico di esseri umani.
Quest’anno, tra i nove premiati, vi è anche un religioso domenicano francese, fratel Xavier Plassat, che lavora in Brasile dal 1983.
L’impegno di fratel Plassat è iniziato con la Commissione pastorale della terra dei vescovi brasiliani e dal 1997 ne è il responsabile per il settore della lotta alla tratta di persone.
Insieme con il suo staff il religioso denuncia casi di lavoro forzato e si impegna in difese giudiziarie contro sfruttatori e aguzzini di lavoratori indifesi.
La struttura di fratel Plassat lavra in tutti e 26 Stati e distretti federali del Paese. Tra gli interventi dello staff figurano anche una serie di interventi a favore di vittime della tratta o di schiavismo ai quali viene affidata la possibilità di un nuovo impegno professionale.
Plassat e il suo gruppo di lavoro opera soprattutto a favore di «schiavi» nella zona del Nord est del Brasile, in particolare contadini nelle piantagioni di caucciù e zucchero.
Fratel Plassat non è nuovo a riconoscimenti: nel 2006 fu insignito della Chico Mendes REsistance Medal, un premio in onore del noto sindacalista ucciso dai latifondisti in Amazzonia; nel 2008 la Presidenza della repubblica del Brasile gli assegnò il Premio nazionale per i diritti umani. Inoltre, la celebre John Templeton Foundation nel 2008 assegnò al consacrato francese, in rappresentanza della Commissione per la terra, l’Harriet Tublam Freedom Award.

Fonte

Xavier Plassat, fratello degli altri
– di Jean-Pierre Tuquoi
in “Le Monde” del 30 dicembre 2008 (traduzione: http://www.finesettimana.org/)

“Una casa monacale. L’espressione viene spontaneamente vedendo i muri nudi imbiancati a calce, i ripiani fatti con mattoni e assi di legno, la cucina che non è una cucina, la lavapanni a mano… In questo caso, l’accostamento non è fuori luogo: è un monaco, un domenicano di 59 anni, Xavier Plassat, che abita in questa costruzione sommaria ad Araguaina, una cittadina brasiliana dello Stato di Tocantins, nel centro del paese, ai bordi dell’Amazzonia.
Fratel Plassat è un caso. Vent’anni fa, già entrato tra i domenicani, questo ragazzo di buona famiglia cattolica, plurilaureato, rompeva gli ormeggi e lasciava la Francia, suo paese natale, per una vita “austera, ma gratificante” a servizio di una causa: quella dei contadini senza terra e dei lavoratori giornalieri legati a grandi tenute agricole, quelli che vengono pudicamente chiamati in Brasile i lavoratori schiavi. “Mi piace impegnarmi nelle lotte del mondo, prendere posizione, dice. Bisogna saper sovvertire l’ordine costituito. Ed aiutare i senza voce a parlare da pari a pari con i potenti.”
Perché il Brasile? L’itinerario del domenicano rinvia ad una pagina oscura della storia del paese, quando era sotto lo stivale dei militari che perseguitavano gli oppositori. Tra di loro, appunto, un altro domenicano, Tito de Alencar, che, dopo mesi di tortura, trovò rifugio in Francia, dove, mai ripresosi dalle persecuzioni subite, si suicidò nel 1974, all’età di 28 anni. Organizzando il ritorno delle spoglie di colui che era diventato suo amico intimo, Xavier Plassat fece la conoscenza del suo futuro paese di adozione.
Da allora le cose sono cambiate, ma in questa parte del Brasile – grande come metà della Francia – fratel Plassat è in terra di missione. Coperta di savana arborea, la regione vive come si viveva un tempo nel Far West. Le fattorie, ciascuna delle quali copre migliaia di ettari, sono i punti di riferimento di un paesaggio senza rilievi, le mandrie di bovini – principale prodotto di esportazione – la base della ricchezza. I proprietari terrieri sono i signori. E i contadini sono una mano d’opera sfruttabile a piacimento. Lavorano duro per guadagnare l’equivalente di 7 od 8 euro al giorno. Il loro sogno è quello di poter coltivare, un giorno, un fazzoletto di terra preso necessariamente ai latifondisti.
Il religioso è loro alleato. Che si tratti di avvertire l’amministrazione federale contro lo sfruttamento della mano d’opera disorganizzata o di reclamare l’applicazione della riforma agraria. Il domenicano è lì, accanto a loro, come lo fu un tempo Bartolomé de Las Casas, cappellano dei conquistadors nel XVI secolo, che prese le difese degli Indiani d’America. “È uno dei miei ispiratori. Anche lui apparteneva all’ordine dei domenicani“, sottolinea Xavier Plassat, vestito con una T-shirt che celebra “l’alleanza tra i lavoratori della terra e gli studenti“.
A metà dicembre, il domenicano si è visto conferire da parte della presidenza della repubblica il Premio nazionale dei diritti dell’uomo. E, alcune settimane prima, una ONG americana, Free the slaves (“liberate gli schiavi”) ha dato una ricompensa all’organizzazione animata da Xavier Plassat, la Commissione Pastorale della Terra (CPT), per il suo lavoro.
I premi, sono qualcosa che serve da protezione. Sono dati anche per questo“, commenta il religioso. L’osservazione non è anodina. Ad alcune centinaia di chilometri, un altro domenicano, Henri Burin des Roziers, anch’egli difensore di reietti ed emarginati, vittime dello “sviluppo”, vive notte e giorno sotto la protezione della polizia. Nel 2005, una religiosa americana, membro attivo della CPT, Dorothy Stang, veniva assassinata da due killer prezzolati in quella stessa regione. È alla sua memoria che la Commissione pastorale ha dedicato il premio ricevuto dalla ONG americana.
Nonostante i premi e l’inizio di notorietà che li accompagna, Xavier Plassat resta un ribelle. Lo era già in Francia, negli anni 70, quando, giovane domenicano, aveva rifiutato di completare gli studi che avrebbero fatto di lui un prete. “Essere prete, ovvero l’ultimo diploma. È una visione della Chiesa a cui non potevo aderire. Avevo un blocco politico, o teologico. Allora, sono rimasto quello che si chiama un frate converso. Non è frequente. In Francia, vengono considerati poco intelligenti“, spiega con gusto l’uomo, che è titolare di lauree in Scienze Politiche ed in Scienze Economiche e di un “diplôme” per l’esercizio della professione di ragioniere-commercialista.
Quarant’anni dopo, continua a contestare l’ordine costituito. Quando parla di Lula, il capo di stato brasiliano – che ha incontrato in occasione della consegna del Premio nazionale dei diritti dell’uomo – lo fa senza particolari riguardi. Pur riconoscendo al dirigente la volontà politica di lottare contro la schiavitù moderna, Xavier Plassat si dice senza illusioni sulle opzioni fondamentali del governo. “Il modello di sviluppo non viene rimesso in discussione“, dice, seduto nel suo studio ornato con un manifesto del Che.
Il religioso, che si ritrova nella teologia della liberazione nata alla fine degli anni 60, è ben più severo quando parla della Chiesa ufficiale e dei suoi responsabili locali. Le rimprovera di essere rientrata nei ranghi, di difendere i ricchi e di dimenticare i poveri. “Non ha più un messaggio, se non quello di un’obbedienza a delle regole discutibili“. Rileva che, da anni, Roma manda in questa regione nient’altro che dei vescovi, la cui principale preoccupazione è soprattutto di non suscitare scalpore. “Abbiamo una Chiesa che vuole ‘distribuire sacramenti’ per contrastare lo sviluppo dei pentecostali. Mi sento sempre più a disagio.
Il disamore finirà con un divorzio? “No, assicura una delle sue amiche francesi, Dominique Marcon. Ma è un uomo di profonde convinzioni. Vuole che le cose vadano avanti. È standogli accanto, prima della sua partenza per il Brasile, che ho capito che cos’era un religioso impegnato nel secolo.” Anche se non c’è separazione in vista, la lontananza è reale.
La Chiesa ufficiale si tiene a distanza da una Commissione Pastorale della Terra giudicata sulfurea, che essa ha tuttavia battezzato negli anni 70, all’epoca della dittatura. “Oggi, constata il domenicano, si fa sempre più fatica a farsi riconoscere come un’istituzione collegata con la Chiesa. Non siamo più invitati all’assemblea pastorale diocesana. Siamo considerati come una ONG laica.
Tenuta ai margini, la Commissione Pastorale della Terra ha sempre più difficoltà a far quadrare il bilancio, già ridotto. Delle associazioni di cooperazione del Nord Europa versano un po’ di soldi, ma non abbastanza. La CPT vive in economia.”

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