mercoledì 2 marzo 2011

IL SUD AMERICA NELLA GEOPOLITICA ENERGETICA MONDIALE (I PARTE)

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“L’economia nordamericana ha bisogno dei minerali dell’America Latina come i polmoni hanno bisogno dell’aria”.
Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina

Il modello della civiltà in cui viviamo (capitalismo), con le sue intrinseche caratteristiche di sviluppismo, consumismo e spreco, imposto a quasi tutta l’umanità negli ultimi 150 anni, è dipeso per la sua esistenza dalla disponibilità di fonti di energia che sono state, allo stesso tempo, abbondanti ed economiche.


Le quattro principali fonti di energia per questo XXI secolo appena iniziato sono:
A- Combustibili fossili
B- Biocombustibili
C- Energia nucleare
D- Minerali strategici con grande capacità di immagazzinamento e conduzione di energia      (litio, coltan)


Il formidabile sviluppo delle forze di produzione durante il XX secolo era legato alla costante disponibilità da parte dei centri del capitalismo mondiale dell’energia derivata dal petrolio, ottenuto la maggior parte delle volte in seguito a saccheggi puri e semplici o a prezzi ridicolmente bassi, quasi simbolici.
La logica e le leggi del capitalismo non sono cambiate da allora. Le nuove fonti energetiche saranno oggetto di tentativi di appropriazione per mezzo di aggressioni (come nel caso dell’Iraq) o di transizioni ingiuste e usurarie con governi mercenari e corrotti (come quelli presenti in Venezuela prima di Chávez).
Il capitalismo è indissolubilmente legato all’imperialismo. Oggi, uno non può sopravvivere senza l’altro. Per un sistema di struttura e concezione neoimperialista non è sufficiente aver già garantito il rifornimento di determinati articoli e beni; ciò che determina il modello e le caratteristiche delle relazioni imperialiste di dominio è il possesso della facoltà di ottenere queste risorse in forma illimitata e con costi di poco superiori alle spese di investimento realizzate. Per esistere, la divisione internazionale del lavoro secondo il sistema capitalista mondiale ha bisogno di elevate percentuali di plusvalore, percentuali che possono essere ottenute solo attraverso il saccheggio sistematico delle risorse e del lavoro delle società periferiche e dipendenti.
I primi anni del XXI secolo si imbattono in un sistema capitalista attraversato da una delle sue crisi cicliche generata dalle intrinseche contraddizioni che lo caratterizzano. Da un lato vive una fase di apogeo ed espansione mondiale denominata dai suoi panegiristi “globalizzazione”, ma dall’altro presenta i sintomi inequivocabili dell’essere immerso in una rottura strutturale che, per molti suoi aspetti, sembra irreversibile e terminale.
Il capitalismo è, per sua natura, un sistema profondamente irrazionale. Non ho alcun dubbio che la sua fine sia prossima (deve essere così, l’ecosistema terrestre non sopporterà ancora per molto tempo le sue dinamiche depredatorie e distruttive), però sono anche convinto che morirà uccidendo e cercherà di rimuovere tutto ciò che si interporrà sul suo cammino suicida per ottenere le risorse energetiche indispensabili per il mantenimento del suo ritmo incessante di crescita ed espansione. E questo non perché sia stato deciso da alcune élite malvagie e prive di coscienza (se così fosse basterebbe solo sperare che nei centri imperialisti del capitalismo mondiale il potere venga assunto da gente “buona” o, per lo meno, sensata, con tutto l’assurdo e il fantasioso che ciò presupporrebbe), ma perché questa è la sua natura e così vogliono le leggi che regolano la sua esistenza, come ha ben spiegato Marx nella sua opera maestra Il Capitale.
Nello scenario sopra descritto il Sud America sta per svolgere un ruolo chiave e protagonista. Vediamo perché.

Idrocarburi
In Sud America si trovano le più grandi riserve di idrocarburi esistenti sul pianeta. Solo nella fascia dell’Orinoco, secondo alcune cifre dell’Istituto di Geologia degli Stati Uniti, con la tecnologia attuale si possono recuperare più di 513mila milioni di barili di petrolio, ai quali vanno sommati i circa 100 mila milioni di barili che il Venezuela possiede come riserve convenzionali, le riserve di gas naturale pari a circa 30 mila milioni di barili e le riserve di carbone pari a poco più di 5 mila milioni di barili. A questo andrebbero sommati gli oltre 100 mila milioni di barili che i brasiliani hanno trovato nei loro giacimenti off-shore nei bacini del Pre-sal e le riserve di petrolio e gas presenti in Colombia, Ecuador e Bolivia che, seppure non abbiano le dimensioni di quelle dei primi due paesi, non sono comunque da disdegnare. Un elemento importante da menzionare è rappresentato dalla recente scoperta di giacimenti petroliferi nelle isole Malvine argentine, che, secondo le imprese che vi realizzano prospezioni con licenze del governo inglese, superano i 18mila milioni di barili e coinvolgono direttamente gli interessi britannici nella geopolitica energetica della regione.
Tutto ciò significa che in Sud America esistono riserve di idrocarburi più grandi di quelle presenti nei bacini del Medio Oriente o del Mar Caspio, con il vantaggio annesso della loro prossimità a quelli che, fino ad ora, sono stati i grandi centri del consumo energetico del capitalismo mondiale.
Sembra ovvio che nella lotta per il controllo degli idrocarburi a cui l’umanità assisterà nei prossimi anni, gli Stati Uniti cercheranno di assicurarsi il controllo di queste zone del pianeta come riserva esclusiva e strategica di fronte a potenze emergenti quali la Cina e l’India e persino ai suoi tradizionali alleati europei e giapponesi.

Biocombustibili
Il Sud America è la principale zona di produzione di biocombustibili del mondo. Il Brasile produce il 45% del bioetanolo distillato sul pianeta, l’Argentina è il primo produttore mondiale di olio di soia mentre la Colombia è il principale produttore di olio di palma africana del continente, entrambi oli utilizzati per la produzione di biodiesel. Bisogna però fare una specificazione: affermando che il Brasile è il primo produttore mondiale di etanolo o l’Argentina di olio di soia, sembrerebbe che sono lo stato brasiliano o quello argentino a produrre queste materie, mentre in realtà chi le produce sono gigantesche transnazionali che si sono insediate opportunisticamente nei territori di questi paesi.
Secondo il Professor Miguel Ángel Altieri, dell’Università di Berkeley, “ci troviamo di fronte al disegno di una nuova strategia di riproduzione da parte del capitalismo, che sta assumendo il controllo dei sistemi alimentari. Si sta creando un’alleanza inedita tre le multinazionali petrolifere, biotecnologiche, automobilistiche, i grandi commercianti di grano e alcune organizzazioni conservazioniste che stanno per decidere quale sarà il grande destino dei paesaggi rurali dell’America Latina”.
Il cattedratico di origine argentina termina le sue riflessioni con una chiamata d’allerta per i popoli del sud del Rio Grande: “gli Stati Uniti per produrre tutto l’etanolo di cui hanno bisogno per sostituire il petrolio, dovrebbero coltivare una superficie pari a sei volte quella del loro paese. Quindi è chiaro che lo faranno nei paesi dell’America Latina e, difatti, hanno già intrapreso questa strada. Si tratta di un imperialismo biologico”.

Energia nucleare
In Sud America esistono consistenti riserve di minerali radioattivi. Paesi come il Brasile, l’Argentina e quasi tutte le nazioni andine possiedono nei loro territori giacimenti di tali minerali. Inoltre il Brasile e l’Argentina dominano tutti i cicli tecnici per la produzione di energia nucleare.
Fino ad oggi, tutte le centrali nucleari del mondo hanno prodotto energia a partire dalla fissione (rottura) del nucleo degli atomi dei materiali radioattivi. Tuttavia, le centrali nucleari di nuova generazione (il prototipo viene costruito in Francia) saranno centrali che produrranno energia non a partire dalla fissione nucleare ma dalla fusione dei nuclei degli atomi dei materiali radioattivi in base a un processo simile a quello che avviene nel sole.
Il materiale che finora ha dimostrato di essere il più sufficiente e adeguato per la produzione di energia a partire dalla fusione dei suoi atomi è il trizio (una combinazione di litio e idrogeno). Il fatto che in Sud America esista circa l’80% dei giacimenti di litio di cui si è potuta confermare l’esistenza nel mondo e, allo stesso tempo, il fatto che esistano grandi riserve di uranio e che ci siano paesi che conoscono le fasi tecniche del processo di produzione di energia nucleare apre molteplici variabili sul ruolo che potrà giocare questa regione nel campo della produzione di energia nucleare nel XXI secolo.

Joel Sangronis Padrón è professore all’Università Nazionale Sperimentale Rafael Maria Baralt (UNERMB) in Venezuela.
Traduzione di Sara Rosset
Fonte

1 commento:

Gianna ha detto...

Immagine spettacolare, Maurizio.

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