martedì 3 novembre 2009

IL RICHIAMO DEL FIUME MADEIRA

Declaración del Movimiento Social en Defensa de la Cuenca del Madera y de la Región Amazónica


"Nuestra tierra y nuestros ríos no se venden, se defienden"




Il Brasile approva lo Studio di Impatto Ambientale per le dighe che inonderanno il territorio boliviano. Il danno al fragile equilibrio sviluppato tra la conservazione della foresta amazzonica e campi coltivati potrebbe essere letale per l'economia nazionale. E il controllo strategico delle acque da parte del Brasile potrebbe causare anche gravi ripercussioni geopolitiche.

di Pablo Villegas per FOBOMADE
Traduzione di Giovanna Vitrano Selvas.org


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Le foto dell'Amazzonia boliviana sono di Renata Freitas (http://flickr.com/photos/renatafreitas/)

L'11 settembre 2006, l'Istituto per l'Ambiente e per le Risorse Naturali e Rinnovabili del Brasile (IBAMA) ha approvato lo Studio di Impatto Ambientale (EIA) per la costruzione di due dighe nel Rio Madera (1); il fiume è il secondo al mondo per ricchezza di ittiofauna e costituisce l'affluente più grande del Rio delle Amazzoni. Già da tempo questo progetto è stato oggetto di dure critiche non solo da parte di quanti saranno direttamente colpiti dalle tante dighe brasiliane, ma anche da scienziati boliviani e brasiliani che, oltre all'impatto sociale e ambientale del progetto, denunciano il rischio di inondazione per il territorio boliviano.
Uno degli argomenti più importanti per le critiche è proprio l'EIA. Questo Studio di Impatto Ambientale è stato realizzato da FURNAS e ODEBRECH, il consorzio di imprese che appoggia la costruzione delle dighe. I termini di riferimento dello Studio elaborati dall'IBAMA specificano come scopo delle dighe è quello della produzione di energia idroelettrica e della linea di trasmissione associata. Tuttavia, l'EIA ha certificato risultati solo per le due centrali idroelettriche, tacendo ogni risultato riferito alla linea di trasmissione riducendolo a qualche paragrafo e, proprio secondo l'EIA, riconoscendo la necessità di un corridoio di 10 Km. di larghezza per oltre 1.400 km. di lunghezza previsto per conduttori da 600 a 750 kilovolt che dovrebbe essere costruito da Porto Vello a Cuiabá (2).

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Il problema, però, è ancora più grave. Le due dighe e la loro linea di trasmissione sono in realtà parte di un progetto più grande che include ancora altre due dighe; una in acque che scorrono sia in Bolivia che in Brasile, una all'interno del solo territorio boliviano, entrambe finanziate dai due paesi; poi, un'idrovia di 4.000 Km. di lunghezza che obbligherà a fare grandi cambiamenti nel sistema fluviale della regione per la trasformazione in canali.

Viste le limitazioni dello Studio di Impatto Ambientale, il costo reale dell'energia elettrica per gli utenti diventa un'incognita dato che non si è tenuto conto né dei costi della linea di trasmissione né dei problemi tecnici e ambientali implicati (3). Questo ci ricorda il fatto che la costruzione di centrali idroelettriche è solitamente accompagnata dalla promessa di energia a basso costo; però, come in altri casi, il costo astronomico della diga e delle istallazioni potrebbe trasformare la promessa di energia a basso costo proveniente dai fiumi nella triste realtà di alti costi e di maggior indebitamento esterno dei paesi coinvolti.
Si è stabilito un brutto precedente. La portata superficiale dello Studio di Impatto Ambientale rispetto alla linea di trasmissione, che contraddice la normativa vigente in Brasile, è stato il risultato di una proposta della FURNAS, secondo la quale la superficialità dello Studio stesso ridurrebbe i rischi per il futuro appaltatore dell'opera ed anche per l'ente proponente. Evidentemente lo Studio rappresenta un rischio per il futuro appaltatore, come, ad esempio, che le opere non vengano autorizzate. Allora, perché dovrebbero esserlo dall'autorità per l'Ambiente? L'unico rischio che può correre l'ente proponente, dice Telma Delgado (4), è di dover rendere conto per non aver rispettato la normativa vigente.
Tuttavia il problema maggiore in caso di accettazione della proposta di FURNAS è che rappresenti un brutto precedente di mancato rispetto del principio della precauzione. Una volta che le dighe sono state costruite, la società civile si troverà davanti al fatto compiuto e pertanto sarà più facile ottenere il permesso per la costruzione della linea di trasmissione (5), e quindi per tutto il resto del progetto. Così, con l'aiuto di IBAMA, i costruttori del complesso MADERA hanno piegato gli interessi sociali e ambientali, e il principio di prevenzione dei danni a quello meramente economico delle imprese.
L'Amazzonia non rientra nei rischi d'impresa
Le conseguenze delle dighe nel rio Madera verranno ad aggiungersi al processo che da decenni sta distruggendo l'Amazzonia. La lunga e triste storia delle dighe brasiliane ha un prevedibile impatto catastrofico sulla fauna ittica. Studi realizzati dalla FURNAS dimostrano che dopo il primo anno della costruzione della diga sparirà il 70% delle specie di pesci esistenti, come dice Bastos della organizzazione Rio Terra (6). Tra i pesci, condannati a morte anche specie ancora non studiate. Secondo Bastos, si stima che nel fiume esistano 700 specie di pesce e una pari quantità di uccelli che vivono nell'area interessata.
Il progetto comporterà anche una serie di problemi internazionali. L'esperto boliviano Jorge Molina, in un'analisi dello Studio di Impatto Ambientale sulle dighe nel tratto brasiliano (7) pubblicato quest'anno, dimostra che non si è tenuto conto dello studio idrosedimentale che, come da dimostrazione, è proprio parte dello Studio di Impatto Ambientale. L'enorme quantità di sedimenti trasportata dal Rio Madera dovrebbe essere obbligatoriamente tenuta in considerazione nei processi di sedimentazione ed erosione, come accade tanto nel progetto di ingegneria delle opere come nello studio di Impatto Ambientale. Qua, questo non è successo.
Lo Studio non ha tenuto conto di tutta la conca del Madera ed ha sorvolato sugli affluenti che saranno i più coinvolti dal cambio del regime idrico, sulla qualità dell'acqua e, quindi, sull'ittiofauna. Il processo di sedimentazione sarà particolarmente attivo nel tratto superiore dello stagno del Jirau, arrivando fino alla Bolivia, dove c'è da aspettarsi che i livelli del letto e dell'acqua si alzino di vari metri rispetto alla situazione attuale (8). Oltre alle conseguenze per i pesci, il cambio di velocità e della qualità dell'acqua a causa delle dighe avranno serie conseguenze per gli umani, come l'incremento della malaria, della febbre gialla e di altro grazie alla presenza del mercurio nell'acqua, problemi già verificati in altre dighe in Brasile.
In Bolivia, visto che il suolo della selva tropicale non è adatto all'agricoltura, si coltiva gran parte dei campi che riemergono dal fiume dopo il periodo delle piogge. Ma con le dighe non esisteranno più variazioni stagionali e questo significherà per i boliviani la perdita delle loro terre da coltivare che resteranno inondate permanentemente.
La regione nord-amazzonica boliviana è stato oggetto nell'ultima decade di un processo, ancora non concluso, di risanamento nella distribuzione delle terre; un risanamento molto difficile, ma in genere pacifico. Per molti è un miracolo che il processo non sia sfociato in fatti di violenza. Tuttavia, con l'inondazione provocata dalle dighe del Brasile tutto questo enorme sforzo sociale dei boliviani sarà stato vano, almeno in alcune aree visto che la regione si troverà di fronte a una nuova mancanza di terra e, di conseguenza, le contraddizioni sociali torneranno ad essere gravi. In più, la perdita delle sponde dei fiumi costringerà la gente ad arretrare nelle delicate terre dei boschi.
Le dighe avranno anche conseguenze geopolitiche. Il 95% delle acque boliviane scorrono attraverso il Madera. Le dighe porteranno questa acque sotto il controllo brasiliano, cosa che rappresenta una prospettiva geopolitica inquietante. Il Brasile si sta mostrando recidivo con un gesto molto pericoloso per la regione: utilizzare acque internazionali senza consultare le parti interessate. Un precedente in questo senso è ben rappresentato dalla costruzione di dighe sul rio Paraná effettuata senza consultare l'Argentina per la costruzione della diga di Itaipú.


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I vincoli che il Brasile ha con la Bolivia sono la tipica espressione di relazioni tra un paese piccolo e povero come la Bolivia, che in più non è un paese costiero, e un paese grande e aggressivo che si è allargato a costo della spoliazione dei suoi piccoli vicini. Agli inizi del 1900, il Brasile - attraverso l'occupazione di fatto di territorio boliviano e grazie a un accordo con capitalisti inglesi e americani, promotori dello sfruttamento della gomma - ha tolto alla Bolivia l'Acre, facendo valere l'uti possidetis (possesso di fatto) e disconoscendo gli accordi precedenti che riconoscevano alla Bolivia il possesso del territorio indicato. Il Brasile, con la sua politica estera improntata sull'uti possidetis, ha tolto alla Bolivia, tra il 1867 e il 1903, ben 490.437 chilometri quadrati.
Il bosco tropicale che è rimasto alla Bolivia continua a mantenere un buono stato di conservazione. Oltre all'agricoltura, la caccia e la pesca, il popolo vive grazie alle attività produttive come la coltura della castagna (Bertholletia excelsa), di cui la Bolivia è il maggior paese per esportazione al mondo. L'economia basata sulla castagna necessita che il bosco si mantenga inalterato. Al contrario, il territorio tolto alla Bolivia si differenzia per la grande distruzione ambientale. La tappa più recente di questa distruzione è stata firmata dalle dittature militari degli anni Settanta, che hanno sostituito i boschi con aree per il pascolo, per il legname, provvedendo alla evaquazione, molte volte con la forza, della popolazione discendente dai semischiavi portati in questa zona per l'estrazione della gomma. Davanti alla violenza delle dittature, dove hanno giocato un ruolo importante gli squadroni della morte, la maggior parte della popolazione evaquata è andata ad ingrossare le favelas delle metropoli brasiliane. Lo sviluppo per queste persone è stato passare da poveri di campagna a poveri di città, e per gli indigeni di questa regione ha significato in molti casi lo sterminio fisico.
Braccio di ferro tra Brasile e Bolivia
Recentemente, le relazioni tra Brasile e Bolivia si sono raffreddate quando il governo boliviano ha deciso di applicare una formula moderata per il recupero delle sue risorse idrocarburifere. Queste sono state per molto tempo vendute dai governi neoliberali, disconoscendo la Costituzione politica dello Stato boliviano, la cui esistenza e il cui contenuto non era certo un segreto per le imprese che hanno beneficiato di queste risorse, né per gli organismi internazionali come il Banco Mondiale e l'FMI che hanno promosso questa politica. Gl iindrocarburi sono stati svenduti valutandoli in 800 milioni di dollari, un prezzo che ovviamente non includeva il valore delle enormi riserve di gas che hanno posto la Bolivia al secondo posto nel Sudamerica. Una delle multinazionali che ha beneficiato maggiormente della situazione è stata Petrobras, l'industria brasiliana del petrolio. Questo non significa che ne ha beneficiato il popolo brasiliano, visto che questa industria ubbidisce alle politiche determinate dalle multinazionali che si sono date da fare nei differenti ambiti del settore energetico brasiliano, incluso il commercio del gas (9) e appunto Petrobras, un processo che ha visto anche riforme legislative, anche se non estreme come in Bolivia.
La svendita delle risorse naturali boliviane è stata accompagnata da un processo sistematico di indebolimento delle sue frontiere. Per comprendere la situazione di questo paese bisogna tenere conto del fatto che, oltre alle sue grandi ricchezze naturali, per effetto dell'involuzione del mercato mondiale, la Bolivia si è trovata sulla strada del Brasile e dell'Argentina fino al Pacifico, e del Cile fino al Brasile e all'Atlantico e, in generale, sulla strade del “saccheggia e vai” del capitale transnazionale associato a questi paesi. A questo si aggiunge che le elites di questi paesi, che si considerano i rappresentanti della razza bianca presente in Latinoamerica, hanno sempre proclamato come “destino manifesto” quello di espandersi nel continente. L'ispirazione degli Stati Uniti non è mancata in questi sogni visto che i “sub-imperialismi” le sono sempre stati molto utili.
Come conseguenza geopolitica di questi interessi nei confronti della Bolivia, con la scusa della “integrazione regionale”, si è tracciata una nuova mappa della Bolivia, facendola attraversare da una serie di piste e idrovie, e - cosa più importante - la si è chiusa in un sistema di libero mercato nel quale le sue frontiere non hanno alcun significato. Riflettendo la nuova situazione, l'ex presidente della Repubblica, oggi profugo dalla giustizia, Gonzalo Sánchez de Lozada, è arrivato a dire che la Bolivia non era più un paese, ma una regione di contratti.
In campo legislativo, gli organismi multilaterali e il neoliberalismo in generale hanno fatto a meno della Costituzione Politica dello Stato, seppellendola sotto una rete di nuove leggi anticostituzionali costruite a seconda dei dettami della globalizzazione. Così, nel caso di cui ci stiamo occupando, la Legge sui Corridoi per l'Esportazione n. 1961, insieme con la Legge per l'Elettricità ha reso possibile la concessione delle risorse idroenergetiche, specificamente quelle del Rio Madera, a enti all'interno della fascia di sicurezza di frontiera di 50 Km. e per un tempo indefinito del suolo, del sottosuolo e dello spazio aereo di dominio pubblico e privato, necessari per le opere idroelettriche del segmento in questione (10).

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Questa legislazione che partecipa alla cessione di sovranità ha fatto tornare la Bolivia indietro di 100 anni nella storia. Nel 1900, sentendosi impotente davanti alla penetrazione brasiliana nell'Acre, la Bolivia lo ha consegnato alla Bolivian Syndicate, grazie ad un regime di concessione che includeva la cessione della sovranità. Davanti a questo, il Brasile, con l'appoggio della Casa Rothschild di Londra, ha comprato la concessione dalla Bolivian Syndicate, ha promosso rivolte separatiste e a finito con l'utilizzare l'Acre, come si è detto, basandosi sul possesso di fatto. Curiosamente, Plácido de Castro, uno dei mercenari separatisti del Brasile, è stato inserito nel 2004 nella galleria degli eroi dell'Acre.
In anni recenti, si sono registrati una serie di fatti che hanno fatto temere un ritorno alle vecchie pratiche. Dall'aprile 2004, le industrie proprietarie del Progetto Madera hanno iniziato a penetrare nel territorio boliviano, approfittando della legislazione di cui sopra per altre due dighe, ma alla fine del 2005 divenne evidente il fallimento dell'impresa a causa dell'opposizione di settori boliviani che hanno utilizzato con intelligenza la pochezza di risorse legali che sono rimaste in piedi dopo la valanga delle riforme neoliberali della legislazione.
All'inizio di quest'anno, in uno slancio di separatismo, si è vista sventolare la bandiera brasiliana in un villaggio alla frontiera meridionale tra il Brasile e la Bolivia, causato dalla resistenza del governo boliviano a cedere i suoi giacimenti di ferro a una industria brasiliana illegale in Bolivia, che per giunta non aveva alcuna licenza ambientale (vedi Luci sul caso “El Mutun” su Selvas.org - http://www.selvas.org/newsBO1206.html). Questa industria aveva chiesto di utilizzare come combustibile i boschi circostanti per una tassa di 12.750 barre di ferro all'anno.
Dalla nazionalizzazione degli idrocarburi boliviani, è chiara la pressione della destra, del grande capitale e dei proprietari terrieri del Brasile sul governo di questo paese affinché tenesse una linea dura nei confronti della Bolivia. Da qui nasce l'intervento pubblico di Lula riferito al caso boliviano che apparentemente tentava di placare la destra: “Se la Bolivia insiste a trovare soluzioni unilaterali, il Brasile deve mettersi a pensare come tenere una linea più dura”. Lula ha prosegue aggiungendo immediatamente e con fermezza i progetti di “integrazione” regionale concepiti dal neoliberismo, dei quali fanno parte le dighe, e insistendo che la Bolivia deve tenere in conto che il Brasile è un paese molto grande.
La situazione attuale sembra indicare che il processo di distruzione dell'Amazzonia che ha avuto inizio un secolo fa sta entrando in una nuova fase che sicuramente sarà accompagnata da nuovi discorsi ambientalisti e integrazionisti. Tuttavia, questo periodo si caratterizza con una rinnovata aggressività del grande capitale. In fin dei conti, l'ultimo secolo ci ha chiarito che è stato il capitale transnazionale alleato alle elites nazionali a muoversi nell'ombra dietro alla continuazione della distruzione dell'Amazzonia, della sua gente e della pace nella regione. Vediamo allo stesso tempo che lo sciovinismo e la condiscendenza dei governi in questi capitali non è servito a tener lontani i paesi dal sottosviluppo.
Tornando alla questione delle dighe, il tema ha avuto una importante diffusione in Brasile e in altri paesi. Nel mezzo di questa situazione risulta nota l'assenza della posizione del governo boliviano rispetto al problema. E contro il rifiuto del Brasile a rispondere alle domande di informazione, è ora che il governo assuma azioni in campo internazionale.



Note:
1. I passi seguenti sono la consultazione pubblica, la valutazione di viabilità del progetto, l'emissione della licenza preventiva, la licenza di installazione.
2. Delgado M., Telma (2006). O Sistema de Transmissão do Complexo do Rio Madera
3. Delgado, op., cit.
4. Delgado, op., cit.
5. Delgado, op., cit.
6. Valter Campanato/ABr. Porto Velho (Rondônia) Gli ambientalisti temolo l'impatto ecologicoda esondazione del Rio Madera - Intervista del presidente della ONG ambientalista Rio terra, Alexis Bastos [2/9/2006 - 12:44]
7. Molina C., Jorge (2006). Analisi dello Studio sull'impatto ambientale del Complesso Idroelettrico del Rio Madere, idrologia e sedimenti. La Paz , Bolivia.
8. Molina, Op., cit.
9. Assis, José Carlos. La Petrobras e la strategia brasiliana. www.desempregozero.org.br
10. Rico, G (2005). Progetti Idroelettrici sui fiumi Itenez-Mamoré e Madera, In Politica estera in materia di Risorse Idriche. Ministerod elle relazioni estere e Culto. UDAPEX, La Paz.


Vedi Documentario:

Il richiamo del fiume Madeira

Il documentario mostra la resistenza dei popoli dell’Amazzonia contro i grandi progetti, filmato tra il 2007 2008 è uno dei documentari più recenti che riflette sulle principali problematiche dell’America Latina.
Il documentario affronta le tematiche relative all’avanzo di grandissimi progetti di sviluppo, che ogni giorno mettendo in pericolo la sopravvivenza di culture antiche e dell’ecosistema della regione Amazzonica.
Il progetto "complesso del fiume Madeira" è una delle dieci fasce territoriali previste nell’IIRSA che a partire dall’anno 2000 stanno ridisegnano il territorio Sud Americano. IIRSA ( Iniziativa per l’integrazione dell’infrastruttura regionale Sudamericana ). Il progetto "complesso del fiume Madeira" comprende tre paesi dell’America Latina . ( Perù, Brasile e Bolivia ).
Il Progetto si potrebbe definire, come la spina dorsale di una serie di progetti a catena, che intendono trasformare i fiumi dell’Amazzonia in elettricità e idrovie, allo scopo di rendere più semplice, economica e veloce la ritirata di materie prime da parte di imprese e multinazionali.
Il progetto complesso del fiume Madeira, si realizza pertanto come un fiume non più fiume, con la negazione di tutte le forme di vita e di cultura, che nel fiume e per causa del fiume si sono proliferate ed anno fino ad oggi interagito.
Il richiamo del fiume Madeira è la risposta viva dei movimenti sociali e di tutte le comunità, all’eccessiva devastazione della foresta Amazzonica. Per le imprese, tanto le popolazioni quanto l’ecosistema, sono una difficoltà e un ostacolo da superare, la foresta è vista come fonte di ricchezza da devastare ed esplorare senza limiti.
Questo documentario è la rivendicazione di popoli indigeni e Ribeirinhos ( comunità e villaggi pescatori e agricoltori che abitano ai margini del fiume ) che hanno perso il diritto della propria identità. Un’identità negata dall’avanzo di un progresso distruttivo che deve rispettare gli unici interessi della politica economica globale. Un altro diritto umano negato, ancora uno nel corso della storia dell’umanità di cui non se ne parla! Diritto di vivere nelle proprie comunità, coltivando e pescando in equilibrio con l’ambiente, nelle sponde generose di un fiume millenario.

Visita il sito: www.nuoviorizzonti.eu

2 commenti:

Le Favà ha detto...

Ho faticato a leggere tutto. Nel senso, per la lunghezza.

Comunque la guerra dell'acqua sarà la prossima frontiera. Non tanto per l'energia o simili. Ma per bere.

catone ha detto...

Nessun problema per noi occidentali. Ruberemo, come al solito le risorse idriche ai più deboli.

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