Ora la finanza creativa e canaglia dei super managers bancari ha prodotto un buco nero finanziario, paragonabile, se non superiore, a quello del '29. Ma questi managers, che il Vescovo di York definisce "rapinatori di banche", per l'ennesima volta faranno ricadere le loro inettitudini, le loro rocambolesche e funamboliche attività finanziarie, le loro masturbazioni mentali sulle spalle dei poveri contribuenti.
I governi degli stati del mondo occidentale, hanno deciso insieme che, per salvare la nostra economia, occorre finanziare le banche, entrando così a pieno titolo nell'azionariato bancario, senza però incidere sulla gestione. Probabilmente questa sarà stata l'unica soluzione attualmente possibile, ma un esborso da parte dei governi europei di tale entità (1.800 miliardi di euro) porterà inevitabilmente a dover incrementare le entrate con nuovi balzelli ed a diminuire i servizi erogati ai cittadini (tagli a sanità, istruzione, trasporti, ecc..) La matematica non è mai stata un'opinione e come al solito chi pagherà sarà Pantalone, aumentando così sempre più la distanza tra ricchi e poveri. Dimenticavo di dire che quei managers saranno forse allontanati ma
con laute liquidazioni di milioni di euro, in spregio alla più elementare decenza.
Come indecente è la nuova salva-manager proposta, in questi giorni, alla Camera, norma che permetterebbe ai vari Geronzi, Tanzi, ecc. di pararsi il lato B, uscendo indenni dai loro processi. Dopo la salva "banda dei quattro" ecco la salva "banda dei più di quattro". E' un ennesimo attentato al principio costituzionale e civile di uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge.
Per trent'anni abbiamo dovuto assistere ad un liberalismo sfrenato. Il libero mercato è diventato la regola principe, la guida che doveva trainare la nostra vita verso traguardi inusitati, il deus ex machina che tutto risolve ma che tutti inganna. I pescecani hanno potuto far man bassa di tanti piccoli pesciolini rossi, eliminando regole e paletti che la teoria economica keynesiana del primo dopoguerra aveva eretto al fine di contribuire , in modo equilibrato, al risollevamento economico e sociale dal baratro in cui eravamo sprofondati. La civile convivenza, il rispetto dell'altro determinano la necessità di confini entro cui operare per evitare il caos. Ma siccome la storia si ripete, perché l'uomo ha poca memoria, viene sempre il tempo in cui questi confini vengono prevalicati per ambizione, avidità , smania di potere. Ed allora si ricomincia da capo.E adesso, come sempre, per riparare i danni provocati da pochi delinquenti, il peso maggiore ricadrà sulle spalle di tanti che, da benestanti ritorneranno ad essere poveri.
E così i dati Caritas sotto riportati peggioreranno ulteriormente.
" In Italia vivono con 600 euro al mese quasi 15 milioni di persone.
Nelle mani del 20% delle famiglie più ricche del paese c'è il 48%del reddito nazionale.
Il 20% delle famiglie più povere percepisce solo il 7% del reddito nazionale."
Dal RAPPORTO SULLA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE IN ITALIA, presentato a Roma da CARITAS ITALIANA e FONDAZIONE ZANCAN
"LA QUESTIONE POVERTÀ NON È UN INCIDENTE DA POCO SVILUPPO "
«Se si è perso tempo, in particolare negli ultimi anni, è anche perché si è dato credito a una tesi convincente e seducente: la povertà potrà essere ridotta grazie allo sviluppo economico. In sostanza: "maggiore sviluppo economico, maggiore redistribuzione dei vantaggi di tale sviluppo, quindi meno povertà". Si tratta di una tesi che ha avuto, almeno fino al recente crack finanziario, un’indubbia capacità di convinzione e nello stesso tempo ha contribuito a rinviare un impegno responsabile per affrontare il problema».
Se questa tesi fosse vera, nel Paese che, pur con molte contraddizioni e fragilità messe a nudo dall’attuale crisi dei mercati finanziari, è ai primi posti dello sviluppo mondiale – gli USA – non dovrebbero esserci 13 milioni di bambini che vivono in condizione di povertà. Se consideriamo i bambini che vivono in famiglie povere e in famiglie a basso reddito, la percentuale passa dal 17% al 39%.
«Se prendiamo in esame la condizione dei bambini poveri in quel paese negli anni dal 2000 al 2006, risulta che la povertà infantile è aumentata dell’11%, cioè 1.200.000 bambini si sono aggiunti ai già tanti costretti a crescere poveri ed emarginati (National Center for Children in Poverty, 2007). Se la tesi della riduzione della povertà, grazie allo sviluppo economico, avesse mantenuto le sue promesse, non dovrebbe essere così, anzi il contrario». Evidentemente «la questione povertà non è un incidente "da poco sviluppo". È invece fortemente radicata nelle economie occidentali».
Vittorio Nozza, direttore Caritas Italiana, e Tiziano Vecchiato, direttore Fondazione Zancan
Famiglia Cristiana rileva che "le famiglie indebitate sono passate, sempre negli ultimi due anni, dal 24 al 26 per cento. La Caritas critica l’equivalenza "equivoca" tra povertà e impoverimento e rileva che non basta sostenere i consumi per uscire dall’indigenza. Sottolinea don Nozza: «Non sono povere le famiglie proprietarie di casa o di un’azienda familiare che per via della congiuntura sfavorevole sono costrette a ridurre le ferie o a rinunciare a un vestito nuovo o all’acquisto di una barca. Al massimo si possono qualificare come impoverite, cioè oggi dispongono di risorse economiche ridotte rispetto al passato». Eppure è di esse che le forze politiche, «con una massiccia mobilitazione in fase preelettorale», si sono occupate moltiplicando le promesse e le proposte. Il Rapporto non nega la bontà di queste iniziative, ma esse hanno dimenticato i «poveri più poveri», cioè il 20 per cento delle famiglie italiane, i cosiddetti «deboli consumatori», quelli che in ogni caso non sarebbero in grado di far ripartire la macchina della produzione."
Nota aggiuntiva del 25 ottobre
Il teorico politico statunitense Benjamin R Barber, professore all'Università del Maryland, conosciuto specialmente per il libro "Jihad Vs. McWorld:Terrorism's Challenge to Democracy" è intervenuto sulla crisi attuale, nelle pagine del quotidiano La Repubblica del 24 ott. affermando : "Quantunque siano stati i prestiti sbagliati, i banchieri avidi di denaro, gli stupidi amministratori di fondi di copertura e gli ignoranti investitori a combinare questo gran pasticcio, il vero danno è stato causato da circa quarant'anni di de-democratizzazione. Nessuno si è accorto di questo processo, di questa emorragia di capitale sociale, perché si supponeva che il problema fosse il governo e che la soluzione fossero i mercati. Un reaganismo fuori controllo ritortosi contro il governo ha fatto sì che i cittadini fossero privati della loro stessa democrazia. Il governo dunque è colpevole, ma il governo è soltanto uno strumento della democrazia, non sempre molto efficiente, spesso addirittura scarsamente trasparente e affatto pronto a rispondere del proprio operato, ma è pur sempre uno strumento della democrazia.
E il vero prodotto della democrazia è la fiducia.
Quando la guerra al governo è diventata una guerra alla democrazia, ha tirato giù la massa del capitale sociale, ha eroso la fiducia, facendo sì che i cittadini perdessero la fiducia gli uni negli altri e nel loro comune potere di amministrarsi. Perchè adesso i consumatori dovrebbero aver fiducia nelle banche? O i banchieri fidarsi l'uno dell'altro? O gli investitori fidarsi del mercato azionario? La fiducia è una cosa al tempo stesso preziosa e precaria, la premessa e il fondamento, ma è molto fragile...... Il capitalismo affonda le sue radici nell'egoismo, nel freddo calcolo del proprio tornaconto personale, e necessariamente è devoto al benessere degli azionisti più che a quello dei beni ed è pertanto incapace di generare fiducia dal quale dipende. Per uscire dalla crisi c'è bisogno di qualcosa di più che di soluzioni tecniche o di sostegni alle banche... Il rimedio oggi consiste in una ri-democratizzazione. Ricreiamo il capitale sociale e la fiducia ritornerà. Allora - e soltanto allora - i mercati si placheranno, gli erogatori di prestito torneranno a erogare prestiti, gli investitori investiranno di nuovo, i consumatori compreranno ancora casa, e - quando l'economia privata tornerà ad essere subordinata al bene collettivo - il benessere tornerà ad essere possibile, disciplinato dalla fede civica e dalla giustizia democratica."
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"Nel mondo c'è quanto basta per le necessità dell'uomo, ma non per la sua avidità."
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