martedì 28 giugno 2011

VOI SIETE TRISTI E NON SAPETE PERCHÉ

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"Voi siete tristi e non sapete perché. Se non è gioconda la giovinezza, quale altra età della vita potrà esser gioconda? La vostra giovinezza è come una pianta cui siano contrarii il clima e il suolo. Voi siete tristi della tristezza di questa nostra civiltà cupa e feroce, non meno infesta ai giovani che ai vecchi. Ai vecchi, cui già natura scema il vigore, essa, la civiltà, col tumulto della sua foga incalzante, con l'asprezza de' suoi congegni, con l'oppressione della sua congerie, nega il riposo, mozza il respiro, affretta la morte. Ai giovani ruba la giovinezza, scerpa il fior della vita. Voi sentite di morire alla giovinezza prima ancora d'averla assaporata. L'anima vostra si oscura e si sfredda, non avete più né tempo, né voglia, di sognare e d'amare. Prima coloro che vi misero al mondo, poi coloro che vi ammaestrano, non vi sanno parlare d'altro che della necessità di tirare al guadagno, di assicurarsi un posto, di buttar via le illusioni, e di far presto. Prendete in avversione la casa e la scuola. Chiedete una parola di vita, e non l'udite da nessuna parte. Le religioni, con voci di oracoli spenti, con richiami di miti morti, vi parlano un linguaggio che voi non potete più intendere. La filosofia discute alla vostra presenza un numero stragrande di cose che non vi giovano e non v'importano, e si scorda di dirvi come e perché dovete vivere, quale sia il senso e il valor della vita. La scienza vi ammonisce che mondo fisico e mondo morale soggiacciono a una stessa necessità, eterna e ineluttabile, che tutto si riduce a meccanismo, che voi medesimi non siete se non automi, e che non vi sono valori nel mondo, ma soltanto fatti e leggi. L'arte, da ultimo, vi dichiara che essa ha da attendere a sé e non a voi; che nulla essa ha da spartire con gli altri interessi umani. Se volete, senza che altri vi soccorra, misurare le vostre forze, penetrare in voi stessi, conoscervi, il tempo vi manca, o l'inquietezza vi turba, o il frastuono v'assorda.
Vi affacciate a questa scena del mondo, e quale spettacolo vi si offre? Uno spettacolo voi non sapete se più doloroso, o più laido, o più grottesco. Cercate di darvi ragione di ciò che vedete, e non ci riuscite. Chiedete a voi stessi se la civiltà abbia per iscopo di esaltare l'umana natura ovvero di deprimerla. Imparate a conoscere la terribile schiavitù del libero cittadino, l'atroce miseria del popolo sovrano. Vi sentite avvinghiati, premuti, travolti; e in quella che date tutte le vostre forze alla comune opera interminabile, che, pure essendo comune, è tutta tramata di rivalità e di conflitti; e mentre vi logorate nella cotidiana fatica del fare, disfare, rifare; vi avvelena l'anima un dubbio amaro, se non pure la disperata certezza, della inutilità dell'opera vostra e dell'altrui e di ogni possibile opera. Sentite che la macchina immane che abbiam costruita ci stritola; che le cose prodotte a giovamento delle persone affogano le persone: e nella età in cui più dovrebbe parer lieta la vita, molti di voi desiderano di non essere nati."
Arturo Graf

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