giovedì 2 aprile 2009

BRAZIL, VACCINATO CONTRO LA RECESSIONE

Obama promette ai suoi cittadini di uscire dalla crisi, in un futuro ancora indeterminato. L’Europa arranca e svaluta il costo del denaro a livelli mai visti per la sua moneta. La Cina è sull’orlo di una crisi sociale che potrebbe lasciare enormi cicatrici per gli anni a venire. Chi sta facendo la differenza?

È TEMPO DI SAMBA - L’autorevole rivista Time magazine, nello scorso numero della sua versione internazionale ha pubblicato due approfondimenti sul Brasile di Lula (qui e qui) e la sua efficiente ricetta anti-crisi. Secondo gli analisti del settimanale tra i più diffusi al mondo, l’economia brasiliana, decima al mondo in volume - grazie al lavoro del suo presidente -, è riuscita a trovare il giusto compromesso per immunizzarsi dalla crisi. Sostanzialmente il merito di Lula è stato quello di trovare un giusto equilibrio tra liberalizzazioni e incentivi alle piccole e medie imprese da una parte e solidi aiuti alla parte più povera del più vasto paese sudamericano. Riuscendo meglio della vecchia Europa, i risultati portati mostrano quando il modello Brasile non solo è vincente, ma anche potenzialmente esportabile. Già Lula era stato santificato in vita dai media internazionali all’inizio del primo mandato, ma dopo gli ultimi scandali, e con l’ascesa di un ancora più carismatico presidente nero degli Stati Uniti d’America, nessuno presagiva che Lula tornasse sulle penne e nelle telecamere del resto del mondo. Solo i più maligni potrebbero notare che questa nuova invasione mediatica sia apparsa nello stesso periodo in cui è esploso il carnevale; seri e preparati giornalisti non baratterebbero mai l’idea di un buon pezzo solo per andare a vedere le scuole di samba di Rio.

UNA STORIA DI SUCCESSO - È già passato un anno dal discorso che Luiz Inàcio Lula da Silva tenne a Madrid, ma la serenità del presidente brasiliano è rimasta la stessa. “E’ finito il mondo in cui si credeva che il mercato potesse fare qualsiasi cosa” esordì trionfante nell’occasione, spiegando che finalmente “i paesi emergenti non erano più dipendenti dalle ‘cure’ del Fondo Monetario Internazionale”. Un discorso che sembrava scritto da Hugo Chavez. In realtà Lula è forte della cura internazionale che ha portato a una riduzione del debito pubblico e di una legge sulle banche che le obbliga a conti trasparenti e basi liquide pari ad almeno l’undici per cento delle loro operazioni. Numeri da far impallidire i sistemi economici americani, ma anche europei. Insomma, il Brasile non è più un paese sotto esame, e l’ottanta per cento dei consensi di cui gode Lula (nonostante i ricorrenti scandali politici e giudiziari dei suoi colonnelli) lo confermano, anche da un punto di vista interno. Questa fiducia si è consolidata grazie alle riserve in valute estere (valutate intorno ai 205 miliardi di dollari, quattro volte il valore che avevano nel 2004), maggiori possibilità per le province (una sorta di macro regioni italiane, ma molto più attive e importanti che le omologhe italiane) di influire nello sviluppo delle piccole e medie imprese, e una forte presenza di capitali nazionali nel sistema bancario (solo il 30% sono straniere, rispetto per esempio allo 80% del Messico) che privilegia accuratamente gli investimenti in Brasile piuttosto che all’estero.

Poi ci sono gli investimenti statati nelle infrastrutture, un progetto da 263 miliardi di dollari, calcolati come somma degli investimenti diretti e riduzione delle tasse. Da non sottovalutare il ruolo della Petrobas, la compagnia statale petrolifera, che nonostante la crisi ha confermato un progetto di espansione (andando ad attingere a giacimenti off shore) da 174 miliardi di dollari.

QUESTIONE DI (MICRO) CREDITO - Una delle scommesse vinte da Lula è stato il micro-credito come modo di avviare l’economia partendo dalle favela e dai più indigenti. Un progetto che ha superato il vecchio metodo assistenzialista statale della sinistra latino americana fatto di forti sovvenzioni ai disoccupati. Il metodo Yunus è stato preso in carico dallo Stato, che vi ha anche associato un vasto programma di vaccinazione ed incentivo all’educazione scolastica su scala nazionale: il progetto da 20 miliardi chiamato Bolsa Famìlia. E se l’aspettativa di una crescita per il 2009 intorno al 2% (sì, crescita!) del ministro dell’economia Guido Mantega sarà rispettata, si dovrà dire grazie a questo nuovo esercito di piccolissimi imprenditori, gli ex meninos de rua di Brasilia, Rio e degli altri grandi conglomerati urbani brasiliani.

LA CAUTELA DELLA BANCA CENTRALE BRASILIANA - “Il Brasile non è immune dalla crisi finanziaria globale” ha dichiarato la scorsa settimana Henrique Meirelles, presidente dell’istituto bancario verde-oro. Mereilles, che comunque è fiducioso nell’appoggiare le manovre finanziarie del suo governo, mostra ottimismo aggiungendo che - secondo i suoi dati - “il Brasile è nella posizione di emergere dalla crisi più velocemente e con meno traumi rispetto al resto del mondo”. L’aumento del PIL nazionale è stato, per il 2008, del 5,1% una cifra di tutto rispetto anche e soprattutto considerando la riduzione del 3,6% solo nell’ultimo quarto dell’anno rispetto al precedente quadrimestre (la contrazione più dolorosa dal 1996). Insomma il Brasile guarda avanti con estrema fiducia, e si promuove anche come partner commerciale ‘particolare’ con la Bolivia, a cui promette aiuti per uscire dalla crisi. Ovviamente un do ut des con un ritorno più che promettente quando si uscirà dalla crisi, ma l’idea che il Brasile possa essere uno Stato che aiuta piuttosto che tendere la mano alla ricerca di fondi internazionali non si era ancora visto.

LA DOCCIA FREDDA DELL’OCSE - Di ben altro avviso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che boccia senza mezzi termini nel suo ultimo studio l’evoluzione dell’economia brasiliana. Secondo il loro indice composto infatti la crisi mondiale sta colpendo tutti i paesi (sviluppati ed emergenti) allo stesso modo. Prendendo in considerazione tutti gli stadi della produzione, e una serie di variabili che tengono conto delle politiche governative sulle imprese e lo sviluppo, l’indicatore composto dell’OCSE è uno dei parametri più seguiti per valutare - soprattutto in questo momento - le reali dimensioni della crisi globale. Secondo questo indice l’area Euro è scesa, nel corso del 2008, di 8,4 punti; gli Stati Uniti segnano un -10,8 punti e il Brasile non fa molto meglio con un -10,1 punti. Insomma l’OCSE (da sempre però eurocentrico nonostante la presenza nel suo istituto - tra i trenta Stati membri - di America, Canada, Giappone, Korea, Messico e Nuova Zelanda) promuove la vecchia Europa. A scapito del Brasile messo alla pari della traballante economia a stelle e strisce. Vi è di più. Secondo il World Economic Situation and Prospect del 2009 dell’UNCTAD - United Nation Conference on Trade and Development - tutto il Sud America è tuttora molto vulnerabile se dovesse peggiorare il credit cruch mondiale. Il deprezzamento delle monete locali nei confronti del dollaro, fino alla metà del 2008, e soprattutto quelle messicane e Brasiliane, ha avuto un effetto devastante sulle piccole e medie imprese, nonostante i governi abbiano beneficiato di un abbassamento del debito pubblico. Inoltre il deprezzamento delle materie prime ha ridotto gli alti guadagni di tutta l’area.

IN MEDIUM STAT VERITAS - La verità, come sempre, la si può trovare nel mezzo. Il presidente della IADB - Inter American Development Bank - conferma che la regione è meglio disposta ad affrontare la crisi globale, rispetto a Stati Uniti ed Europa. Molti analisti propendono ad indicare il Brasile come punta di diamante di una regione solida: i miglioramenti dei conti macro economici, dopo le cure dimagranti della spesa pubblica imposta dal Fondo Monetario Internazionale, e la diversificazione degli attivi nelle bilance dei pagamenti, rendono questi paesi più solidi di molti altri paesi economicamente più avanzati. La lotta recente al rischio finanziario ha dotato questi paesi di strumenti efficaci e moderni: se fino alla fine del secolo scorso il Brasile era tra i paesi più indebitati al mondo, ad oggi le sue riserve in monete estere - aumentate del 10% circa l’anno - sono maggiori del debito. E il generale miglioramento delle economie vicine ha creato un sistema parallelo di rapporti commerciali, finalmente indipendente dagli Stati Uniti e l’Europa. Insomma, non è un caso che l’amministratore delegato della Pimco (società che non solo si definisce “l’autorità sui bond”, ma è universalmente considerata tale), Mohammed El-Erian, sia pronto a scommettere sulla Cina e il Brasile, per il loro approccio positivo alla crisi mondiale.
Stefano Marucci

2 commenti:

Angelo azzurro ha detto...

Una vera sorpresa il Brasile! Sono contenta per l'America latina.: chissà che il Brasile riesca a far da traino anche per le economie vicine

Le Favà ha detto...

E chi lo dice ora a Silvio? Non era il suo governo il più efficiente per uscire dalla crisi?

comunque ottimo articolo Catone. E' un piacere passare sempre di qua. Davvero.

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