giovedì 4 marzo 2010

HONDURAS, COME RIDIPINGERE UN GOLPE

TRANSIZIONE ANTIDEMOCRATICA

Le elezioni del 29 novembre, volute dalle autorità golpiste che hanno deposto, il 28 giugno 2009, il presidente Manuel Zelaya, si sono svolte al di fuori del quadro costituzionale e hanno portato al potere Porfirio Lobo, candidato del Partito nazionale. Il giorno dopo, ignorando la violenta repressione scatenata contro l'opposizione, gli Stati uniti si sono affrettati a riconoscere la validità della consultazione elettorale.

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I poliziotti raccolgono le croci nere, abbandonate a terra dai manifestanti terrorizzati. Ognuna porta il nome di un morto, ucciso durante le dimostrazioni organizzate contro il colpo di stato (golpe) che, il 28 giugno, ha deposto il presidente Manuel Zelaya. Qualche minuto prima, in questo 29 novembre, giorno dell'elezione presidenziale, la folla avanzava pacificamente fino al centro di San Pedro Sula, seconda città del paese. La presenza della stampa internazionale non ha impedito affatto la dispersione violenta della manifestazione.
I poliziotti hanno arrestato quarantasei persone, picchiato tutti quelli che cadevano a portata dei manganelli e distrutto le croci, diventate il simbolo del Fronte di resistenza contro il colpo di stato (Frcg). Una scena tutt'altro che inedita. Alla vigilia dell'elezione, il bilancio della repressione era di trenta morti, quattromiladuecento arresti e un numero incalcolabile di feriti. Da allora, una trentina di militanti del Frcg sarebbero stati uccisi nel quadro di una «ondata di terrore pianificato», secondo il Comitato per la difesa di diritti umani (Codeh) (1). A questo si aggiungono le numerose testimonianze di donne violentate, di dirigenti sistematicamente minacciati di morte e di una popolazione terrorizzata dalla violenza dei militari.

La repressione ha avuto la meglio sulle grandi manifestazioni che hanno paralizzato il paese per cinque mesi. «Per il momento, non è più il caso di manifestare per le strade perché è pericoloso - spiega Rafael Alegria, rappresentante di Vía Campesina in Honduras. Siamo entrati in una nuova fase della lotta». Questa nuova tappa è cominciata con l'elezione presidenziale, che avrebbe dovuto mettere fine alla crisi politica. La consultazione elettorale, vinta da Porfirio Lobo, del Partito nazionale, con il 56% dei suffragi, è stata organizzata dalle autorità illegittime, senza il reintegro preliminare del presidente Zelaya, previsto dall'accordo di Tegucigalpa-San José, firmato il 30 ottobre, sotto l'egida del sottosegretario di stato americano per l'emisfero occidentale (America latina), Thomas Shannon.
La campagna elettorale si è svolta mentre, da ottobre, due decreti proibivano ai cittadini «di partecipare a una riunione pubblica» e ai media «di incitare all'anarchia sociale». Non avendo ottenuto il ripristino dell'ordine costituzionale, piuttosto che ricorrere a una prova di forza, l'Frcg ha organizzato il boicottaggio delle urne e il «coprifuoco popolare». «Abbiamo scelto la ragionevolezza. Manifestare quel giorno, con trentamila uomini armati che pattugliavano dappertutto, sarebbe stata una follia», afferma Juan Barahona, uno dei coordinatori del Fronte. È per questo che i rappresentanti della stampa internazionale hanno potuto scrivere che la resistenza si era calmata e che ormai rappresentava solo una piccola fetta della popolazione. «Il Fronte non si è affatto ammansito - spiega Gustavo Irias, analista politico al Centro studi per la democrazia. Calcoliamo che almeno la metà della popolazione faccia parte della resistenza. Zelaya era un presidente popolare, non fosse che per aver raddoppiato il salario minimo. D'altra parte, i metodi delle autorità de facto hanno enormemente colpito la popolazione».
L'analisi dell'Frcg è basata sul numero di organizzazioni che compongono il Fronte: sindacati, femministe, ecologisti, studenti, raggruppamenti indigeni e contadini, ecc. Il movimento ha, in un certo senso, beneficiato di quel che viene definito in Honduras «l'effetto Mitch». Dopo il devastante uragano chiamato Mitch, nel 1998, le organizzazioni popolari hanno dovuto prendere il posto delle autorità e mettere in atto la ricostruzione. Hanno così potuto contare su risorse inedite e, da allora, hanno un peso reale nella società, anche se la loro rappresentanza politica continua a essere inesistente. Il colpo di stato ha costituito il detonatore di un movimento nazionale composto attualmente da una federazione di organizzazioni popolari.
«Ma la grande sorpresa è stata la forte partecipazione dei più poveri - racconta la sociologa Maria-Elena Mendéz. In particolare di tutti quelli che vivono dell'economia informale, gli ambulanti, i piccoli artigiani, le madri di famiglia». Stessa analisi, quella di Gilda Rivera, direttrice del Centro dei diritti della donna (Cdm): «Dal 28 giugno, il movimento ha continuato a crescere. È un'onda che diventerà una vera e propria forza d'opposizione al governo».
Privo di un vero e proprio programma politico, per ora l'Frcg si organizza intorno a qualche punto chiave. La parola d'ordine resta la contestazione dell'elezione presidenziale e, in particolare, del tasso di partecipazione del 61% annunciato dal Tribunale elettorale supremo la sera dei risultati. Una percentuale che ha infatti consentito alle autorità golpiste di far valere una «massiccia participazione» e di domandare immediatamente il riconoscimento di Lobo come nuovo capo di stato.

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Prudente, la «comunità internazionale», che non ha inviato osservatori, non ha avallato questo risultato (hanno fatto eccezione gli Stati uniti e i loro alleati regionali più stretti, Colombia, Perù e Panama): un risultato superiore di dieci punti all'elezione presidenziale del 2006. Infatti, lo spoglio delle schede ha riservato qualche sorpresa, come ha dimostrato il giornalista americano Jesse Freeston, della rete americana The Real News (2). Dopo essersi introdotto nella sala del conteggio voti del Tribunale elettorale, Freeston ha filmato i risultati che comparivano sullo schermo: 49% di partecipanti. Nello stesso momento, il presidente del Tribunale, annunciava 61%, «una cifra che ha inventato da sé», secondo il giornalista, che ha intervistato diversi membri dell'istituzione.
Finanziata da Washington attraverso la Fondazione nazionale per la democrazia (Ned in inglese), Hagamos Democracía effettua dal canto suo un rapido conteggio e annuncia un tasso di partecipazione del 47%. Dieci giorni dopo l'elezione, il Tribunale dovrà riconoscere che i partecipanti hanno costituito il 49%. Quanto ai sostenitori di Zelaya, in base ai conteggi effettuati davanti a mille e quattrocento seggi, calcolano una partecipazione del 25%. «Non sapremo mai la verità perché le schede sono nelle mani delle autorità che hanno già manipolato i risultati - afferma Laura Carlsen, direttrice del programma Americas Policy Program del Center for International Policy (3). Ma la comunità internazionale non può convalidare un'elezione che ha dato luogo a delle violazioni dei diritti umani così gravi».
Far conoscere quegli abusi alla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia è ormai il secondo asse della lotta dell'Frcg per delegittimare l'elezione a livello mondiale. «L'Honduras ha firmato il Trattato di Roma e, di conseguenza, tutti i suoi cittadini, compresi i militari, possono essere tradotti davanti alla Corte», ha ricordato il presidente Zelaya in un'intervista alla radio locale (4). La Missione internazionale di monitoraggio dei diritti dell'uomo ha, in particolare, denunciato davanti alla Corte che il principale istigatore della repressione altri non è che Billy Joya, responsabile della scomparsa di un centinaio di militanti negli anni '80 (5). A lungo ricercato e poi processato in Honduras per la scomparsa di sedici militanti, è stato nominato «consigliere speciale per la sicurezza» del governo golpista di Roberto Micheletti. «La resistenza è in una posizione di grande vulnerabilità. Le autorità de facto fanno il lavoro sporco per il prossimo governo eliminando l'opposizione. Il venir meno dell'attenzione internazionale verso il paese, è un vero pericolo per i dirigenti del movimento», aggiunge Carlsen, che in Honduras ha subito un'aggressione per aver criticato le elezioni alla Televisione Al Jazeera.
Già poco seguito dalla stampa straniera, il movimento di resistenza è stato anche oscurato da quella honduregna. Essendo l'accesso a internet poco sviluppato e i media controllati dai gruppi economici favorevoli al colpo di stato, il governo doveva solo bloccarne una quindicina (6) per avere il controllo dell'informazione. La mattina del golpe, i militari hanno invaso diverse installazioni per sequestrare il materiale audiovisivo, i telefoni, i computer e interrompere le comunicazioni. Anche la frequenza delle principali reti internazionali accessibili via cavo - Telesur (Venezuela), Cubavisión (Cuba), Guatevisión (Guatemala), Teletica (Costa-Rica) et Cnn in spagnolo (Stati uniti) - è stata oscurata. Durante la campagna elettorale, la rete televisiva Canal 36 non ha avuto il permesso di trasmettere. Le autorità, con il sostegno della Chiesa cattolica, hanno imposto la trasmissione di... film erotici, al posto dei previsti programmi d'informazione.
Il direttore del canale televisivo, Esdras Amado López, è visibilmente stremato. Mostra il grafico della sua frequenza, costantemente disturbato dalle interferenze satellitari che limitano la trasmissione solo alla capitale. «E poi - dice - se il tenore delle trasmissioni diventa troppo critico, ecco che lo schermo diventa di nuovo nero, spesso per qualche minuto. È una continua guerra dei nervi». La scelta della censura sembra casuale: talvolta, a essere preso di mira è un reportage sulla missione di d'Amnesty international, tal'altra il commento in diretta di un telespettatore oppure l'annuncio di una manifestazione da parte di un giornalista. L'osservazione di questi comportamenti non lascia dubbi sulla strategia delle autorità: le organizzazioni di difesa della stampa hanno contato «otto media che sono stati chiusi, eventi ai quali è stato impedito di operare; trenta feriti, quattordici detenuti e un morto fra i giornalisti (7)». Come molti dei suoi colleghi, Amado López non ama parlare delle minacce di morte che riceve. Ma, alla vigilia, ha raccontato alla televisione che degli sconosciuti con il passamontagna avevano mitragliato la casa di sua madre.
La paura e la tensione sono palpabili. Pensare al futuro è difficile per i militanti preoccupati soprattutto per la presenza dei militari davanti alla porta di casa. «Lottare è sempre stato rischioso in questo paese, ricorda il sindacalista Carlos Reyes. Ma il golpe ha solo rafforzato le nostre aspirazioni democratiche».
L'alibi del colpo di stato - l'organizzazione, da parte del presidente Zelaya, di una consultazione popolare su una possibile riforma della costituzione promulgata nel 1982, sotto la presidenza di Suazo Cordova, e mentre i militari esercitavano il potere reale - è diventato invece lo stendardo del Fronte (8). «La Costituente era una rivendicazione già prima del colpo di stato, ma oggi è una necessità. Questa crisi ha messo in evidenza un sistema politico che rifiuta di condividere il potere», afferma Juan Almendares, ex- rettore dell'università di Tegucigalpa.
Se l'unità su questo punto è stata raggiunta, non si può dire altrettanto per quanto riguarda le modalità operative del movimento di resistenza.
Si deve trasformare in partito politico e guadagnarsi nell'urna la rappresentatività? Considerata di sinistra, l'Unione democratica (Ud) propende per questa opzione: «Il nostro partito esiste, noi lo mettiamo a disposizione del Fronte», insiste il deputato Marvín Ponce. L'Ud, però, ha perso una parte della sua base partecipando all'elezione presidenziale - dunque legittimandola. E nemmeno pare percorribile l'ipotesi di rifondare il partito del presidente Zelaya, il Partito liberale. «Questo partito è anche quello di Roberto Micheletti, dobbiamo uscirne subito», ritiene Nelson Avila, l'ex consigliere economico di Zelaya.
Il principale timore, nel campo della resistenza, è a ragione quello di doversi uniformare al gioco politico honduregno. «I partiti politici hanno una reputazione così cattiva che le persone li collegano automaticamente alla corruzione - rileva Alegria. Questo movimento che si batte per la democrazia deve inventare altre cose».
Durante una delle assemblee del Fronte nazionale di resistenza popolare (nuovo nome del Frcg), le rivendicazioni già esplodono. Sono presenti sia il Comitato delle donne delle maquiladoras (fabbriche di subappalto) che la Centrale generale dei lavoratori (Cgt), due organizzazioni che si sono scontrate sulla riforma del codice del lavoro intrapresa sotto la presidenza di Zelaya. Le donne volevano misure specifiche per la salute nelle maquiladoras, la Cgt preferiva insistere sui salari. Oggi che le donne si dicono pronte a lottare per una Costituente a fianco dei sindacati maggioritari se le loro rivendicazioni verranno accolte, una si alza e prende la parola: «L'esercizio della democrazia deve cominciare qui, nei nostri quartieri, nelle famiglie. Dato che scorrerà ancora sangue, che almeno sia versato per una Costituente che non escluda nessuno!».

note:
* Giornalista.
(1) Le Courrier, Ginevra, 16 dicembre 2009.
(2) Jesse Freeston, « Honduran elections exposed » ; http://therealnews.com
(3) http://www.americaspolicy.org
(4) Una richiesta simile ha poche probabilità di essere accolta, perché la Cpi ha competenza per i crimini più gravi di portata internazionale, come il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra.
(5) Misión internacional de observación sobre la situación de los derechos humanos en Honduras, «Gobierno de facto viola derechos humanos en Honduras», Washington, 7 agosto 2009.
(6) Le televisioni Canal 36, Canal 11, Canal 8 de Juticalpa et Canal 6 ; le radio Globo, Cadena Voces , Progreso, America, Gualcho e Libertad; i giornali El Libertador e Diario Tiempo; l'agenzia Prensa latina.
(7) «Primer informe: Estado de la situación de la libertad de expresión en Honduras en el contexto de la ruptura del orden constitucional», Comité por la libre expresión et Fundación Democracia sin Fronteras, Tegucigalpa, novembre 2009.
(8) Si veda, sul sito di Le Monde diplomatique: «Retour des gorilles au Honduras» (1° luglio 2009). (Traduzione di E. G.)

Traduzione da http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Gennaio-2010/pagina.php?cosa=1001lm14.01.html

Fonte

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