martedì 21 settembre 2010

IL MESSICO SI INTERROGA

A duecento anni dai moti di liberazione dalla corona spagnola, e a cento anni dalla rivoluzione popolare, il Messico si interroga sulle conquiste civili ancora da raggiungere
scritto da
Martin E. Iglesias


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Due secoli prima, nel 1810 nel centro dell'attuale Messico, Padre Miguel Hidalgo accompagnato dall'immagine della Virgen de Guadalupe esce dalla sua chiesa e lancia lo storico "grido": "Viva la América y muera el mal gobierno!".
Da allora l'indipendenza messicana è rappresentata dal "Grito" che diede i natali nei territori della Nuova Spagna ad una guerra di liberazione durata 11 anni, fino all'entrata dell'esercito indipendentista nella capitale il 27 settembre 1821. Sulla scorta storica del famoso editto contro la schiavitù proclamato in quell'occasione proprio da Don Miguel Hidalgo y Costilla - il "Generalísimo de America"-, che la chiesa aveva bollato eretico per i suoi pensieri ossessivi verso i Diritti dell'Uomo e la rivoluzione francese, il Messico ha potuto rifondare una patria con principi di libertà ed uguaglianza. Cento anni dopo, negli stessi confini, un'altra rivoluzione, la Rivoluzione messicana, ereditava il "Grito" e i suoi ideali caricati in sella a Emiliano Zapata e Francisco Villa detto Pancho. Due rivoluzioni, però non sono bastate a trasformare questa nazione in un territorio libero dalla violenza, la schiavitù e la corruzione.

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Le contraddizioni dell'Indipendenza. Tantissime sono le voci e le analisi in Messico che dubitano ci sia qualcosa da festeggiare. Come elenca Jorge Carrasco Araizaga, il noto giornalista della rivista Proceso, l'espressione della debolezza del Messico del XXI secolo sono: "Povertà endemiche, violenza senza precedenti, la corruzione e l'ineguaglianza che continua a calpestare i diritti. Il Messico - prosegue Araizaga - ha quasi 110 milioni di persone, ma il 60 percento è una massa che sopravvive a stento e la mancanza di cittadinanza permette l'esistenza di una élite politica ed economica, avida e impunita. Ma anche sindacati, partiti politici e governi locali sono parte di questo regime". E ancora descrive "come il potere, de facto in Messico, è nelle mani di droga e televisione. La prima mantiene la sua oppressione sulla popolazione con la violenza e la televisione opprime la politica con il potere del suo consenso, formando o deformando la coscienza pubblica. Lo Stato - conclude Araizaga - ha perduto la sua funzione primaria di garantire l'integrità e la sicurezza dei suoi abitanti."
Infatti, tra dicembre 2006 e agosto 2010 sono oltre 29 mila i morti riconosciuti come vittime accertate nella guerra "anti-droga", e l'informazione, che con difficoltà e coraggio cerca di documentarla, ha pagato con 60 giornalisti uccisi.
"Il presidente Calderon ha mostrato l'orgoglio del Bicentenario ostentando un ricordo del passato, un'esibizione della Storia, quasi a voler nascondere e occultare il presente", commentano alcuni analisti.
"Rimanete tranquilli a casa, sul vostro divano a vedere in televisione i festeggiamenti" consiglia invece il municipio di Ciudad Juarez. Per la prima volta, infatti, verranno sospesi i festeggiamenti tradizionali per paura di omicidi - che in pochi giorni hanno registrato solo qui altri 29 morti nella guerra ai narcos - o peggio di attentati clamorosi come l'auto bomba usata in città nel luglio di quest'anno. Ciudad Juarez, a pochi chilometri dalla frontiera statunitense del Texas, cede anche alle lusinghe della sua città dirimpettaia oltre confine, El Paso, che offre a tutti i cittadini messicani la soluzione contro la paura di uscire per strada: una piazza locale "a stelle e strisce" dove radunarsi a festeggiare il bicentenario in tutta sicurezza.
Il presidente messicano Felipe Calderón ha previsto per la prima volta, e per l'occasione del Bicentenario, due "Gritos" uno tradizionale la notte del 15 settembre nel Palazzo Presidenziale e un secondo il giorno dopo a Dolores Hidalgo, culla dell'Indipendenza. Forse non basterà duplicare l'evento storico per convincere tutti i messicani di aver conquistato la libertà, e nascondere loro la cruenta e irrefrenabile perdita degli stessi diritti conquistati.

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