giovedì 21 gennaio 2010

HAITI E SANTO DOMINGO: NUOVE TRAGEDIE, VECCHI RANCORI, IL CUORE ED IL PORTAFOGLI

È trascorsa una settimana dall’immane disastro che ha colpito Haiti. Il numero delle vittime, probabilmente oltre centomila, è talmente alto da non sembrare neanche reale… eppure lo è. Mentre si contano i morti e si cercano i sopravvissuti, qualcuno non ha potuto fare a meno di notare un grande assente: Santo Domingo.

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Santo Domingo, l'altra metà dell'ex isola di Hispaniola, una specie di territorio di oltremare degli Stati Uniti, non si è praticamente mossa in aiuto di Haiti

Non credo di essere stato l'unico a chiedermelo.

Via via che le dimensioni epocali del disastro di Haiti si chiarivano (secondo me di gran lunga sottostimate, perché siamo solo agli inizi della tragedia, dato il collasso delle già inesistenti strutture politiche e sociali del paese), nel mobilitarsi del soccorso internazionale vi era un grande assente. Santo Domingo, l'altra metà dell'ex isola di Hispaniola, una specie di territorio di oltremare degli Stati Uniti, non si è praticamente mossa. Anzi: ha praticamente chiuso le frontiere, impedendo ai profughi che vi si ammassavano in cerca di un aiuto qualunque, di entrare. Ha fornito aiuti ridicoli: una cinquantina di camion di viveri, una decina di cucine da campo, una cinquantina di medici e paramedici e, sopratutto, ha vergognosamente provveduto a curare nei propri ospedali solo i membri dell'elite di "governo" (virgolette d'obbligo) dello sventurato vicino.

Per loro una sala operatoria linda ed efficiente, lenzuola pulite e la cortese e premurosa attenzione del personale.

A #Haitian doctor, UK surgeon, and German nurse treat a patient with two broken legs. © Julie Remy

Doctors Without Borders surgeon in #Haiti treats a man with a boken foot in a makeshift surgery room outside of the hospital. © Julie Remy

Per il resto degli Haitiani la morte di stenti, o di infezione o di malattia o violenta, nel tentativo di procurarsi cibo, acqua, vestiario, medicine, in mancanza di aiuti sufficienti.

A child treated at the #Haiti Doctors Without Borders run Carrefour hospital recovers in a quiet area after she is stabilized. © Julie Remy

Se credete che stia esagerando, su come la vedono nell'altra metà dell'isola, leggete il tenore dei commenti all'articolo citato. Si oscilla tra "quella gente fa schifo" a "se sapremo giocare bene la carta degli aiuti internazionali ci troveremo in una situazione da cui abbiamo solo da guadagnarci". Da conati, per davvero.

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Il peggio deve ancora venire, dicevo, perché la situazione, che già è normalmente esplosiva, sta rapidamente degenerando mentre squadracce di disperati razziano il razziabile per poi rivenderlo a quelli più disperati di loro, mentre i soldati dell'Onu non riescono, con ogni probabilità, a vedere la differenza tra gli uni e gli altri, mentre anche le equipe mediche di soccorso cominciano a correre, seriamente, rischi crescenti.

In this photo released by the United Nations, homes affected by an earthquake lay in ruins in Port-au-Prince, Haiti, Wednesday, Jan. 13, 2010. A 7.0-magnitude earthquake struck Haiti Tuesday.


L'impressione è che la situazione stia andando fuori controllo, mentre si fanno barricate di cadaveri per protestare contro l'assenza di aiuti, mentre si trasportano in discarica con le ruspe i corpi, bruciandoli con l’immondizia, in mancanza della preziosissima benzina, mentre nessuno o quasi si avventura fuori dall'aeroporto, come risulta, con penosa evidenza, dagli inviati dei Tg nazionali che mandano in onda i servizi in mezzo agli aerei che rullano.

C'e' una seria possibilità, a mio avviso, che la macchina dei soccorsi non possa mettersi in moto ed anzi venga bloccata, a causa della situazione, per le strade. Non sarebbe certo la prima volta che abbandoniamo un paese al suo destino per gli scarsi interessi strategici in gioco e l'oggettivo rischio per chi viene da fuori.

Citerò, in ordine sparso, Il Congo, il Sudan, La Somalia e l'Eritrea, la stessa Haiti... vabbé avete capito. Se i rischi sono tanti e il business non c'e', gli aiuti internazionali fanno prestissimo a sbaraccare, lasciando solo qualche coraggioso medico di Emergency, di Medici Senza Frontiere, di qualche onlus, locale o no.

In tutto questo orrore, senza precedenti (del resto una città di tre milioni di persone rasa al suolo in un attimo, nella storia dell'uomo non era mai accaduto, San francisco nel 1909 era grande meno di un decimo) la Repubblica di Santo Domingo, uno stato relativamente ricco e benestante, in rapporto all'area geografica, dovrà essere ricordata per l'aiuto che vergognosamente, non ha dato.

Il fatto che si osi ricordare vecchie ruggini di quasi due secoli fa , a giustificare una mole di aiuti chiaramente ridicola o le tensioni dovute ai lavoratori al nero che in gran numero varcano le frontiere tra i due paesi creando tensioni che noi conosciamo bene, è una aggravante, non una giustificante.

Ma non è finita. Mentre si chiudono le frontiere, condannando probabilmente a morte migliaia di persone, si indicono due giorni di lutto nazionale, mentre, dieci anni fa, per la morte di un ex Presidente della "Repubblica" caraibica, Juan Bosh, a 92 anni, i giorni di lutto erano stati tre.

Un vecchio, probabilmente coraggioso, vano, oppositore della imperante corruzione, ma solo un uomo. Contro una tragedia di immani dimensioni.

Parliamoci chiaro. Questi qui non hanno certo chissà quali feroci odi etnici che covano. Questi hanno paura. Paura di una malattia contagiosa, terribile, spietata. Che si chiama povertà. Hanno paura che il contagio si allarghi alla loro fettina di isola, hanno paura che la loro metropolitana nuova di zecca si riempia di diseredati, di peones, di "extradomenicani". Hanno paura che gli si infetti il portafoglio, che gli vada in cancrena il business.

Macché paura. E' proprio panico, puro semplice panico, che riempie i loro cuori e li acceca. Sanno che la loro salvezza,la loro tranquillità, il loro benessere, in ultima analisi il loro futuro, può stare solo nel cercare di dare una mano reale, costruttiva, ma non vogliono. Costa e non paga in termini elettorali. E poi, manco a dirlo, hanno bisogno, assoluto bisogno di un bell'orticello di diseredati a cui attingere, alla bisogna, per far fare i lavori che nessuno vuol più fare.

Se sentite suonare una campana, in queste parole, su quella distesa di rovine e di cadaveri, non stupitevi. Sta suonando, dovreste saperlo, per noi.

Santo Domingo, come un ritratto di Dorian Gray, ci mostra in modo che non possiamo non vedere, la nostra, egoistica, vergognosa, faccia. una faccia che cerchiamo vanamente di dimenticare e far dimenticare in un soprassalto di tardiva solidarietà umana.

Noi siamo diversi, eeeh, direte.

No, purtroppo, non abbastanza. Rosarno è troppo vicina nel tempo per essercene dimenticati ma basta uscire di casa e girare due isolati, dovunque voi viviate, in Italia.

Articolo tratto da Crisis

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