lunedì 28 dicembre 2009

LETTERA ALLE DONNE

del Dalai Lama

“Lettera alle donne” (Rizzoli, 2009) è un libro che raccoglie le interviste e i pensieri del Dalai Lama sul ruolo del genere femminile nel “villaggio globale” (l’autorità spirituale del Tibet ha vinto il premio Nobel per la Pace nel 1989). L’autrice è Catherine Barry, una giornalista televisiva francese.

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“La prossima sarà l’era della donna!”. Il messaggio del Dalai Lama è quindi molto semplice, ma molto arduo da comunicare e da realizzare: “Lasciamo che i valori femminili sboccino nella nostra società affinché cambino la mentalità delle persone. È indispensabile per costruire una pace duratura e per il futuro dell’umanità”. L’altruismo delle donne che ricercano l’armonia con il prossimo e considerano la felicità degli altri come parte integrante della propria, è la via per la trasformazione pacifica delle civiltà umane e il raggiungimento di forme di spiritualità più libere.

Per fare questo “l’educazione di un figlio non consiste, come accade in molte società occidentali, nell’insegnargli solamente come essere competitivo, a guadagnare molto denaro, ottenere fama e potere. Perché in questo modo non si fa altro che inculcargli paure, angosce, dubbi e tensioni continue. Educare i figli significa innanzitutto insegnare loro valori etici e morali grazie ai quali manterranno un atteggiamento rispettoso nei confronti dell’altro” (p. 99). Quindi “le madri devono assolutamente insegnare ai figli come lavorare sulla mente e sulle emozioni” (p. 97).

Ma è difficile lavorare sulle emozioni, sulla sofferenza e sulla realtà della vita dove vige la legge dell’impermanenza (tutto è instabile e provvisorio), quando le donne spendono cifre incredibili per comprarsi l’illusione dell’eterna giovinezza con creme che al massimo possono rinviare l’invecchiamento di qualche anno (p. 80). Inoltre le donne farebbero meglio a non inseguire lo sfavillio di oro e diamanti, che spesso costringe gli uomini a sfruttare altri uomini. Anche le illusioni televisive non sono molto costruttive: il sogno di diventare “videolina” trasforma le ragazze in tante bamboline a disposizione dello sfruttamento mediatico ed economico maschile.

Così l’occidente è affetto “da una forma di egoismo che ci fa perdere di vista quanto la nostra felicità dipenda anche da quella degli altri. Comprenderlo è una delle sfide delle moderne civiltà ma è anche il “segreto” della felicità. Ridimensionare l’egoismo e comprendere che la nostra felicità passa attraverso quella degli altri consente di intervenire sulle nostre sofferenze per placarle. Il buddismo può fornire un importante contributo in materia, ma in fondo si tratta semplicemente di sviluppare le capacità proprie della mente umana: la compassione, l’amore, la calma, il discernimento e la fiducia” (p. 31-32). Inoltre l’adesione a una disciplina buddista non implica l’abbandono del proprio credo di nascita: si può essere cristiani e anche buddisti.

Dopotutto il vero messaggio di conoscenza e di pace di Gesù è in sostanza uguale a quello buddista: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Vangelo secondo Giovanni). Questo insegnamento sulla libertà è ben diverso dal culto della gerarchia e del potere che ci vogliono trasmettere i vari rappresentanti di molte religioni e dottrine, fin da quando emettiamo il primo vagito. E il mondo islamico sta sicuramente trascurando l’enorme potenziale intellettuale e morale del mondo femminile.

Ancora oggi quasi tutte le donne del pianeta non fanno altro che replicare le logiche culturali del potere maschilista, con gli antiquati sistemi gerarchici e religiosi che sfruttano tutte le energie del genere femminile. Ogni sistema educativo dovrebbe iniziare a trasmettere “ai bambini che ogni discriminazione è fonte di violenza: bisogna insegnare ai bambini che solo la tolleranza, la generosità e il dialogo consentono di risolvere situazioni complesse. Fare distinzioni tra Paesi e religioni, per esempio, oltre a generare incomprensioni e violenza è del tutto inutile. Cultura e tradizioni aiutano le persone a radicarsi e a mantenere un’identità che le rassicura e favorisce l’instaurarsi di relazioni di fiducia con gli altri” (p. 103). L’educazione di tipo nazionalista che perdura ancora oggi, non fa che riprodurre il concetto malsano che solo un popolo è stato prescelto da Dio e perciò è migliore di tutti gli altri (se fosse andata veramente così, l’attività preferita di Dio sarebbe quella di mettere gli altri popoli “in mezzo alle ruote e alla felicità” di questi popoli che si autodefiniscono prescelti).

Inoltre il Dalai Lama afferma: ogni religione “si è sviluppata in un determinato contesto storico, culturale e sociale e si è poi adattata agli individui che vivono in questo specifico contesto. Per tale motivo non sono favorevole alle conversioni religiose: nessuna religione detiene la verità o è migliore delle altre” (p. 200), e tutte hanno qualcosa da insegnare. È quindi necessario favorire il dialogo interreligioso organizzando frequenti “incontri tra studiosi, universitari e teologi delle differenti religioni affinché lavorino insieme alla ricerca di affinità fra le loro tradizioni. In questo modo ci si rende conto che, anche se le religioni hanno punti di vista metafisici molto diversi, condividono il medesimo scopo e tendono a promuovere identici valori umani: altruismo, compassione e amore” (p. 202). Secondo il Dalai Lama su questa Terra non servono più buddisti o uomini più religiosi: occorrono semplicemente persone più umane.

Dunque non è attraverso la competizione, la soddisfazione dei bisogni materiali e l’acquisto di beni che si vincono la sofferenza, i disturbi mentali e le malattie sociali: la cura e la crescita personale si rivela solo “nella spiritualità, intesa sia come dimensione laica sia religiosa” (p. 30). Infatti il buddismo può essere considerato come “la scienza spirituale della mente” e “riconosce che valori come tolleranza, compassione, perdono sono valori umani, non religiosi… la religione non dovrebbe mai chiudersi nel dogma. Per questo dobbiamo essere grati alla scienza, a tutti coloro che ci aiutano a spiegare la realtà” (Intervista concessa a L’Espresso, 19-11-2009). E “Non ha alcuna importanza che un essere sia credente o meno, è molto più importante che sia buono”.

Nota - Vi è una sorta di sobrietà nell’uso della ragione, alla quale bisogna assoggettarsi se non ci si vuol ridurre a vagare nell’incertezza” (Diderot).

Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero (Anonimo).

E “La disonestà di un pensatore si riconosce dal numero di idee precise che afferma” (Emil Cioran, filosofo e scrittore romeno).

Damiano Mazzotti

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