sabato 4 luglio 2009

AFRICA, CONTINENTE VULNERABILE

Inondazioni, siccità, innalzamento delle temperature: le conseguenze dei cambiamenti climatici rappresentano già un'’emergenza in molte regioni del continente


Ogni anno, in Africa, tra i due e i sette milioni di persone subiscono gli effetti delle inondazioni, specialmente quanti vivono lungo le coste, dove la pressione demografica è in aumento. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) afferma che l’Africa, il continente più povero, è anche il più vulnerabile all’aumento della temperatura nel mondo. Questo rapporto sul cambiamento climatico e le sue conseguenze è un messaggio drammatico circa lo sviluppo economico dell’Africa. Le temperature saliranno da uno a tre gradi centigradi e gli effetti di tale aumento interesseranno, entro la fine del secolo, dai 750 milioni a un miliardo e 800 milioni di africani. La crescita continua delle emissioni di gas a effetto serra provocherà scarsità di acqua, minacciando almeno 400 milioni di persone nel continente, o addirittura un miliardo e 800 milioni entro la fine del secolo. Inoltre, anche un piccolo aumento delle temperature potrebbe causare una notevole riduzione del flusso d’acqua in alcuni sistemi fluviali.
Tra il 2080 e la fine del secolo, le precipitazioni medie annue diminuiranno di un quinto lungo la costa mediterranea dell’Africa. È inoltre previsto che il livello delle acque nei fiumi dell’Africa meridionale scenderà, anche del 40 per cento, da giugno ad agosto nella regione più occidentale. D’altro canto, la stagione delle piogge nell’Africa orientale e tropicale potrebbe aumentare del 7 per cento.
Un aumento di un grado centigrado della temperatura provocherà, di qui al 2020, una diminuzione del 10 per cento di acqua nel bacino del fiume Ouergha in Marocco. Se anche altri bacini dovessero registrare una simile riduzione di acqua ogni anno, le conseguenze per queste regioni sarebbero la perdita effettiva di una grande riserva idrica. I ricercatori del l’Ipcc mettono in guardia circa la vulnerabilità del bacino del fiume Okavango (Namibia), dove gli effetti del cambiamento climatico potrebbero avere disastrose ripercussioni sulle riserve e sulla disponibilità di acqua per usi agricoli. Anche il turismo legato alla natura ne risentirebbe negativamente. Dal 25 al 40 per cento degli animali presenti nelle riserve e nei parchi nazionali dell’Africa sub-sahariana scomparirebbe. Il numero di persone minacciate dalle inondazioni nelle aree costiere salirebbe da un milione nel 1990 a 70 milioni nel 2080. L’Ipcc prevede il possibile aumento del livello del mare lungo le coste africane orientali: le conseguenti inondazioni potrebbero costare a ciascun Paese colpito l’equivalente del 10 per cento del suo Pil. Allo stesso modo, la più alta montagna del continente, il Kilimangiaro, potrebbe perdere tutte le sue nevi perenni entro il 2020.
Anche l’agricoltura subirà pesanti contraccolpi. Alle basse latitudini, in particolare nelle regioni con stagioni asciutte e in quelle tropicali, le proiezioni mostrano una riduzione della produzione agricola che porterebbe a un aumento del rischio di fame. Entro il 2080, da 80 a 200 milioni di persone si aggiungerebbero a quelle che già soffrono la fame. Questa estrema vulnerabilità si può spiegare con il fatto che il 70 per cento della popolazione africana vive di agricoltura, che dipende per il 95 per cento dall’acqua piovana.
IL RISCALDAMENTO globale ha già effetti riscontrabili sul continente. Prendiamo, per esempio, la zona di Mtitoandei nel Kenya centrale: questa regione era molto fertile, ma negli ultimi dieci anni ha subito una crescente desertificazione a causa della scarsità di precipitazioni. Secondo la ong «Intermon-Oxfam», i contadini sono diminuiti da 300 a 2 in un decennio. Ciò significa che, d’ora in avanti, le conseguenze del cambiamento climatico potrebbero essere molto più catastrofiche in Africa. La produzione di cereali potrebbe diminuire del 5 per cento entro il 2080. Ciò avrebbe un ulteriore effetto negativo sulla sicurezza alimentare e peggiorerebbe lo stato di malnutrizione nel continente. La produzione locale di cibo risentirebbe negativamente della riduzione di risorse ittiche nei grandi laghi a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua che potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza dei pesci.
In parallelo, l’estensione delle aree aride e semiaride aumenterebbe dell’8 per cento, con gravi effetti sullo stile di vita e sulla lotta contro la povertà. Il rapporto prevede anche che il frumento scomparirà da questo continente entro l’anno 2080. La proiezione più pessimistica considera che, entro l’anno 2050, il raccolto di soia in Egitto diminuirà del 30 per cento e la produzione di mais calerà drasticamente nell’Africa meridionale. I raccolti diminuiranno quindi, in alcuni Paesi africani, del 50 per cento entro il 2020 e del 90 per cento entro il 2100. Teniamo presente il fatto che l’agricoltura rappresenta il 70 per cento del Pil in alcuni Paesi e offre lavoro a molte famiglie. In Africa, il 40 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e un numero molto maggiore con meno di due dollari al giorno.
IL CAMBIAMENTO climatico che ostacola lo sviluppo in Africa può compromettere gli sforzi migliori compiuti in alcuni Paesi del continente negli ultimi dieci anni. Il riscaldamento globale influirà probabilmente sulla salute di milioni di persone; l’aumento della malnutrizione con le sue conseguenze avrà effetti negativi sulla crescita e sullo sviluppo dei bambini. Circa 185 milioni di persone nell’Africa sub-sahariana moriranno, entro la fine del secolo, per malattie direttamente collegabili ai cambiamenti climatici.
(New People, nov-dic 2008
traduzione a cura di I. Mastroleo)
L’agonia del lago Ciad
Le acque del lago Ciad si stanno progressivamente riducendo. Negli ultimi 40 anni la superficie del lago è passata da 25 mila a 5 mila chilometri quadrati, riducendosi a un quinto. La crescita demografica, le attività agro-pastorali e la desertificazione hanno provocato un preoccupante degrado della flora e della fauna.
In origine, a tale riduzione hanno contribuito la scarsità di piogge e le pesanti siccità degli anni Ottanta. Secondo alcune previsioni sul clima della Nasa, se il ritmo attuale rimanesse costante, il lago potrebbe scomparire entro i prossimi venti anni. La desertificazione ha costretto molti allevatori, in particolare nigeriani, a emigrare nella regione del lago e ad avviare attività agro-pastorali. La semina di nuovi raccolti accelera la riduzione del lago, poiché con l’aumentare delle aree coltivate, aumenta anche il bisogno di irrigazione.
Un’altra conseguenza è la scomparsa di un gran numero di specie di pesci. L’80 per cento delle attività della popolazione lacustre consiste nella pesca. Un numero crescente di pescatori utilizza reti da pesca a trama fine che catturano pesciolini appena nati di nemmeno due centimetri. Per far fronte a questa grave situazione, la commissione per il bacino del lago Ciad (creata nel 1964 e comprendente Ciad, Niger, Nigeria, Camerun e Repubblica Centrafricana) sta attualmente studiando un progetto di trasferimento di acqua J-A. Y.ndal fiume Congo (Ubangui-Chari) al Ciad.

di Jean-Arsene Yao

Nessun commento:

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin