lunedì 21 marzo 2011

IL BRASILE DEL MIRACOLO ORA È LA LOCOMOTIVA DELL'ECONOMIA MONDIALE

Obama, per la prima volta a Rio, visiterà una favelas. Simbolo di povertà e adesso anche della riscossa di un Paese che attira ogni anno investimenti esteri per 45 miliardi di dollari ma è un esempio di socialdemocrazia.(dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI)


clip_image001
RIO DE JANEIRO - Cosa sono gli Stati Uniti? "È quel posto dove c'è solo l'inverno?" azzarda Joao Paolo, 6 anni. Chi è Obama? "Obama è un Lula", risponde decisa Agatha Vitoria, 5 anni. Qui i maschietti da grandi vogliono tutti diventare Ronaldinho e Kakà, la sorpresa sono le bambine: interrogate sul mestiere molte s'immaginano un futuro di "empresarias", imprenditrici. Non è un'idea scontata, nel posto in cui si trovano. Sono in una classe di prima elementare al "Solar Meninos de Luz", la Casa dei Figli della Luce. Un'istituzione incuneata in mezzo a due famigerate favelas di Rio, formicai di casupole abbarbicati a una collina, baraccopoli che hanno divorato la vegetazione tropicale per stipare 15.000 abitanti nell'abusivismo, per decenni senza acqua corrente e senza luce, incollati come crostacei a una parete ripida che potrebbe franare con un nubifragio tropicale. Solo in Brasile è possibile che un luogo così squallido sorga al confine esatto tra le due spiagge più chic e famose di tutto l'emisfero Sud: Copacabana e Ipanema. E in omaggio alla fantasia carioca che sfida la sventura, queste due favelas storiche nel cuore di Rio hanno nomi di uccelli: Pavaozinho (piccolo pavone) e Cantagallo.
Sono il simbolo antico di una nazione crudele, che per secoli ha visto convivere a pochi metri di distanza il lusso sfacciato degli straricchi e la miseria abietta del sottosviluppo. Ma oggi diventano il simbolo di qualcosa di nuovo: uno sviluppo che per la prima volta aggredisce davvero la povertà, attenua le diseguaglianze. È la ragione per cui Barack Obama, che domani inaugura a Brasilia la sua prima visita da presidente nel Sudamerica, domenica verrà anche a Rio e ha chiesto di visitare una favela. Senza frastuono polemico, senza gli ideologismi cubani o venezuelani, il Brasile di questi anni è diventato un modello socialdemocratico che può insegnare qualcosa agli Stati Uniti.
"Solar Meninos de Luz" non nasce dalla testa di un presidente, è un piccolo miracolo della società civile. Dietro c'è un benefattore celebre, lo scrittore Paulo Coelho nato qui a Rio, ma ci sono anche miriadi di cittadini anonimi che contribuiscono regolarmente con piccole donazioni. Il centro ha un'impronta religiosa che può far storcere il naso ai laici (è ispirato alla dottrina spiritista del francese Allan Kardec, pedagogo che credeva nella reincarnazione), ma non stupisce nessuno in Brasile, dove la Chiesa cattolica convive con il Candomblé animista africano, e tutt'e due subiscono la poderosa penetrazione degli evangelici. "Quel che conta qui è il risultato - mi dice la mia guida, la volontaria Alessandra Maltarollo - e cioè che questi bambini non vedono più né droga né pugnali da combattimento. Li accompagniamo dall'asilo-nido al liceo e fino all'università".
Il miracolo della "Casa dei Figli della luce" è lo spettacolo che vedo al mattino lungo le serpentine che si arrampicano sulla collina ripida: ai lati dei vicoli c'è ancora un popolo di giovanotti sfaccendati, seduti dietro bancarelle, ma in mezzo sfilano cortei gioiosi di scolaresche in divisa bianca e verde, pulitissimi, ordinati, diretti verso le aule. Hanno una biblioteca con 20.000 testi, un teatro da 400 posti, palestre dove li vedo allenarsi alla capoeira (un'arte marziale brasiliana), ambulatori e mense, perfino insegnanti specializzati nell'assistenza ai bambini con handicap gravi. I corsi d'inglese e d'informatica cominciano dalla classe di prima elementare che ho interrogato sull'arrivo di Obama. Ma la trasformazione della favela è il frutto di un'azione combinata: oltre ai volontari che lavorano dal basso c'è stato un intervento dall'alto. In senso letterale: è dall'alto che sono piombati su questa e altre favelas di Rio elicotteri dell'esercito, squadre paramilitari, corpi speciali da combattimento. Una vera operazione di guerra, pianificata a tavolino come uno degli ultimi atti del presidente Lula da Silva, d'accordo con il governatore dello Stato e il sindaco. "Il 95% della popolazione di qui non l'ha subìta come un'invasione ma come una liberazione", mi dice il 65enne Sallyr Lerner che per una vita è stato "il dentista delle favelas".
Lo Stato ha preso per la prima volta nella storia il controllo di questo territorio, mafiosi e narcotrafficanti sono fuggiti. E quell'invasione spettacolare non è rimasta un exploit una tantum. I netturbini che spazzano i vicoli sono un segnale che lo Stato è ancora qui. Come l'auto della Unità di Polizia Pacificatrice che presidia l'ingresso della favela: una presenza impensabile ancora un anno fa, quando le forze dell'ordine non osavano avvicinarsi. "Una di queste favelas - mi racconta la fotografa Ana Rodrigues - la chiamavamo Striscia di Gaza. Lì gli spacciatori vendevano droga sulle bancarelle all'aperto, con i kalashnikov a tracolla. I bambini mi prendevano per mano e a pagamento mi guidavano a fotografare le pozze di sangue caldo delle ultime vittime di regolamenti di conti".
Le favelas continuano a crescere in altezza, a furia di "puxadinhos", spintarelle delle case che si accavallano le une sopra le altre. Ma l'alveare caotico di Cantagallo è ormai tutto di mattoni anziché di legno: modesto segno di un benessere primordiale che avanza. Dietro la metamorfosi delle favelas c'è un fenomeno molto più ampio. Il tasso di disoccupazione brasiliano è sceso al 6,1%: il minimo di tutti i tempi, più basso che negli Stati Uniti e nell'Unione europea. Una parte di questo progresso è semplicemente l'effetto del boom di tutti i Paesi emergenti. Come dice José Carlos Martins, direttore esecutivo di Vale che è il secondo colosso minerario mondiale: "Noi ci svegliamo ogni mattino e preghiamo che la Cina stia bene".
Soya, zucchero, caffè, legname, rame, ferro, oro: tutto ciò di cui la natura ha generosamente provvisto il Brasile, va a ruba nelle nazioni asiatiche che sono le locomotive della crescita. Questo Paese che fu tristemente celebre per le sue bancarotte, che tra il 1940 e il 1995 dovette cambiare otto volte il nome della sua moneta in seguito all'iperinflazione, oggi si è trasformato nel quarto maggiore creditore degli Stati Uniti. Gli investimenti esteri affluiscono al ritmo di 45 miliardi di dollari all'anno: solo la Cina ne attira di più. Il Brasile ha dato la lettera iniziale al nuovo acronimo dei Bric, con Russia India e Cina fa parte del club delle "altre" potenze, quelle che accelerano mentre l'Occidente declina. A Rio e San Paolo si respira la stessa fiducia nel futuro che ricordo a Mumbai e Shanghai. Ma tra i Bric è il Brasile quello che può vantare la struttura più equilibrata delle esportazioni. A differenza di Cina e India, il Brasile è un "granaio" del mondo, ha un'agricoltura moderna in grado di competere con quella degli Stati Uniti, e produce molto più di quanto consuma. A differenza della Russia o di altri Paesi emergenti, non vive solo di materie prime. Esporta auto, telefonini, elettrodomestici, navi e locomotrici. Il suo gioiello industriale è Embraer, terzo gruppo aeronautico mondiale dietro Boeing ed Airbus.
Poi c'è la caratteristica più importante che rende il Brasile unico tra i Bric: la quarta democrazia mondiale è riuscita a usare il boom per ridurre le diseguaglianze, anziché allargarle com'è accaduto in Cina. "Siamo un'eccezione - aggiunge l'economista Ernani Teixeira della Brazilian Development Bank - anche rispetto alla tendenza delle liberaldemocrazie più mature". Negli Stati Uniti e in gran parte dell'Europa, le disparità di redditi e patrimoni si sono accentuate. "La nostra fortuna - ironizza l'economista Fabio Gambegia della Bndes - forse è legata a uno scherzo della storia. La nuova Costituzione del Brasile democratico fu approvata un anno e mezzo prima che cadesse il Muro di Berlino, a un'epoca in cui ancora c'era fiducia nel ruolo dello Stato".
Il primo ad applicarla realmente è stato Lula. La sua politica sociale, che oggi prosegue con la presidente Dilma Roussef (ex capogabinetto di Lula, un passato nella lotta armata, il carcere e la tortura sotto la dittatura militare), ha "incorporato" per la prima volta nell'economia masse di poveri. Il salario minimo garantito, che si applica a 25 milioni di lavoratori, gode di una doppia indicizzazione: sul tasso d'inflazione e sull'aumento annuo del Pil. Una manna dal cielo in un periodo di forte crescita come gli ultimi otto anni. Oggi il salario minimo vale più di 300 dollari, un livello molto più alto che negli altri Paesi sudamericani. "Questo è il modo migliore per ridurre le diseguaglianze: arricchire i poveri, anziché impoverire i ricchi", osserva Gambegia. Non si può dire altrettanto di Hugo Chavez né del socialismo cubano. Il Brasile si è conquistato un'ammirazione mondiale grazie all'invenzione della Bolsa Familia, un sussidio diretto alle madri che viene pagato solo se i figli vanno regolarmente a scuola. Funziona, è il migliore antidoto mai inventato contro il lavoro minorile.
Naturalmente questa non è Scandinavia, resta una terra con tanti poveri, corruzione, ingiustizie: ma è uno dai pochi Paesi al mondo dove l'indice Gini della distanza tra i ricchi e i poveri diminuisce regolarmente da otto anni. Ora il miracolo "di sinistra" brasiliano deve affrontare sfide importanti, figlie del suo successo. Ha una moneta fortissima, che trasforma Rio e San Paolo nelle città più care del mondo, e non aiuta l'export industriale. La sopravvalutazione rischia di accentuarsi nei prossimi anni per la scoperta di immensi giacimenti petroliferi offshore, a 200 km dalla baia di Rio, che faranno del Brasile la quarta o quinta potenza energetica mondiale. Si capisce l'interesse di Obama per questo partner-rivale, la cui forza comincia a fare ombra al grande vicino settentrionale. E' Obama che ha chiesto espressamente di includere nella sua visita a Rio una favela, la Città di Dio. "Oggi può esplorarla tranquillamente - mi dice Ana Rodrigues - un anno fa quelli là avrebbero sparato anche al presidente degli Stati Uniti".
Fonte

Nessun commento:

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin