mercoledì 3 marzo 2010

BERLUSCONI NON È UN FULMINE…

Berlusconi non è un fulmine a ciel sereno nel cielo limpido della storia d’Italia, un Ufo piombato nel bel mezzo di una democrazia funzionante e di un mercato trasparente ed efficiente.

fulmine

È invece la sintesi e la garanzia di perpetuazione di tutto ciò, e in parte ne è anche la causa. La sua avventura di potere è stata resa possibile da tutte le crisi che abbiamo nominato, e, naturalmente, anche dalla crisi della sinistra, che da tutte è stata investita in modo radicale e distruttivo. I suoi ceti sociali di riferimento sono scomparsi o si sono indeboliti, oppure sono disorientati e spesso si sono rivolti alla destra; la sua prospettiva politica, legata al mondo di fabbrica e allo Stato sociale, è poco credibile; inoltre, la crisi generale della politica nei suoi assetti categoriali moderni colpisce in particolare la sinistra, la sua idea che la politica abbia un forte rapporto con la cultura, e che debba essere il quadro teorico e pratico che dà forma alla società e che esprime i diritti individuali e collettivi. Danneggiata anche da incertezze e contraddizioni quando era al governo, la sinistra si è alleata con una parte minoritaria dei cattolici e costituisce con essi il polo politico degli intellettuali (sempre meno), dei dipendenti pubblici, dei pensionati; la sua forza resta egemone (con difficoltà) solo in alcune regioni dell’Italia centrale, mentre altrove è un sistema di clientele come la destra.

È stato quindi Berlusconi, e non la sinistra, a intercettare la ‘ribellione delle masse’ che ha generato e accompagnato la fine del sistema dei partiti della Prima repubblica e della legalità costituzionale, a mettere a frutto la rivolta contro la politica, contro la cultura, contro le élites che attraversa l’Italia dagli anni Novanta in poi, a servirsi – a scopi politici – dell’antipolitica degli italiani.

La sua forza politica consiste in un populismo plebiscitario che si nutre di potenza mediatica, di autentico carisma personale, e di un patto politico con gli italiani, fondato su idiosincrasie, interessi, paure, passioni. Berlusconi offre infatti ai suoi elettori una retorica e una cultura politica ciniche (i valori che a parole propugna, e che non pratica, sono credenze tradizionali anti-intellettualistiche e piccolo-borghesi) e anti-istituzionali: la sua polemica contro il parlamento, nel quale pure ha la maggioranza, oltre che contro la magistratura per difendersi dalla quale ha voluto una legge che gli garantisce l’immunità giudiziaria personale, e la sua interpretazione muscolare e decisionistica del premierato, mostrano che non gradisce limiti al proprio potere. Questo è per lui l’espressione diretta del favore popolare, un’investitura che colloca l’Unto del Signore (com’egli si definì) al di sopra delle leggi e delle istituzioni. Per lui, la rappresentanza non è razionale-parlamentare ma una rappresentazione simbolica, personale, plebiscitaria, grazie alla quale un popolo trova la propria identità nel corpo mistico del Capo, e lo ama perché lo capisce e ne trae sicurezza, almeno quanto odia (e viene indotto a odiare) i ‘comunisti’, termine col quale la retorica di destra indica i critici e chiunque non sia allineato col sistema di valori della maggioranza.

Una politica autoritaria e carismatica che è naturalmente estranea all’antifascismo (nel primo governo Berlusconi, nel 1994, non era rappresentato alcun partito storico del CLN antifascista) e alla democrazia liberale, come dimostrano i reiterati attacchi alla libertà di stampa e alla libera informazione televisiva, l’abbandono di ogni nozione di laicità della politica (i privilegi economici a favore della Chiesa, l’ossequio plateale alle direttive della gerarchia sulle tematiche bioetiche e biopolitiche), la mancanza di scrupoli nell’alimentare xenofobie e paure sociali (si pensi alle recenti parole su Milano che ‘sembra una città africana’). Una politica che vede il passaggio dal potere dei partiti al potere delle persone (di una persona), e soprattutto dall’arco costituzionale (che fondava la legittimità dell’intero corpo politico della repubblica sull’esclusione originaria del fascismo) a una politica di spaccatura verticale del Paese fra due blocchi contrapposti fino nelle antropologie.

La costante riproposizione della logica amico/nemico (per Berlusconi – dichiarazione del 30 giugno – la sinistra è ‘nemica dell’Italia’) serve a produrre unità simbolica (un’unità raggiunta attraverso il conflitto interno) in un Paese che nella realtà economica e sociale viene deliberatamente fatto rimanere frammentato e disuguale. Più che ‘l’uomo del fare’ – com’egli si definisce, per contrapporsi ai politici di professione, che non andrebbero al di là delle parole – Berlusconi è l’uomo del ‘lasciar fare’. Ma non nel senso del proto-liberalismo di Guizot; il suo è piuttosto un ‘lasciar fare’ corporativo, che consente a ciascuno (a ciascun gruppo di potere o di interessi) di tenersi i privilegi che ha e di cercare di estenderli a spese degli altri più deboli, e anche del fisco (la lotta all’evasione ha perso mordente e efficacia), e in generale della dimensione collettiva della convivenza. Il primo a beneficiarne è naturalmente lui, Berlusconi, il cui irrisolto conflitto d’interessi fa ormai, per gli italiani, parte naturale del panorama domestico, e passa inosservato; anzi, la posizione anomala del Capo è la garanzia dell’impunità anche per tutti i normali cittadini e per le loro piccole o grandi anomalie. La legge universale della Repubblica italiana è l’anomalia, che ha la propria icona in Berlusconi: nel saturare la scena pubblica con logiche e con pratiche private sta la forza della sua posizione politica, la ragione del consenso di cui gode (ad eccezione del lavoro dipendente, soprattutto pubblico, contro cui– ultimo capro espiatorio – si esercita il controllo di legalità e di efficienza del ministro Brunetta, che ha dato voce ai risentimenti della maggioranza degli italiani contro la Pubblica Amministrazione, senza peraltro migliorarne le prestazioni).

Sia chiaro: non sono solo i ricchi e i potenti l’elettorato di Berlusconi; anche i ceti medi, impiegatizi e operai lo votano perché, disillusi dalle politiche di sicurezza collettiva delle sinistre (dello Stato sociale, ma anche del principio di legalità), preferiscono affidarsi alle speranze e alle illusioni (e ai rancori) che la destra alimenta. Perché sperano che Berlusconi consenta loro di cavarsela, magari con l’aiuto, tradizionale, della mano pubblica. Al contrario, tra le parole di Berlusconi e le sue azioni c’è un abisso più grande di quello che di solito si riscontra nei più spregiudicati politici di professione; anche senza rivangare il fallimento della promessa elettorale ‘meno tasse per tutti’, è facile constatare che le politiche reali di Berlusconi sono rivolte contro gli interessi dei ceti più deboli: basti pensare alla sorte a cui sono andate soggette le misure anti-trust e a favore della concorrenza di mercato (che, tra l’altro, introducevano, pur con grande prudenza, la possibilità di qualcosa di simile alla class action) avanzate dell’ultimo governo Prodi, vanificate da un’incredibile quantità di modifiche tutte rivolte a favorire le grandi compagnie. Oppure al saccheggio del territorio e del paesaggio realizzato attraverso pubblici appalti e regolamenti compiacenti dai soliti signori del cemento.

Insomma, com’è ovvio, la corsa all’interesse immediato, a breve termine, premia i più forti: gli italiani si credono furbi sono in realtà ingannati (e si auto-ingannano); sono cinici e illusi allo stesso tempo. Si affidano a Berlusconi per non crescere, per rimanere prigionieri dei vizi e delle pigrizie di sempre. E non vogliono sapere che la pretesa di rimanere bambini – di non fare i conti con la realtà – è perdente.

Se Berlusconi è un mago che disincanta e incanta al contempo, non è per nulla colui che opera, in un Paese arretrato e riluttante, una modernizzazione autoritaria, neppure indiretta. Invece di agire come la vecchia Democrazia cristiana – della quale ha ereditato solo l’elettorato ma non la politica, se non quella andreottiana degli anni Ottanta – che prendeva voti a destra e li riciclava al centrosinistra, perseguendo un’idea di sviluppo democratico, Berlusconi chiede voti alla pancia del Paese, e se ne serve per lasciare l’Italia com’è, e per affermare il proprio potere.

***

Può darsi che gli italiani si sveglino dall’incantesimo berlusconiano – che rompano il patto con lui – quando si accorgeranno che la politica del non far nulla è rovinosa, e che non basta non voler vedere la crisi (come sta facendo la destra in Italia) per superarla. Ma intanto, nonostante nel giugno di quest’anno abbia conosciuto – per motivi solo indirettamente politici – la sua crisi più grave, che avrebbe distrutto ogni altro uomo politico occidentale pare, gli italiani, sia pure un po’ meno che nel recente passato, continuano a manifestargli fiducia nei sondaggi e nelle elezioni, come se la vera essenza della politica di Berlusconi, la sua funzione pubblica, restasse intatta.

E quindi si deve porre la domanda: proprio perché Berlusconi è così adatto agli italiani – tanto che se non è l’autobiografia della nazione, è certo definibile il diario e il sogno degli ultimi trent’anni – quando egli prima o poi uscirà di scena come potrà ritornare alla politica un Paese che da molti anni non la sta più facendo? Come farà, insomma, l’Italia a cessare di non voler diventare adulta, quando il suo popolo, ma anche le sue élites, si prenderanno le proprie responsabilità?

Carlo Galli

1 commento:

astronomo9 ha detto...

Stiamo rischiando molto,il Fascismo potrebbe riaffacciarsi con un altro volto,secondo me tutto o in buona parte dipenderà dall'evuluzione dell'economia mondiale in primis gli Stati Uniti .

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