sabato 3 settembre 2011

GLOBALIZZAZIONE, MIGRAZIONE, PROSTITUZIONE: L’ORGANIZZAZIONE DEL TRAFFICO DALLA NIGERIA

La prostituzione nigeriana si afferma in Italia a partire dalla metà degli anni ’80, quando il fenomeno della tratta di esseri umani prende piede in Europa e numerose donne, provenienti soprattutto dall’Africa, dall’America Latina e dall’Europa dell’Est, forti della loro volontà di trovare condizioni di vita migliori e di garantire un benessere per la famiglia lasciata nel paese d’origine, affidano il loro progetto migratorio nelle mani di mafie locali che promettono un’occupazione sicura nel luogo di destinazione in cambio di alti costi per il viaggio e per i documenti. E non chiariscono il tipo di occupazione ..
La recessione economica mondiale di quel decennio, accentuando i profondi squilibri tra Nord e Sud del mondo, ha dato origine a una massiccia spinta migratoria dai paesi più poveri, i quali hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita già precarie e hanno dovuto far fronte all’emergere della crisi debitoria. In questo periodo storico la Nigeria, quinto produttore di petrolio al mondo, da cui la sua economia dipende per il 90%, vive un momento di grandi difficoltà in seguito al crollo dei prezzi dell’oro nero. I programmi di aggiustamento strutturale guidati dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale acuiscono la crisi, dando avvio a processi di liberalizzazione e privatizzazione con alti costi sociali.
Dal 1966, anno in cui vengono scoperti i giacimenti petroliferi nella zona del delta del Niger a sud-est del Paese, quest’area ha assistito a un notevole sviluppo con la costruzione di porti e di industrie volte allo sfruttamento del greggio, nel quale ha avuto preponderanza il ruolo degli investimenti stranieri e delle società multinazionali, quali Shell e Eni. Qui inoltre la popolazione si è addensata arrivando dalle regioni del Nord e abbandonando le campagne, provocando una grossa crescita delle città con la proliferazione di bidonvilles.
Dall’indipendenza nel 1960, la Nigeria ha avuto una situazione politica instabile, con frequenti colpi di stato militari e una forte corruzione. Le rivalità per assicurarsi il controllo economico dell’area petrolifera hanno prodotto tensioni interetniche, che sono sfociate nel 1967 nella guerra civile del Biafra scoppiata in seguito alle rivendicazioni secessioniste degli Ibo, abitanti della zona del Delta, e conclusasi nel 1970 con la loro sconfitta.
Nel corso di questi anni la società civile si è organizzata e continua a lottare contro gli espropri, gli abusi e il gravissimo inquinamento provocati dalle compagnie del petrolio, sostenute da una costante e violenta repressione poliziesca ad opera del governo nigeriano.
Nel suo rapporto del 2004 Amnesty International ha denunciato la violazione di dirittieconomici e sociali, primi fra tutti il diritto alla salute(1).
La storia della Nigeria si inscrive dunque in quella nuova forma di dominio e di controllo economico e politico conosciuto come neocolonialismo.
Protettorato britannico dal 1901, la Nigeria si presenta come stato indipendente nel 1960 con l’adozione di una costituzione federale. Il modello occidentale dello Statonazione, che ha guidato la nascita dei nuovi stati mimetici nel periodo della decolonizzazione, segna confini che racchiudono una molteplicità di popoli diversi. La Nigeria comprende oltre un centinaio di realtà culturali molto varie fra loro, tra le quali al Nord gli Hausa-Fulani, di religione islamica, gli Yoruba al sud-ovest e gli Ibo nella zona deltizia. Questa suddivisione appare comunque alquanto approssimativa e non considera in modo adeguato le numerose differenze di cui è necessario tener conto.

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La modernizzazione dell’economia nigeriana, basata su un modello di sviluppo capitalistico che trova nella crescita e nell’accumulo la sua logica fondante, ha prodotto profondi cambiamenti nello stile di vita, nei sistemi relazionali e nei valori delle popolazioni autoctone.
Al fine di comprendere le contraddizioni interne all’Africa postcoloniale e le riorganizzazioni operate sul piano dell’immaginario simbolico per interrogarle, è utile soffermarsi sulla riflessione di Serge Latouche (2000), il quale mette in rilievo la pregnanza del legame sociale nell’esistenza della maggior parte dei popoli africani. L’autore sottolinea come tale legame, fondato sul principio di solidarietà che contraddistingue i rapporti intercomunitari, vada messo in relazione con una rappresentazione della povertà (distante da quella occidentale) intesa come mancanza di sostegno da parte della collettività.
I fenomeni che si avvicinano alla cosiddetta “stregoneria” appaiono come tentativi ditrovare una risposta alla minaccia dell’accumulo individualistico secondo una logica di mercato. L’approfondimento segue.Latouche evidenzia come lo scambio, basato sulla logica del dono (2), serva al contrario a rafforzare il legame, rendendo tutti allo stesso tempo creditori e debitori passeggeri. Il dovere di ricambiare stringe rapporti a cui non si può venire meno e il suo senso esula dalla mera materialità dell’oggetto e non si esaurisce con la contropartita, dato che l’attenzione è rivolta ai beni simbolici che ne derivano: il riconoscimento sociale, il rafforzamento delle relazioni di potere, l’affermazione di identità.
Lo scambio mercantile e l’introduzione della monetarizzazione spersonalizzano il rapporto tra chi dà e chi riceve, l’economico ingloba totalmente il sociale.
Nonostante l’imposizione della logica del mercato concorrenziale in Africa, l’autore sostiene che si conservi un doppio linguaggio e un doppio sistema di pratiche, che fa coesistere la sfera oblativa e informale, marginale rispetto alla legge e all’ufficialità, con quella dell’economico stricto sensu.
Il mondo dell’informale risulta dunque caratterizzato dall’incorporazione dell’economico nel sociale. Latouche ne distingue quattro livelli, che vanno dalla società vernacolare o oikonomia neoclanica ai traffici.
La prima consiste nei «modi in cui i naufraghi dello sviluppo producono e riproducono la loro vita, al di fuori del campo ufficiale, mediante strategie relazionali» (Latouche, 2000: 164); «L’economia è messa al servizio della rete, e non la rete al servizio dell’economia» (Latouche, 2000: 165). In questo settore occupano un posto di rilievo le donne, il cui lavoro è fondato sulla pluriattività e sul non professionalismo. I livelli che seguono sono definiti in base a una progressiva perversione della logica del dono. Come ultimo Latouche distingue il modello dei traffici, intesi come il commercio d’importazione e d’esportazione praticato ai margini della legalità. Oggetto di questo contrabbando possono essere beni alimentari, vestiti, droga, armi, esseri umani. Questi scambi, in cui la logica del dono degenera, restano comunque legati all’organizzazione basata su una socialità in reti.
Le frontiere della Nigeria risultano essere uno dei luoghi di smistamento dei principali traffici in Africa. Il traffico di donne viene gestito da mafie locali con una struttura complessa e ben organizzata, che ha forti basi nella società nigeriana. Le ragazze avviate alla prostituzione in Italia provengono soprattutto da Benin City, nello stato degli Edo, anche se la maggior parte di loro ha un passato di migrazione interna dal villaggio alla città. In una prima fase, quando il fenomeno appena sorto non era ancora conosciuto, le persone venivano reclutate soprattutto nei grandi centri urbani e non erano coscienti dell’attività che avrebbero dovuto svolgere nel luogo di destinazione. Oggi tutti sanno qual è la fonte di guadagno delleragazze che tornano ricche dall’Europa, lo stesso governo si preoccupa di organizzare campagne per denunciare il traffico attraverso l’informazione di massa.

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Da un lato le donne che partono sono quindi consapevoli di ciò che le attende, anche se non immaginano le dure condizioni di lavoro e di sfruttamento che dovranno affrontare per esercitare la prostituzione su strada. Dall’altro le mafie si sono spostate per il loro reclutamento dalle città ai villaggi, dove le informazioni sono meno diffuse, con un relativo abbassamento dell’età e del livello di scolarizzazione di chi parte. Il reclutamento avviene tramite uno sponsor, a volte può essere la stessa donna che si occuperà delle ragazze in Italia, e si basa su una rete amicale-parentale. Chi decide di partire viene nella maggior parte dei casi da famiglie poligamiche, quindi molto numerose, in cui è soprattutto femminile il ruolo di bread-winner. La scelta è sostenuta spesso dallafamiglia che vede nei futuri guadagni della figlia un mezzo per superare le difficoltà economiche e accrescere il proprio benessere. La stigmatizzazione sociale delle donne partite per l’Europa non risiede tanto nell’essere riconosciute come prostitute, quanto nel fallimento del loro progetto migratorio nel caso dell’espulsione da parte del paese di destinazione: molte delle persone rimpatriate vengono ripudiate dalle famiglie perché si presentano senza denaro (3).
In Nigeria la prostituzione appare diffusa soprattutto nel sud del Paese, in corrispondenza delle zone occupate dalle compagnie petrolifere, ma le donne che migrano in Europa raramente hanno già avuto un passato sulla strada.
La scelta di intraprendere il viaggio è sostenuta per molte dalla speranza di realizzare un percorso personale di autodeterminazione ed autonomia: il loro progetto migratorio ha obiettivi chiari e concreti che mirano alla realizzazione di un miglioramento delle condizioni di vita.
E’ necessario considerare che la società tradizionale è fondamentalmente patriarcale e che le vie di emancipazione per la donna nigeriana sono ostacolate da condizioni economiche difficili e dal compito di farsi carico della famiglia. L’asimmetria di genere ancora una volta come ovunque presente è sottolineata dal fatto che sono i figli maschi ad avere la precedenza nell’accesso all’istruzione. Inoltre si ricorda che in Nigeria è diffusa la pratica delle mutilazioni genitali femminili e che nel nord islamico viene applicata integralmente la sharî’a, con la tristemente nota lapidazione delle adultere.
Il costo per il viaggio e i documenti viene anticipato dai trafficanti. Il patto per la restituzione del debito assume un carattere fortemente simbolico in quanto inserito in un’esperienza di migrazione che porta distanza e pericolo di oblio rispetto al paese d’origine.
Il dramma esistenziale vissuto da queste donne trova vistosi riscontri nella costruzione del loro universo simbolico dove espresso, le pratiche di “stregoneria” e dalla possessione, la presenza della figura extraumana Mami Wata filtrano la paura di tradire i legami di parentela e lignaggio ma rappresentano anche i vincoli di memoria (Beneduce 2002) a una tradizione collettiva e a un passato costruiti su un’organizzazione del simbolico che non trova più riscontro nella nuova realtà del luogo d’arrivo e chiama continuamente a un confronto e a doveri precisi. Il giuramento per la restituzione del debito può avvenire attraverso un contratto sottoscritto davanti a un notaio, in cui è prevista una garanzia sotto forma di beni da parte della famiglia.
Quello che caratterizza il traffico di donne dalla Nigeria è il juju compiuto per ottenere una forma di controllo sulla persona a cui è rivolto. Il juju avviene raccogliendo elementi del corpo della ragazza, come capelli, unghie, peli pubici, o anche abbigliamento intimo, i quali si crede continuino ad essere parte della persona stessa e vengono utilizzati come mezzo di ricatto e minaccia di sventura, malattia, morte. Viene di solito effettuato da un babalawo in Nigeria il quale, su richiesta della madame, si appella alla forza del proprio vodu per caricare di potere l’insieme degli elementi.
La figura della madame è un altro elemento che distingue la prostituzione nigeriana.
Investita di un ruolo ambiguo che la vede benefattrice e sfruttatrice insieme, è la donna che compra le ragazze dai trafficanti, di solito uomini, e alla quale deve essere pagato il debito, che oggi sembra ammontare a una cifra che va dagli 80.000 ai 120.000 euro e che di solito riesce ad essere estinto in due o tre anni di lavoro. La madame è spesso un’ex prostituta con una storia simile a quella delle donne su cui ha il controllo. Vive insieme a loro, le avvia al mestiere e richiede una quota dei loro guadagni come contributo per la casa e per il joint, il posto di lavoro sulla strada. Si instaura così un rapporto verticale tra lei e le ragazze, che devono assicurarle rispetto e lealtà. Nello stesso tempo diventa il punto di riferimento principale per affrontare la nuova vita in un paese estraneo.
Le rappresentazioni del corpo e della malattia, che caratterizzano la zona dell’Africa occidentale qui considerata, attivano nel contesto della prostituzione un linguaggio basato su segni fisici, sofferenze, infermità, i quali costituiscono i sintomi di angosce e paure dovute alla rottura di un rapporto con il proprio paese e all’abbandono delle diverse appartenenze al mondo umano o sovrumano. Le donne nigeriane in Italia raccontano frequentemente del loro legame con Mami Wata, il cui culto è diffuso nel sud del paese ed è connotato dall’esperienza della possessione e della trance.

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Questi aspetti dell’immaginario delle ragazze provenienti da Benin City, che qui sono stati solamente accennati e che verranno approfonditi nei capitoli seguenti, determinano una reazione di diffidenza o di disinteresse nei confronti delle possibilità di fuoriuscita dalla prostituzione previsti in Italia dall’art.18 del D.L.286/98, come rilevano i servizi che se ne occupano. I panegirici centrati sulla “paura del vodu”, alla cui diffusione concorrono i mass media, non migliorano la comprensione dell’universo simbolico di queste donne: esse risultano essere sempre oggetto di discorsi altri e vengono dipinte esclusivamente come vittime o schiave passive..
La complessità del fenomeno e il suo intrecciarsi con componenti religiose, culturali, storiche ed economiche globali, rende necessario riconsiderarle invece come soggetti di pratiche simbolizzate che costituiscono un linguaggio: da un lato, per riuscire ad operare nella direzione di un incontro che favorisca la promozione dei diritti e contribuisca all’eliminazione di ogni tipo di sfruttamento, dall’altro, per restituire dignità a tutte coloro che investono in maniera attiva su un progetto di miglioramento di sé e della propria vita.

Note
1) “Nigeria. Are human rights in the pipeline?” in http://web.amnesty.org/library/Index/ENGAFR440202004
2) L’autore fa riferimento all’analisi di M. Mauss sul dono come scambio caratterizzato dal triplice obbligo di dare, ricevere, ricambiare e fondato quindi sulla reciprocità. Per approfondire M. Mauss, Essai sur le don, Paris, Presses Universitaires de France, 1950 (trad. it. Saggio sul dono, Einaudi, Torino, 2002).
3) Il progetto ALNIMA, realizzato da COOPI, Tampep onlus, SRF e CeSPI nel 2004, è stato rivolto in Nigeria alle donne rimpatriate, spesso abbandonate dalle famiglie, al fine di promuovere il loro reinserimento sociolavorativo nel paese d’origine, evitando in questo modo un loro ulteriore reclutamento da parte dei trafficanti.
Fonte: T E S I  D I  L A U R E A  T R I E N N A L E  I N  S T O R I A D E L L E  R E L I G I O N I della Dott.ssa Chiara Pilotto

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