UNA STORIA DI SUCCESSO - È già passato un anno dal discorso che Luiz Inàcio Lula da Silva tenne a Madrid, ma la serenità del presidente brasiliano è rimasta la stessa. “E’ finito il mondo in cui si credeva che il mercato potesse fare qualsiasi cosa” esordì trionfante nell’occasione, spiegando che finalmente “i paesi emergenti non erano più dipendenti dalle ‘cure’ del Fondo Monetario Internazionale”. Un discorso che sembrava scritto da Hugo Chavez. In realtà Lula è forte della cura internazionale che ha portato a una riduzione del debito pubblico e di una legge sulle banche che le obbliga a conti trasparenti e basi liquide pari ad almeno l’undici per cento delle loro operazioni. Numeri da far impallidire i sistemi economici americani, ma anche europei. Insomma, il Brasile non è più un paese sotto esame, e l’ottanta per cento dei consensi di cui gode Lula (nonostante i ricorrenti scandali politici e giudiziari dei suoi colonnelli) lo confermano, anche da un punto di vista interno. Questa fiducia si è consolidata grazie alle riserve in valute estere (valutate intorno ai 205 miliardi di dollari, quattro volte il valore che avevano nel 2004), maggiori possibilità per le province (una sorta di macro regioni italiane, ma molto più attive e importanti che le omologhe italiane) di influire nello sviluppo delle piccole e medie imprese, e una forte presenza di capitali nazionali nel sistema bancario (solo il 30% sono straniere, rispetto per esempio allo 80% del Messico) che privilegia accuratamente gli investimenti in Brasile piuttosto che all’estero.
QUESTIONE DI (MICRO) CREDITO - Una delle scommesse vinte da Lula è stato il micro-credito come modo di avviare l’economia partendo dalle favela e dai più indigenti. Un progetto che ha superato il vecchio metodo assistenzialista statale della sinistra latino americana fatto di forti sovvenzioni ai disoccupati. Il metodo Yunus è stato preso in carico dallo Stato, che vi ha anche associato un vasto programma di vaccinazione ed incentivo all’educazione scolastica su scala nazionale: il progetto da 20 miliardi chiamato Bolsa Famìlia. E se l’aspettativa di una crescita per il 2009 intorno al 2% (sì, crescita!) del ministro dell’economia Guido Mantega sarà rispettata, si dovrà dire grazie a questo nuovo esercito di piccolissimi imprenditori, gli ex meninos de rua di Brasilia, Rio e degli altri grandi conglomerati urbani brasiliani.
LA CAUTELA DELLA BANCA CENTRALE BRASILIANA - “Il Brasile non è immune dalla crisi finanziaria globale” ha dichiarato la scorsa settimana Henrique Meirelles, presidente dell’istituto bancario verde-oro. Mereilles, che comunque è fiducioso nell’appoggiare le manovre finanziarie del suo governo, mostra ottimismo aggiungendo che - secondo i suoi dati - “il Brasile è nella posizione di emergere dalla crisi più velocemente e con meno traumi rispetto al resto del mondo”. L’aumento del PIL nazionale è stato, per il 2008, del 5,1% una cifra di tutto rispetto anche e soprattutto considerando la riduzione del 3,6% solo nell’ultimo quarto dell’anno rispetto al precedente quadrimestre (la contrazione più dolorosa dal 1996). Insomma il Brasile guarda avanti con estrema fiducia, e si promuove anche come partner commerciale ‘particolare’ con la Bolivia, a cui promette aiuti per uscire dalla crisi. Ovviamente un do ut des con un ritorno più che promettente quando si uscirà dalla crisi, ma l’idea che il Brasile possa essere uno Stato che aiuta piuttosto che tendere la mano alla ricerca di fondi internazionali non si era ancora visto.IN MEDIUM STAT VERITAS - La verità, come sempre, la si può trovare nel mezzo. Il presidente della IADB - Inter American Development Bank - conferma che la regione è meglio disposta ad affrontare la crisi globale, rispetto a Stati Uniti ed Europa. Molti analisti propendono ad indicare il Brasile come punta di diamante di una regione solida: i miglioramenti dei conti macro economici, dopo le cure dimagranti della spesa pubblica imposta dal Fondo Monetario Internazionale, e la diversificazione degli attivi nelle bilance dei pagamenti, rendono questi paesi più solidi di molti altri paesi economicamente più avanzati. La lotta recente al rischio finanziario ha dotato questi paesi di strumenti efficaci e moderni: se fino alla fine del secolo scorso il Brasile era tra i paesi più indebitati al mondo, ad oggi le sue riserve in monete estere - aumentate del 10% circa l’anno - sono maggiori del debito. E il generale miglioramento delle economie vicine ha creato un sistema parallelo di rapporti commerciali, finalmente indipendente dagli Stati Uniti e l’Europa. Insomma, non è un caso che l’amministratore delegato della Pimco (società che non solo si definisce “l’autorità sui bond”, ma è universalmente considerata tale), Mohammed El-Erian, sia pronto a scommettere sulla Cina e il Brasile, per il loro approccio positivo alla crisi mondiale.
Stefano Marucci
2 commenti:
Una vera sorpresa il Brasile! Sono contenta per l'America latina.: chissà che il Brasile riesca a far da traino anche per le economie vicine
E chi lo dice ora a Silvio? Non era il suo governo il più efficiente per uscire dalla crisi?
comunque ottimo articolo Catone. E' un piacere passare sempre di qua. Davvero.
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