giovedì 30 luglio 2009

IL VOTO RUBATO DEGLI SCHIAVI

Mentre l'opposizione ricorre contro i risultati elettorali, Boubacar Messaud, di "Sos Esclaves" denuncia il voto pilotato degli schiavi

"Una frode massiccia". "Una farsa volta a legittimare il colpo di stato militare". "Un golpe elettorale". Sono solo alcune delle espressioni usate dai rappresentanti del Fronte nazionale per la difesa della democrazia (Fndd), che hanno annunciato ricorso contro la clamorosa vittoria elettorale del generale Mohamed Ould Abdel Aziz, autore, nell'agosto scorso, del golpe che depose l'unico presidente democraticamente eletto in Mauritania. Durante la conferenza stampa, indetta a Nouackhott, Ahmed Ould Daddah, capo del principale partito d'opposizione, Messaoud Ould Boukheir, secondo eletto con il 16,2% delle preferenze, e, a riprova del fermento politico attuale, il colonnello Ely Ould Mohamed Vall, che nel 2005 prese il potere con un colpo di stato per spianare la strada alle prime elezioni libere, hanno sostenuto di avere prove tangibili delle frodi elettorali: in particolare, i tre hanno fatto riferimento ad alcune schede false ritrovate nelle urne e a manomissioni nei registri elettorali.
In attesa di sapere se il Consiglio costituzionale accetterà di metter in discussione una votazione che gli osservatori internazionali hanno dichiarato sostanzialmente regolare, Boubacar Messaud, uno dei fondatori di "Sos Esclaves", un'organizzazione che lotta per l'abolizione della schiavitù, denuncia un altro genere di "frode" elettorale: il voto degli schiavi.

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"In Mauritania esistono ancora seicento mila schiavi, che corrispondono al 18 percento della popolazione- ha esordito Boubacar Messaud al telefono con PeaceReporter - Seicento mila persone che possono prendere parte alle elezioni, perché ufficialmente la schiavitù è stata abolita nel 1981, ma che in realtà sono costretti a votare per i propri padroni o per i candidati da loro indicati. Il loro voto non può essere definito un atto democratico vero e proprio. La schiavitù diventa così un problema politico, che il ceto dirigente, formato dalle più importanti famiglie del Paese, spesso proprietarie di schiavi, non ha alcun interesse a risolvere. Ma se il futuro della Mauritania è quello di diventare un paese moderno, dove i governi vengono democraticamente eletti, si capisce che abolire la schiavitù diventa fondamentale, perchè seicentomila persone, libere ed indipendenti possono cambiare il volto di questa nazione.

Cosa intende esattamente quando parla di schiavi?
Essere uno schiavo significa letteralmente appartenere ad un'altra persona, il "maestro", e lavorare tutto il giorno per lui senza ricevere alcun compenso che non sia il sostentamento. Spesso vivono nella casa del padrone come servi domestici, ma in alcuni casi possono anche essere indipendenti, vivere in città, ricevere un'educazione e lavorare un proprio campo corrispondendo un affitto. In ogni caso, se vogliono sposarsi devono chiedere il permesso al padrone che, potrà sempre pretendere delle giornate di corvées e che, alla loro morte, erediterà i loro pochi averi al posto dei figli. E' una situazione che viene comunemente accettata e riconosciuta sia dai mori bianchi, che costituiscono l'elite schiavista del Paese, che dalle popolazioni afro-maure, che sono state assoggetate e schiavizzate. Abolire la schiavitù significherebbe quindi porre fine anche al problema delle discriminazioni razziali, perche in Mauritania capita spesso che una persona venga stigmatizzata per il solo fatto di essere nero, anche se oramai è un professionista affermato o si è affrancato da tempo.

Scusi, ma se gli schiavi possono vivere anche lontano dal padrone e addirittura studiare, cosa li trattiene dal ribellarsi?
Schiavi si nasce. E' una condizione che si eredita dalla madre. Fin dalla più tenera età al bambino viene insegnato che il suo posto all'interno della società è quello e ribellarsi significa contravvenire all'ordine costituito e a un precetto religioso. Ufficialmente l'islam proibisce di ridurre in schiavitù un altro musulmano, ma questo non ha mai portato all'affrancamento di nessuno, anche se in Mauritania siamo tutti musulmani. Gli ulema legati al potere offrono sempre un'interpretazione del Corano che mette in risalto il valore dell'obbedienza e della sottomissione come virtù che conducono in paradiso. Ribellarsi significa quindi incominciare a pensare in maniera differente dagli altri, entrare in conflitto con il proprio clan, diventare degli emarginati. Oltre a tutto ciò, per le donne è molto difficile lasciare tutto e andarsene. Gli uomini, se hanno maturato consapevolezza della situazione possono semplicemente allontanarsi, dal momento che non hanno alcuna responsabilità nei confronti di mogli e figli, che, del resto, appartengono al padrone. Ma per le donne lasciare la casa del "maestro" può significare non vedere più i figli, che magari sono già stati divisi fra i vari rami della famiglia padronale, o la vecchia madre, che spesso hanno in carico. Oltre a rischiare di attirare la vendetta del padrone su di loro.
E se qualcuno trova il coraggio di contestare l'assegnazione dell'eredità dei genitori al padrone, difficilmente vince in tribunale. Di solito i giudici, che provengono dalla casta privilegiata o ne condividono la mentalità, archiviano questi casi per mancanza di prove. Spesso sono loro stessi proprietari di schiavi o semplicemente non hanno il coraggio di far rispettare la legge. Dal 1981 ad oggi si sono succedute numerose leggi contro la schiavitù, ma sono servite solo per gridare al mondo che la Mauritania combatteva il problema. L'ultima, approvata nel 2007, è arrivata a criminalizzare la riduzione in schiavitù, ma ad oggi nessuno è ancora stato condannato e probabilmente anche questa resterà lettera morta.

E' un caso che questa legge sia stata approvata sotto il governo dell'unico presidente democraticamente eletto, Sidi Ould Cheikh Abdallahi, poi rovesciato dal generale Abdel Aziz che oggi sembra aver vinto le elezioni?
No. I militari, che sono stati al potere quasi ininterrottamente dal 1978, sono i maggiori proprietari di schiavi, ma soprattutto, attraverso la loro mentalità e la formazione militare, protraggono il concetto di sudditanza. Tutto si pone per loro in termini di rapporti di forza.

E per il futuro, ora, cosa prevede?
La società mauritana si sta avviando sempre di più verso una crisi fra quanti vogliono cambiare ed entrare nella modernità e quanti vogliono mantenere lo status quo attuale. Presto le nuove generazioni non accetteranno di sottostare ad un potere feudale che non ha più ragione d'essere. E il rischio è quello di andare incontro ad una guerra civile.

Chiara Pracchi

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