mercoledì 20 gennaio 2010

WELCOME IN ITALY, TRA OBLIO E RAZZISMO

Il fatto che le condizioni del passato fossero peggiori di quelle degli emigranti del suo tempo, diceva Edmondo De Amicis, non giustificava nulla.

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E come dargli torto visitando l'interessantissima mostra "La Merica!", allestita presso il Museo Galata del Mare di Genova fino al 10 gennaio? Si sente forte il senso di oppressione sostando nelle camerate - letti a castello su letti a castello - ricostruite nelle otto grandi sale della mostra...
Si sente forte il senso di oppressione già così, e manca la puzza di sudore e di urina, i corpi accatastati uno o due su ogni posto letto, il mal di mare e il vomito, l'insofferenza di una convivenza forzata lunga settimane, il totale annullamento della propria intimità, il morbillo e altre malattie che facevano strage di bambini e di adulti... Manca anche il terrore e l'umiliazione di Ellis Island, dove se un medico credeva di scorgere uno strano colorito nei tuoi occhi o trovava un po' stramba la tua risposta a una delle decine di domande sparate a raffica ti rispediva a casa.
Manca l'essenziale, insomma, e il nostro senso di oppressione rimane lontano mille miglia - lo spazio infinito di un oceano, potremmo quasi dire - dalla violenza subita dai nostri avi partiti sognanti per le Americhe e spremuti come limoni dall'avidità delle compagnie navali e dalla ferocia idiota delle burocrazie e acquista invece il gusto amaro, ma forse un po' sciocco, delle lacrime di chi ricorda un dolore senza averlo vissuto. Di chi, nel migliore dei casi, sente con forza che nulla giustificava quelle condizioni, come diceva De Amicis.

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E chissà cosa avrebbe detto lo scrittore se avesse saputo che le condizioni degli emigranti del futuro non solo sarebbero rimaste inumane, ma sarebbero addirittura peggiorate. Che alle navi stracariche si sarebbero sostituiti viaggi sopra gommoni per poi affondare e sotto camion per venire scoperti dai cani delle polizie di frontiera e sotto treni per finire spappolati sui binari a 160 chilometri all'ora...
E se nelle ingiustificabili navi della grande migrazione verso "la Merica" almeno un letto e un pasto lo si aveva, cosa dire delle barchette dove centinaia di persone si accalcano per morire sotto il sole cocente o la pioggia battente, di fame e di sete e di stenti? Che dire dei sacchetti di plastica dentro i quali respirare e soffocare per sfuggire ai controlli iper-tecnologici dei cacciatori di clandestini delle frontiere?
Cosa giustifica l'orrore delle migrazioni contemporanee, mostrato con grandissima efficacia e senza alcuna retorica nello splendido film del francese Philippe Lioret, "Welcome"? Eccolo Bilal, ragazzino iracheno che dopo essere arrivato a piedi a Calais vuole tentare di attraversare la Manica a nuoto per realizzare i suoi sogni ingenui: ritrovare la ragazza che ama, sposarla nonostante il padre, per garantire il pane alla famiglia, l'abbia già promessa sposa a un altro, fare fortuna e magari diventare una stella del Manchester United...

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I sogni di Bilal sono gli stessi identici sogni dei nostri nonni, aggiornati di appena un secolo. Ma mentre ci smandoliniamo ancora i nostri "Mamma mia dammi cento lire" e "Partono e' bastimenti pe' terre assai luntane", facciamo finta di non capirlo. Pur di non mostrare la spina dorsale e trattare gli altri esseri umani come esseri umani siamo pronti a fingere di dimenticare che siamo il popolo che, pur avendo esportato con successo la mafia in America, in America ha comunque trovato, nonostante difficoltà e umiliazioni, mille modi per vivere.
Sì, preferiamo fingere di dimenticarcene. Preferiamo dipingerci in faccia i colori della paura e della coglionaggine per poter rispondere che proprio la nostra paura e la nostra coglionaggine giustificano tutto. Giustificano la perdita della memoria e la perdita dell'umanità. Giustificano il trattamento riservato agli immigrati e ai loro figli. Giustificano i silenzi e gli imbarazzati bisbigli di moderatissima indignazioncina dell'opposizione.
Giustificano anche il voto e il consenso per il "Partito dell'Amore", nome dietro cui non sta più il bizzarro esperimento porno-politico di Pannella e Cicciolina, ma un governo che - in senso tecnico, si badi bene - porta avanti un'idea (se non una pratica) genocida e un'idea e una pratica schiavista.

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Dentro e fuori i nuovi campi di concentramento (definizione tecnica, si badi bene, dei centri di permanenza temporanea), dentro e fuori i discorsi sui bombardamenti contro i gommoni e sulle pulizia etnica nei confronti di "baluba" e "bingo-bongo", si concepiscono e si portano avanti politiche di negazione dei diritti essenziali delle persone: diritti politici, civili, sociali, dalla parità di trattamento sul luogo di lavoro alla libertà di circolare, dal diritto di voto al godimento di standard di vita minimi, fino persino alle cure sanitarie di base e al riconoscimento dei propri figli.
Al "Partito dell'Amore" e ancor di più al "Popolo dell'Amore" - quegli "italiani brava gente" di destra e di sinistra - basta che gli schiavi algerini raccolgano i nostri pomodori, che le schiave filippine accudiscano i nostri vecchi, che gli schiavi cinesi cuciano per due lire la nostra "qualità made in italy" da rivendere a peso d'oro, che le schiave brasiliane allietino le nostre notti, che ci sia sempre qualche schiavo da massacrare per scaricare quella voglia matta di pogrom che ci viene nelle noiose serate senza calcio in tv. Basta avere le code per "Natale a Canicattì" e il silenzio su "Welcome".
Basta mostrare la faccia sempre più terrorizzata e sempre più rincoglionita per distogliere l'attenzione generale dal nostro vero obiettivo, dal nostro santo obiettivo: il portafogli dei soliti noti, che grondano sempre più sangue e sempre più oro...

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